Uno dei geni più sbalorditivi del ‘900, con potenzialità anche superiori ai grandi scienziati che conosciamo. La sua storia, tuttavia, dimostra come un alto Quoziente Intellettivo non sia un elemento sufficiente per garantire ad un essere umano il raggiungimento di una vita felice.
La triste storia dell’ “UOMO PIÙ INTELLIGENTE DEL MONDO”
# Una famiglia bramosa di opportunità
Boris Sidis e la moglie Sarah, originari dell’Ucraina arrivarono negli Stati Uniti al 1887 per fuggire dalle persecuzioni subite in patria per motivi politici e religiosi, venendo entrambi incarcerati.
Negli Stati Uniti la coppia trovò notevoli opportunità per affermarsi. Boris studiò con successo medicina ad Harvard specializzandosi in psicologia e psichiatria, coltivando la passione per l’attivismo politico e per le lingue, divenendo presto famoso per il suo lavoro con l’ipnosi e per il suo studio dei disturbi mentali.
Sarah studiò Medicina presso l’Università di Boston, laureandosi nel 1897, una rarità per una donna dell’epoca. Interruppe la professione al momento della nascita del figlio, cui venne dato il nome del mentore del padre ad Harvard, William James.
L’importanza che i genitori diedero all’istruzione per se stessi risulta fondamentale per comprendere l’impatto del percorso educativo che costruirono per il figlio.
# L’infanzia del bambino prodigio: 8 lingue straniere apprese entro gli 8 anni d’età
William James Sidis nacque a New York nel 1898 e da subito venne coinvolto in un processo educativo molto stringente ideato dai genitori: la madre lasciò il praticantato in medicina per seguire a tempo pieno il figlio ed il padre mise in pratica i propri studi psicologici per sfruttare al massimo le capacità cognitive di un giovane cervello.
La capacità di riconoscere le lettere dell’alfabeto entro l’anno di vita lo portò ad essere considerato già a 18 mesi un bambino prodigio.
A quell’età infatti il bambino era già in grado di leggere il New York Times e a 2 anni sapeva già utilizzare la macchina da scrivere che utilizzò per redigere un trattato di anatomia a 5 anni.
William dimostrò notevoli abilità anche con le lingue, arrivando a conoscere latino, greco, francese, russo, tedesco, ebraico, turco ed armeno e ad inventare una lingua, il Vendergood, entro gli 8 anni.
Il percorso di apprendimento era eccezionale e costituiva fonte di orgoglio per i genitori, ma soprattutto per il padre che utilizzava i progressi del figlio per farsi strada nel mondo accademico a suon di pubblicazioni sulle metodologie applicate sul figlio.
# A 11 anni entra ad Harvard, si laurea a 16 anni
I genitori, bramosi di record, tentarono di iscrivere William James all’università di Harvard già a 9 anni, ma la richiesta non venne accolta perché il bambino era evidentemente troppo giovane, ma soprattutto immaturo emotivamente per quel contesto.
Per non perdere tempo, il bambino venne inserito al Tufts College dove trascorse molto del suo tempo a cercare eventuali errori nei libri di matematica e nella teoria della relatività di Einstein.
Finalmente, ad 11 anni, i genitori riuscirono a farlo ammettere ad Harvard, avviando un percorso accademico brillante, tanto che fu paragonato da esponenti del MIT di Boston a Karl Friedrich Gauss, prevedendo per lui un futuro come uno dei più grandi matematici dell’epoca.
William, a soli 16 anni, si laureò con lode in Matematica in una delle migliori università del mondo.
# La costruzione di un genio: il più alto QI della storia
La vita del giovane William scorse senza grandi intoppi fintanto che rimase nell’ambiente protetto della propria casa e dei propri genitori. Non appena dovette iniziare a confrontarsi con nuovi gruppi di persone nel mondo esterno, si palesò tutto il limite dell’educazione che Boris e Sarah Sidis imposero al figlio.
A fine ‘800 le competenze circa la psicologia dello sviluppo erano ancora molto scarse e i genitori sposarono la corrente di pensiero definita “comportamentismo”, basato sull’idea che un bambino sia totalmente plasmabile e abbia una capacità illimitata di apprendere, in contrapposizione e a scapito della componente affettiva e relazionale.
