Dopo quattro settimane di lockdown totale, preceduto nelle aree più colpite da altre due settimane di lockdown parziale, dai dati emersi in Italia e da un confronto tra le regioni e con le altre nazioni, si possono individuare almeno cinque verità sul coronavirus in Italia. Verità che o si smentiscono chiaramente oppure sarebbe opportuno dichiararle in modo ufficiale ai cittadini per fare chiarezza sull’evoluzione dell’emergenza.
#1 Il virus si è diffuso prima del “paziente uno”
Il “paziente uno” è stato individuato a Codogno pochi giorni dopo il 18 febbraio, data del suo primo ricovero al pronto soccorso. È opinione condivisa dalla stragrande maggioranza dei virologi che il virus stesse già circolando da settimane, alcuni ritengono addirittura da mesi. Fin da gennaio si sono infatti registrate numerose polmoniti anomale, anche se gli effetti sulla mortalità si sono avuti solo quando, con ogni probabilità, la diffusione del virus ha raggiunto gli ambienti dove c’erano le fasce più deboli della popolazione, anziani e malati gravi (vedi punto successivo).
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#2 Il contagio negli ospedali e nelle RSA
Il coronavirus ha raggiunto in Italia, in particolare in Lombardia, un tasso di letalità record a livello mondiale. Al momento siamo al 12%, quando in paesi come Corea del Sud o Germania il tasso di mortalità risulta al di sotto dell’1%. Tra i motivi più accreditati è che in Italia e, in particolare in Lombardia, i principali focolai di contagio, almeno per le forme più gravi, siano stati ospedali e RSA (residenze per anziani). Gli stessi medici, lasciati senza le dovute protezioni, sarebbero stati un potente veicolo di trasmissione verso i pazienti da loro assistiti. L’alto tasso di mortalità quindi sarebbe dovuto soprattutto al fatto che proprio chi era più a rischio, ossia anziani e persone colpite da gravi patologie, si sono ritrovati nei focolai di maggiore diffusione del virus.
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#3 Il numero dei contagiati reali è superiore ai dati ufficiali
Solo una parte di chi viene contagiato dal COVID-19 sviluppa sintomi. E solo una parte di chi sviluppa sintomi viene tamponato. Di conseguenza, solo una piccola parte delle persone colpite dal coronavirus rientra nelle statistiche ufficiali che dipendono in massima parte dal numero di tamponi che vengono eseguiti. A Vo’ euganeo dove tutta la popolazione è stata sottoposta a campione fino al 75% dei positivi è risultato asintomatico. In un test eseguito sui donatori di sangue a Castiglione d’Adda, il 70% dei donatori è risultato positivo. I contagi reali in Italia sono stimati tra i 5 e gli 11 milioni.
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#4 Il numero di morti con COVID-19 è superiore ai dati ufficiali
Il COVID-19 risulta quasi sempre non l’unica causa ma una delle concause di un decesso. Spesso si accompagna e aggrava altre patologie mortali. Non esistono sintomi univoci che possano attribuire un decesso al COVID-19 in mancanza di una verifica con tampone. Come nel caso dei contagi ormai è risaputo che ci possono essere persone contagiate da COVID-19 che sono morte ma che non rientrano nelle statistiche ufficiali perché non sono state sottoposte a tampone. Da un’analisi condotta sul numero di morti nel periodo dell’emergenza confrontati alla media degli ultimi anni è risultato un numero maggiore rispetto alle statistiche ufficiali. Da metà marzo a Milano i morti sono del 70% al di sopra delle medie degli ultimi anni, nel bergamasco si è arrivati fino a 4 volte il numero di morti del periodo.
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#5 L’unico sistema che si è dimostrato efficace contro la diffusione del COVID-19 è l’individuazione e l’isolamento dei contagiati tramite controllo con i tamponi
I paesi con il lockdown più restrittivo sono al momento l’Italia e la Spagna. Purtroppo non esistono ancora dati che possano dimostrare in modo univoco che sia per i contagi che per il tasso di letalità gli effetti di un lockdown totale siano migliori rispetto a paesi che non lo hanno attuato. In particolare, nazioni che non hanno inserito divieti al movimento per i cittadini, come Corea del Sud, Germania, Olanda, Svizzera o Svezia, presentano livelli di contagio e di mortalità in linea o inferiori a Italia o Spagna.
Sempre in base ai dati invece il metodo che al momento risulta più efficace è quello di individuare e isolare i contagiati (e i loro contatti diretti) attraverso un sistema di tamponamento a tappeto e di tracciamento dei contagi, adottato finora con successo in Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Germania, Islanda e, in parte, nella regione Veneto.
Qui l’invito che avevamo pubblicato a inizio del lockdown, il 9 marzo scorso, a seguire l’esempio della Corea (ai tempi l’Italia contava 366 morti con contagi a quota 7.000, simili a quelli della Corea): Quello che la Corea sta facendo per sconfiggere il virus
In attesa di avere dati certi sull’efficacia del lockdown quello che forse si dovrebbe dire è che, probabilmente, si è trattata dell’unica strategia attuabile in Italia perchè non c’era la capacità di ricorrere ad alternative più efficaci. Almeno fino ad ora.
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Conclusioni: le conseguenze
Se si condividono queste verità, le priorità di azione dovrebbero essere:
1. Mettere in massima protezione ospedali e RSA
Trattarle come delle zone rosse e isolare al massimo anziani e persone affette da gravi patologie.
2. Tenere sotto controllo medici e personale sanitario
Con tamponi periodici e test per valutare gli anticorpi. Nessun medico dovrebbe avere contatti non protetti con malati gravi o anziani, senza la garanzia di essere negativo al virus o di avere sviluppato gli anticorpi.
3. Tamponi, tracciamento e test anticorpi per riprendere l’attività
Per riprendere le attività normali occorre eseguire tamponi a tappeto e test per misurare gli anticorpi, procedendo a isolare chi è contagioso e consentendo a chi non lo è di riprendere la sua attività, evitando al massimo il rischio di contatti con possibili contagiati e, soprattutto, con le fasce della popolazione più a rischio.
ANDREA ZOPPOLATO
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