Quando l’ottusità delle dittature incontra l’arroganza, il servilismo e la presunzione più estrema, il risultato non può che essere questo: gigantesche volumetrie e sventramenti. Questo in sintesi il Palazzo di Giustizia di Milano.
Il PALAZZO di GIUSTIZIA: monumento al servilismo e agli sventramenti urbanistici
# La distruzione di tre antichi conventi
Il Palazzo di Giustizia è stato costruito tra il 1932 e il 1940 su di un’area talmente estesa da inghiottire e distruggere in un solo colpo tre antichi conventi, uno adiacente all’altro. Per capire e avere un’idea di come fosse la zona, si pensi al sopravvissuto chiostro di S. Maria della Pace (oggi dell’Umanitaria). Una meraviglia! Il Palazzo di Giustizia occupa un’area quadrilatera di circa 30.000 m². Si tratta di un enorme volume che si erge su una pianta a forma di trapezio, aperta da otto cortili di differente ampiezza.
Elevato su quattro piani e due ammezzati, l’accesso ai vari settori è garantito da sei scaloni e nove ascensori, cui si aggiungono numerose scale secondarie. Il visitatore deve essere guidato da piantine e cartelli, se non vuole perdersi nel labirinto delle scale e corridoi.
# Una facciata con i principi della Giurisprudenza
Preceduta da una monumentale gradinata, tanto grande quanto scomoda e inutile, la facciata principale si apre su un triplice portale di accesso al grande vestibolo di smistamento alto 25 metri. L’ingresso è dominato da imponenti frasi latine riguardanti i principi della Giurisprudenza. Leggerle ora pensando alla criminale dittatura fascista non si può che sorridere amaramente.
Ma scopriamo chi è stato l’artefice di questa opera colossale, per alcuni bella per altri orribile. Sicuramente un’opera che provoca allo sguardo una sensazione straniante.
# Piacentini: l’architetto di corte
Il grandissimo architetto ed urbanista Piacentini, artefice di tale imponente edificio al quale tuttora ci si dovrebbe inchinare, fu strumentale al regime. Non per nulla soprannominato “l’architetto di corte”, non si fece in ogni caso alcun problema ad avere un ruolo di primo piano anche nei governi democristiani del dopo guerra. In fondo, l’Italia i conti con il proprio passato non li ha fatti nemmeno in architettura…Quando la penna di Piacentini passava sulla piantina di una città, questo significava la demolizione di interi quartieri e sventramenti di centri storici. Senza alcuna remora. Ricordiamone alcuni.
# Sventramenti simili a quello per il Palazzo di Giustizia
A Torino, per la costruzione di via Roma, fu sventrata la cinquecentesca contrada Nova con i suoi antichi palazzi le sue botteghe, i laboratori artigianali e negozi con annessa residenza. Il piano di risanamento del 1930 ne sanciva la completa trasformazione tramite lo sventramento degli isolati che si affacciano sulla Via.
A Brescia la realizzazione di Piazza della Vittoria nel 1932 si fece attraverso la demolizione dell’antica area medievale del quartiere delle Pescherie. Il quartiere si sviluppava fra vicoli angusti, larghi anche solo due metri, su cui si affacciavano edifici di edilizia medievale che toccavano i 25 metri di altezza.
A Roma, forse il disastro più assurdo, la demolizione della cosiddetta “spina di Borgo”. La Roma medioevale spazzata via, secoli di storia mandati in frantumi, cosi la cornice perfetta per la maestosità della Basilica di San Pietro.
Pensando al Palazzo di Giustizia e agli sventramenti portati avanti da Piacentini, non può non venire alla mente quanto accaduto a Bucarest con la Casa Popolurui, tanto voluta da Ceasescu, alla cui costruzione nessuno osò opporsi, per paura o convenienza. Per la sua costruzione (oltre a quella dei palazzi intorno) fu rasa al suolo buona parte del centro città della “Parigi dei Carpazi”. In quel caso, si salvò miracolosamente solo la zona di “lipscani”, ora pedonalizzata e ricca di locali caffè ristoranti, tanto amata dai turisti e dai residenti.
# La contorta mentalità italiana, sempre pronta a piegarsi al potere
La maggior parte dei nostri stessi architetti ed urbanisti definirebbe crimini le medesime opere portate avanti altrove, ma realizzate in Italia. Eppure la stessa è pronta a difendere degli abomini come “grandi opere di risanamento”. Il Palazzo della Giustizia è decantato e considerato un capolavoro da una minoranza di eletti colti e preparati, ritenuto orrendo da buona parte di tutti gli altri, che lo considerano una volumetria spropositata nel cuore del centro storico di una città plurimillenaria. Pochi, se non per motivi squisitamente legali, sono tentati ad entrarci solo per una visita.
# Eppure esiste qualcuno che riesce a dissociarsi dal pensiero dominante
“Piacentini sarebbe stato in grado di far compiere all’architettura italiana una svolta capace di reinnestarla nel circuito europeo. Aveva i giovani dalla sua parte: i vecchi lo adoravano o comunque lo proteggevano. A questo punto, invece, si esaurisce il suo contributo. I motivi che determinarono, all’età di 44 anni, la morte dell’architetto sono materia di psicologia. In compenso fu accademico d’Italia, preside della facoltà di architettura, despota incontrastato del regime, capo di una scuola di cui si può dire soltanto che i seguaci sono peggiori del maestro… Per questo, nel momento in cui Piacentini ci lascia, dopo una lunga malattia che ha sedato rancori e vanificato le polemiche, val meglio ripensare al giovane che possedeva ogni requisito per diventare uno dei più qualificati architetti europei e perì a 44 anni.”
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ANDREA URBANO
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