Ciò permise a William di sviluppare grandi capacità logiche che lo portarono ad ottenere il più alto punteggio mai registrato da quando esiste il test del Q.I., pari a 254.
Un valore impressionante se paragonato, ad esempio, al 160 di Albert Einstein e Stephen Hawking e al 148 richiesto per accedere al Mensa, l’organizzazione che racchiude il 2% della popolazione più intelligente.
Ma proprio quando William iniziò a confrontarsi in maniera più aperta e libera con il mondo, si evidenziarono tutti i limiti di teorie psicologiche che, infatti, verranno in gran parte superate durante il ‘900.
# ”Voglio vivere la vita perfetta. L’unico modo per vivere la vita perfetta è viverla in isolamento. Ho sempre odiato la folla”
I primi segnali di quanto potesse diventare difficile la vita di William James Sidis si ebbero al suo esordio ad Harvard, quando ad 11 anni tenne una lezione al club matematico lasciando interdetti molti degli astanti che faticavano a seguire i suoi ragionamenti sui corpi di 4 dimensioni. Immediatamente i giornali iniziarono ad occuparsi di lui, anche in modo ossessivo, andando ad intaccare le sicurezze che si era costruito nel chiuso ambiente familiare.
La vita universitaria, da ragazzino tra gli 11 e i 16 anni, è stata durissima per l’isolamento in cui visse, dovendo condividere la maggior parte del tempo con compagni che avevano almeno il doppio dei suoi anni e non avevano nessuna intenzione di far integrare il piccolo genio. Emblematica fu la frase che pronunciò davanti ai giornalisti il giorno della sua laurea: ”Voglio vivere la vita perfetta. L’unico modo per vivere la vita perfetta è viverla in isolamento. Ho sempre odiato la folla”.
Dopo la laurea di trasferì presso l’attuale Rice University a Huston dove iniziò ad insegnare. Fu un’altra esperienza negativa per il giovane William che subì le angherie dei suoi stessi studenti, tutti più grandi di lui, oltre ad essere sempre più oppresso dal peso di dover produrre risultati all’altezza della sua intelligenza come richiesto da genitori e stampa.
Dopo solo 8 mesi tornò ad Harvard per studiare Legge, ma interruppe un anno prima della laurea. A 20 anni venne addirittura arrestato per essere il promotore di una manifestazione socialista a Boston, ricevendo una condanna a 18 mesi di reclusione. Solo l’intervento del padre gli evitò il carcere a patto di “riabilitarsi” nel suo centro di psicoterapia, probabilmente nel tentativo di riportare il comportamento del figlio entro i canoni previsti.
Durante l’esperienza di attivismo politico William conobbe quella che, probabilmente, fu l’amore della sua vita, Martha Foley, seppur non corrisposto.
# L’oblio auto imposto
A 22 anni, nel 1921, William riuscì a porre le basi per la sua “vita perfetta”, lontana dai riflettori e dai clamori, ma soprattutto dai genitori. Iniziò così a spostarsi di città in città, da un lavoro all’altro, cambiando talvolta anche il proprio nome e utilizzando pseudonimi per pubblicare dei testi su diversi argomenti, dalla storia americana alla sua collezione di biglietti del tram, fino alla teoria sull’esistenza di quelli che, solo 14 anni dopo, verranno definiti buchi neri.
Anche durante questo periodo la stampa non rimase lontana dall’ex piccolo genio, spesso dipingendolo negativamente nel più classico passaggio dalle stelle alle stalle. Il suo isolamento continuò e nel 1937, un nuovo articolo a lui dedicato gli procurò quei dispiaceri cui ormai era abituato, racchiusi in una sua dichiarazione: “La sola vista di una formula matematica mi provoca dolore fisico. Tutto quello che voglio fare è usare una calcolatrice, ma non mi lasceranno mai in pace”.
William trascorse gli ultimi 20 anni della propria vita tentando di allontanarsi dal suo passato, da ciò che era stato e da ciò che gli altri avrebbero voluto diventasse.
Morì nel 1944, a 46 anni, per un’emorragia celebrale, proprio come suo padre qualche anno prima. Aveva ancora con sé la fotografia di quella Martha Foley che aveva conosciuto tanti anni prima, che si era sposata con un altro uomo, ma che rappresentava il contatto più vicino alla vita che avrebbe realmente voluto per sé.
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ALESSANDRO VIDALI
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