In attesa del vaccino o di una cura risolutiva, può essere utile fare il punto sulle metodologie principali che sono impiegate per curare i casi più gravi e sui farmaci che abbiamo a disposizione e che si stanno sperimentando per arginare e contrastare quest’emergenza.
Coronavirus: in attesa del vaccino, le CURE E I FARMACI impiegati per i malati
Ad oggi non esistono terapie specifiche per il coronavirus e il trattamento mira ad alleviare e curare i sintomi dei pazienti, in modo da favorirne la guarigione.
Oltre all’isolamento, i casi lievi vengono trattati con farmaci per abbassare la febbre e somministrazione di fluidi e di ossigeno in caso di polmonite, mentre i casi più seri con gravi problemi respiratori richiedono il ricovero in ospedale e attrezzature specializzate per mantenere la funzione respiratoria. A seconda delle condizioni, i pazienti possono trarre beneficio grazie a strumenti di ventilazione non invasiva, come le maschere ad ossigeno o i caschi, mentre nei casi più gravi è necessaria l’intubazione, nel caso in cui i malati non riescano più a respirare da soli e debbano essere collegati ad un respiratore artificiale esterno.
Le tecniche che stanno venendo sperimentate in Italia e all’estero seguono tre direttrici principali:
#1 Impedire la replicazione del virus
Come altri virus, anche il coronavirus non è un essere vivente vero e proprio in grado di riprodursi da solo ma si “introduce” nel nostro organismo e lo sfrutta per moltiplicarsi. Per semplificare, il coronavirus si lega alla membrana delle nostre cellule, inietta il suo codice genetico e sfrutta gli organelli cellulari per replicarsi. Le copie di virus prodotte lasciano poi la cellula e vanno ad infettarne altre in un processo di crescita esponenziale.
Identificare le strutture-chiave che consentono al virus di introdursi e moltiplicarsi nelle nostre cellule e utilizzarle come bersagli per bloccare la replicazione del virus potrebbe pertanto essere una strategia efficace per “debellare” il virus dal nostro organismo.
Ad oggi esistono già alcuni farmaci in grado di interferire a diversi livelli con questi processi:
- Clorochina – è il più comune farmaco anti-malarico ma sembra essere efficace anche nell’eliminare il coronavirus dalle colture cellulari, impedendo il legame tra il virus e la cellula ospite. Sperimentata su circa 100 pazienti in Cina, la clorochina – secondo quanto riportato dai medici che l’hanno utilizzata – ha portato ad un miglioramento dei sintomi dei pazienti e a una riduzione del periodo di degenza.
- Remdesivir – farmaco inizialmente sviluppato contro l’ebola, è in grado di bloccare gli enzimi sfruttati dal virus per replicarsi nella cellula ospite. Sebbene non sia stato ancora approvato per uso clinico, i risultati del trial condotto sui pazienti affetti da ebola sembrano confermarne il profilo di efficacia e sicurezza. La sperimentazione nei pazienti con Covid-19 è appena partita e in Italia verrà effettuata presso l’Ospedale Sacco di Milano, il Policlinico di Pavia, l’Azienda Ospedaliera di Padova, l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma e l’Istituto Nazionale di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani.
- Camostat mesylate – un farmaco contro la pancreatite acuta, che però si è rivelato efficace nella Sars-Cov2 e potrebbe ora essere utilizzato anche per la Covid-19. In questo caso, il meccanismo di azione sembra essere quello di impedire al virus in fase di replicazione di produrre la molecola-cancello che gli permette di introdursi nella cellula ospite.
#2 Spegnere l’infiammazione
I gravi sintomi polmonari associati alla Covid-19 sono dovuti in parte alla reazione del sistema immunitario contro il virus. Ridurre l’infiammazione con farmaci già disponibili può pertanto ridurre la gravità della polmonite e di conseguenza il tempo trascorso in terapia intensiva.
In questa direzione si muovono gli studi condotti sul Tocilizumab, un farmaco contro l’artrite reumatoide che agisce proprio bloccando la produzione di molecole infiammatorie prodotte dal sistema immunitario in risposta all’infezione virale. Supportata dai risultati incoraggianti di uno studio su 188 pazienti in Cina e dai primi dati positivi sui pazienti italiani, Aifa ha autorizzato l’uso del Tocilizumab su altri 250 pazienti affetti da Covid-19.
#3 La sieroprofilassi: impiegare gli anticorpi di persone immunizzate
Si chiama sieroprofilassi e l’idea è quella di sfruttare l’azione del loro sistema immunitario di una persona già immunizzata come arma contro il virus.
Nel caso di un’infezione virale, infatti, la scomparsa del virus è accompagnata dalla produzione di anticorpi specifici che hanno il compito di proteggere l’organismo da una seconda infezione. Sulla base dei dati disponibili, si ritiene che questo tipo di protezione agisca anche per il Covid-19 e pertanto si può pensare di utilizzare il plasma – ovvero la componente del sangue che contiene gli anticorpi – di pazienti guariti dalla Covid-19 per trattare i malati gravi. Questa strategia è già stata esplorata in Cina e la Lombardia sta mettendo a punto un protocollo sperimentale in cui pazienti guariti da Covid-19 e con alti livelli di anticorpi contro il nuovo virus potranno diventare “donatori” a favori di malati di Covid-19 in gravi condizioni.
LAURA COSTANTIN
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