Colonna sonora dell’emergenza coronavirus è il braccio di ferro tra governo e regione su competenze e responsabilità. Proviamo a fare chiarezza.
Covid-19, tutti gli scontri Governo-Regione. Chi ha ragione?
Il 31 gennaio il Consiglio dei ministri, a seguito dei primi due casi di contagio in Italia di 2 cinesi ricoverati allo Spallanzani, ha deliberato lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario “connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” per una durata non superiore ai 180 giorni, salvo rinnovo.
Questo ha permesso di esercitare di fatto “poteri sostitutivi” degli enti locali, per garantire interventi immediati a favore della popolazione e del territorio, tramite il capo della Protezione civile Borrelli in deroga alle disposizioni di legge e con uno stanziamento ad hoc. Conte nell’occasione aveva dichiarato: “Siamo vigili e molto attenti: non ci siamo fatti trovare impreparati. Non c’è nessun motivo di creare panico e allarme sociale. L’Italia è un grande Paese con i migliori servizi sanitari al mondo. Abbiamo alzato il livello di guardia in via precauzionale. Ci sono tutte le condizioni per gestire in maniera positiva l’evolversi della vicenda. Gli italiani possono condurre una vita normale“.
Ad oggi sono stati accertati quasi 18.000 morti in conseguenza del coronavirus, di cui oltre 10.000 nella sola Lombardia: di chi sono le colpe?
Fonte: avvenire.it
# Lombardia autonoma nella Sanità, è davvero così?
Le responsabilità su quanto fatto o non fatto per limitare i contagi e decessi sono state oggetto di rimpallo tra Governo e Regione Lombardia, le ultime schermaglie si sono concluse con la richiesta degli esponenti di PD-M5S di togliere l’autonomia regionale in materia sanitaria e riportare il potere sotto il diretto controllo dello Stato Centrale. Ma una regione ha davvero così tanta autonomia?
Per chiarezza: le Regioni non sono “sovrane” nel gestire la sanità pubblica. Questa loro competenza non è “esclusiva”, bensì “concorrente”, ossia le Regioni devono sottostare al rispetto dei principi fondamentali dettati dallo Stato come ricordato dal CNR – Istituto di Studi sui Sistemi Regionali, Federali e sulle Autonomie (ISSiRFA) e in particolar modo sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali. In poche parole il numero minimo di posti letto in terapia intensiva previsti per ogni Regione nonchè le risorse assegnate vengono stabilite dal Governo.
Quindi al Governo nazionale non è stato precluso nessun intervento per risolvere l’emergenza e nel caso avesse avuto subìto ostracismo dagli enti regionali, come riportato da Paolo Colasante e Andrea Filippetti ricercatori dell’istituto, “avrebbe potuto attivare lo strumento del potere sostitutivo, già previsto in Costituzione (art. 120), che tutto gli consente quando vi è “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica”.
Risultato: piena responabilità di entrambi
Fonte: ilsole24ore.it
# Le mancate zone rosse di Nembro e Alzano Lombardo: chi doveva decidere?
Le zone focolaio della bergamasca di Nembro e Alzano Lombardo, che hanno causato quasi 20.000 contagi accertati tra Bergamo e Brescia e migliaia di decessi, sono state al centro dell’attenzione politica e mediatica per capire il colpevole della mancata istituzione delle zone rosse per delimitare militarmente i 2 comuni e contenere il contagio.
Il Sindaco dei comuni interessati e il primo cittadino di Bergamo hanno puntato il dito contro la Regione Lombardia, la quale ha spedito la “patata bollente” al Governo e infine quest’ultimo ha rintuzzato l’attacco replicando che la giunta leghista avrebbe avuto tutti i poteri per agire direttamente. Chi doveva decidere quindi? Una risposta ci viene fornita sempre dall’ISSIRFA che ci dice che, al netto della confusione di atti statali, regionali e locali sovrapposti l’uno con l’altro sulla compressione delle libertà personali e limitazione degli spostamenti, “la Costituzione già fornisce al Governo gli strumenti per decidere in via esclusiva e definitiva tutte le limitazioni delle libertà necessarie a combattere l’epidemia“. Pertanto previo ascolto dei territori lo Stato centrale, come tentato inserendo il supercommissario Arcuri, avrebbe potuto svolgere il proprio ruolo unificante e di coordinamento di una pandemia con portata nazionale ma differenziata a livello territoriale dove il decentramento potrebbe esser efficace.
D’altro canto anche la Regione nel novero dei suoi poteri avrebbe potuto istituire una “zona rossa” come dimostra l’esempio dell’Emilia Romagna che ha ordinato la chiusura totale del Comune di Medicina in provincia di Bologna, al verificarsi di un alto numero anomalo di contagi, senza attendere un DPCM o altro intervento statale.
Risultato: piena responabilità di entrambi (sia Regione che Governo avevano il potere per istituire la “zona rossa”)
# I finanziamenti promessi e non mantenuti al sistema sanitario lombardo
Le risorse ai sistemi sanitari sono stabilite e messe a disposizione dallo Stato Centrale, senza dilungarci su quelli realmente spettanti in base al residuo fiscale, che negli ultimi 10 anni si sono ridotti di 37 miliardi. Tra le richieste fatte dalla Regione Lombardia per incrementare sensibilmente il numero di posti in terapia intensiva vi è stata quella di avvallare e finanziare il maxi-ospedale da realizzare nei padiglioni dell’ex-fiera al Portello: inizialmente è stato concesso, ma al momento di partire con il progetto il governo si è tirato indietro e il governatore Fontana ha chiamato l’ex-capo della Protezione Civile per coordinare sia la costruzione che il reperimento di attrezzature e macchinari. I finanziamenti sono arrivati invece da donazioni di imprenditori e semplici cittadini milanesi.
