8 aprile 1862. Muore il «Mostro di Milano»

Vicolo Bagnera. È così piccola e lugubre da essere teatro di alcuni omicidi. Sì, perché il "mostro di Milano", il primo serial killer italiano è passato di qui

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È la via più stretta e ‘nera’ di Milano, Vicolo Bagnera. È così piccola e lugubre da essere teatro di alcuni omicidi. Sì, perché il “mostro di Milano”, il primo serial killer italiano è passato di qui. 

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8 aprile 1862. Muore il «Mostro di Milano»

Si chiamava Antonio Boggia ed era nato a Urio, in provincia di Como, il 23 dicembre 1799. 

Un uomo insospettabile: “Di modi calmi, con un’esteriore quasi di bonarietà, esatto osservatore delle pratiche religiose, estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze”: lo descrisse così la Sentenza del Tribunale di Milano.

Non solo. Era anche poliglotta “grazie alle sue conoscenze della lingua tedesca, trovò lavoro a Palazzo Cusani, sede del comando militare austriaco, in veste di fochista e trovando un’abitazione in via Gesù”.

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Si sposò nel 1831 e con la moglie andò a vivere in via Nerino 2. Boggia cominciò a uccidere nell’aprile del 1849, e la sua prima vittima fu Angelo Ribbone, derubato di 1.400 svanziche, “il cadavere quindi venne smembrato e nascosto nel suo scantinato nella Stretta Bagnera”, usato dal Boggia come magazzino e ufficio. 

Proprietaria dello stabile in cui viveva Boggia era Ester Maria Perrocchio, un’altra delle sue vittime. Aveva 76 anni quando il figlio Giovanni Murier, decoratore presso la Richard ceramiche, ne denunciò la scomparsa all’istituzione dei Carabinieri Reali, con sede a Palazzo Cattaneo in via Moscova, a Milano.

Spiega MilanoPlatinum: “Maurier dichiara che, preoccupato dall’improvvisa sparizione della madre, ha indagato presso i custodi, scoprendo che la vedova ultrasettantenne si sarebbe ritirata sul lago di Como delegando amministratore unico del suo stabile in via Nerino Antonio Boggia, muratore e capomastro già suo inquilino e con il quale da tempo era entrata in confidenza.

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Da quando Ester è scomparsa, Boggia si comporta come se il palazzo fosse suo: aumenta gli affitti, esegue lavori di manutenzione, fa sparire dal cortile la colonia di felini che la signora amava tanto. Interrogato da Maurier, Boggia esibisce delle lettere scritte da Ester dal suo buen retiro sul Lario, nelle quali gli vengono fornite istruzioni sull’amministrazione del condominio. Inizialmente Maurier, abituato alle stranezze della madre con la quale, peraltro, non è in buoni rapporti, crede alla storia, ma in seguito scopre che la procura con la quale Ester ha delegato Boggia è un falso e che un notaio scrupoloso si era infatti rifiutato di rilasciarla. È a questo punto che decide di sporgere denuncia.”

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# Il passo falso del Boggia

Giovanni Comi è un anziano contabile. Attratto nel magazzino di via Bagnera, lì viene colpito con una scure. Comi riesce a fuggire e Boggia, arrestato, viene giudicato folle e rinchiuso nel manicomio della Senavra, dal quale esce dopo pochi anni.

Denunce, uomini scomparsi o donne divenute irrintracciabili, procure e atti legali per vendite e utilizzo di immobili, compresa una cantina sempre in via Bagnera, le testimonianze dei vicini che avevano visto Antonio Boggia armeggiare con sacchi da muratore, mattoni e sabbia in un magazzino di Stretta Bagnera nei pressi di via Torino nel pieno centro di Milano tra la Basilica di Sant’Ambrogio e il Duomo: a poco a poco la maschera del Boggia cade. La fine della sua delinquenza arriva dopo una prima perquisizione nella quale, murato in una nicchia, viene trovato il cadavere dell’anziana Ester Maria Perrocchio.

Una nuova ispezione nella cantina dello stabile fa emergere altri tre cadaveri, tre morti ammazzati brutalmente dal Boggia e lasciati a decomporre sotto il pavimento. In totale: quattro vittime abbandonate a imputridire in cantina. Quattro persone di cui aveva conquistato la fiducia e dalle quali si era fatto lasciare le deleghe per gestirne il patrimonio.

Inutile dire che durante il processo il Boggia si finse pazzo.

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Inevitabile per i tempi la condanna a morte, per impiccagione: fu eseguita l’8 aprile 1862 nei pressi dei bastioni di Porta Ludovica e di Porta Vigentina. Curioso è notare come quella, così piena di sangue, fu l’ultima condanna a morte di un civile eseguita a Milano fino alla Seconda Guerra Mondiale. Milano, infatti, era così poco propensa alle pubbliche esecuzioni da non avere nemmeno un boia suo: dovette chiederlo in prestito a Torino e Parma.

Non stupisce che la sua testa fu oggetto degli studi di Cesare Lombroso, il padre della criminologia, che ne confermò la fisiologica natura delinquenziale, e poi portata al cimitero di Musocco, nel 1949.

Il corpo del primo serial killer italiano finì sepolto nel cimitero del Gentilino, presso il Bastione di Porta Ludovica (oggi, Corso Italia), e solo nel 2009 dal mercato collezionistico emerse una mannaia da macelleria, già di proprietà dell’Ospedale Maggiore, oggi conservata al Museo di Arte Criminologica di Olevano di Lomellina, in provincia di Pavia.

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Oggi Vicolo Bagnera è un budello che, con una curva, collega Via Santa Marta a Via Nerino, nei pressi di Via Torino, e per quanto nefasto e tetro è sempre troppo spesso imbrattato dai vandali con scritte e spray.

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La leggenda narra che quando l’incauto passante venga avvolto da un soffio di aria gelida nella Stretta Bagnera è come fosse assalito dallo spirito dell’assassino di Milano, rimasto nel luogo del crimine. Per sempre.

 

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