Altra marcia indietro è arrivata dalla Protezione Civile, che dopo aver garantito la restituzione di quanto speso dalle Regioni per l’acquisto di materiale medico, attrezzature, protezioni individuali e quanto di necessario a opporre la necessaria resistenza al Covid-19 e a far lavorare in sicurezza tutti gli operatori sanitari, ha ritrattato. La Lombardia nello specifico ha investito 450 milioni di euro, con il rischio di metterli come extra a bilancio.
Nella conferenza stampa di oggi 09 aprile però, presso Palazzo Marino a Milano, il Ministro Boccia ha chiarito che “tutte le spese regionali verranno rimborsate previa rendicontazione dettagliata” e il commissario Borrelli ha affermato che la stima di spesa attuale risulta essere di 208 milioni di euro.
Risultato: responsabilità del governo
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# Mascherine, guanti, camici e altri DPI (dispositivi di protezione individuale): chi doveva fornirli?
Su questo tema entrano in gioco anche i Comuni, che sono gli enti più direttamente coinvolti nell’emergenza. In primo luogo però ci sono sempre le Regioni che hanno lamentato ritardi nell’invio da parte del Governo di DPI in particolar modo per medici, infermieri e inservienti di ospedali e RSA (residenze sanitarie assistenziali) dove si sono registrati il maggior numero di contagi e decessi. Le situazioni più gravi si sono verificate nelle residenza sanitarie nei comuni della provincia di Bergamo, Brescia e di Milano a Mediglia e in città al Pio Albergo Trivulzio, per le quali sono partite delle indagini giudiziarie.
Al Governo la Lombardia ha contestato il ritardo nell’istituzione di misure di limitazione alla circolazione dei cittadini e nell’approvvigionamento di mascherine, guanti e camici, arrivate comunque in quantità ridotta rispetto al necessario, complice anche la burocrazia che ostacola la rapida riconversione di aziende italiane che intendano produrne. Le 3,3 milioni di mascherine di protezione consegnate per il tramite della Protezione Civile hanno lasciato l’amaro in bocca anche al Sindaco del Comune di Milano che se ne è viste recapitare solamente 120.000. Tra le altre cose Sala ha anche contestato a Fontana il mancato controllo sulle RSA e la riluttanza di ampliare il numero di tamponi come fatto in Veneto.
Risultato: responsabilità del governo e della Regione
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# Conclusioni: l’ “anomalia Milano” e le responsabilità di Sala
Il sistema italiano determina diverse zone d’ombra che comportano confusione di poteri e di responsabilità. Per le questioni più gravi che stanno emergendo con l’emergenza sanitaria in Lombardia sembra che in realtà, rispetto alla narrazione prevalente, il governo abbia responsabilità maggiori, a volte superiori rispetto a quelle attribuite alla Regione. Su tutte le questioni più delicate (mancanza di attrezzature, risorse per la sanità, creazione di zone rosse) il governo aveva la piena possibilità di operare. La responsabilità invece ricade totalmente sulla Regione se si dovessero trovare lacune nei controlli sulle RSA, le case di riposo dove il virus ha colpito con più durezza.
E il sindaco Sala? Difficile assegnare delle responsabilità su quanto accaduto. Eppure se ne può individuare una a monte che forse avrebbe consentito di evitare che Milano fosse la città italiana più colpita dal virus, visto che presenta un numero “anomalo” di decessi (vedi: Grandi città a confronto. L’anomalia Milano).
I poteri di un Sindaco in tema sanitario si limitano ad emettere ordinanze restrittive riguardanti chiusure di esercizi commerciali, parchi e requisizione di strutture alberghiere come nel caso di questa emergenza con l’Hotel Michelangelo utilizzato per ricoverare malati da coronavirus in quarantena. Beppe Sala avrebbe potuto fare maggiori pressioni per ottenere controlli sulle RSA, strutture private e comunali che pur operando perché autorizzate, accreditate, convenzionate e remunerate da Regione Lombardia, e nonostante siano sotto il controllo diretto delle ATS (Agenzia di Tutela della Salute) insistono comunque nel suo territorio di competenza: sia che si tratti di Comune come il Pio Albergo Trivulzio, sia che ci si riferisca alla residenza sanitaria di Mediglia facente parte della Città Metropolitana di cui lui è Sindaco.
Ma forse la responsabilità più grave, politica non giudiziaria, che può essere addebitata al suo sindaco è di essersi rifiutato di richiedere maggiori poteri per la città. Una Milano autonoma o città-stato con pari poteri di una regione, come consentito dall’art.132 della Costituzione, avrebbe consentito di poter gestire in maniera più rapida ed efficace l’emergenza avendo potere diretto sul territorio e, in particolare, sulla sanità locale, come dimostrano i casi internazionali.
Il tema dell’autonomia della città, per renderla simile alle grandi città del mondo, è sempre stato rigettato dal sindaco, come dichiarato qualche settimana fa in un’intervista in piena crisi coronavirus. Ora però rinunciare a questa ipotesi, per pregiudizi ideologici, rischia di aggiungere ai danni subiti nell’emergenza anche quelli derivati da una ripartenza della città intralciata dalla burocrazia nazionale.
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FABIO MARCOMIN
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