Un interessante modello frutto del lavoro del Dottor Paolo Spada dell’ospedale Humanitas tiene conto dei dati di contagio provinciale e della disponibilità dei posti letto. Il vantaggio di operare in questo modo è che si potrebbe adattare rapidamente alla reale necessità del territorio. Ecco come cambierebbe la geografia del rischio e che impatto potrebbe avere per Milano.
E se le ZONE ROSSE fossero per PROVINCIA e NON per REGIONE?
# Il governo è al lavoro sul nuovo Dpcm in cui potrebbe essere introdotto il parametro dell’incidenza di contagi su 100.000 abitanti per determinare le fasce di rischio
Il governo è al lavoro sul nuovo dpcm, che stabilirà le fasce in vigore da sabato in poi. Oggi 11 gennaio è atteso il primo confronto con le regioni. Tra i criteri che peseranno di più verrà valorizzato quello dell’incidenza dei casi registrati in ciascuna regione nell’ultima settimana, tarato su 100 mila abitanti. Una proposta partita dall’Istituto Superiore di Sanità, subito condivisa dal Cts. Un ritocco reso necessario dopo che nelle ultime settimane, il peso eccessivo dato all’Rt e ad altri indicatori troppo riferiti ai giorni passati, facevano perdere un po’ il contatto con l’andamento in tempo reale. La situazione emblematica è quella della Regione Veneto, da tempo in zona gialla e da un mese ormai quella con il più alto incremento di contagi e decessi.
# La proposta di istituire le zone rosse in base ai dati di contagio provinciale lanciata dal Dottor Paolo Spada
Il dottor Paolo Spada, specializzato in Chirurgia Vascolare ed Endovascolare all’ospedale Humanitas di Rozzano, propone un sistema alternativo a quello attuale delle regioni a colori, che prevede solo aree rosse provinciali, istituite sulla base del valore di incidenza nella provincia (casi ogni 100.000 abitanti in sette giorni). Il vantaggio di questo modello rispetto al sistema attuale è che esso si adatta rapidamente alla reale necessità del territorio, valorizzando il senso di responsabilità del cittadino. In questo modo la Città Metropolitana non sarebbe a rischio zona rossa. Qui il link alla mappa interattiva, basata su dati del Ministero della Salute e di Agenas.
Al di fuori delle aree rosse, è ipotizzabile la riapertura di tutte le attività, sottoponendole solo a contingentamento. La soglia delle zone rosse sarebbe stabilita in base alla disponibilità di posti letto, cioè posti letto non occupati da pazienti Covid, che varia sensibilmente da una Regione all’altra. La soglia regionale è determinata da posti letto liberi in Area Critica ogni milione di abitanti più posti letto liberi in Area Non Critica ogni 100.000 abitanti. La progressiva vaccinazione della popolazione, riducendo gradualmente l’occupazione ospedaliera, alzerebbe proporzionalmente la soglia di restrizione.
Fonte: Paolo Spada su Facebook
# La città metropolitana di Milano sarebbe a cavallo tra zona gialla e arancio
Anche utilizzando tutti i parametri individuati dal governo Milano non sarebbe considerata zona a rischio elevato, ma guardiamo prima la situazione a livello regionale. In base ai dati dell’ultima settimana relativa ai contagi ogni 100.000 abitanti la Lombardia si ferma molto sotto la soglia di 250 casi che, se introdotta come parametro di valutazione dell’andamento della pandemia, porterebbe il territorio in fascia rossa in caso di suo superamento. L’indice Rt a 1,27 e l’occupazione delle terapie intensive oltre la quota di sicurezza del 30% la classificherebbe però in zona rossa, così come paventato dal governatore Fontana se i numeri dovessero peggiorare ulteriormente.
La situazione è diversa nella Città Metropolitana di Milano, così come quasi in tutte le altre province lombarde escluse Como, Sondrio, Brescia e Mantova. Infatti il numero di contagi ogni 100.000 abitanti è a 109, distante dai 250 ipotizzati per le zone rosse, e l’indice Rt è a 1,14, entro la soglia per essere in zona arancione. Prendendo quindi i due parametri principali, contagi settimanali ogni 100.000 abitanti e l’indice Rt, l’area metropolitana inclusa anche Monza Brianza potrebbe posizionarsi a cavallo tra la zona gialla e quella arancione.
Una valutazione sicuramente più puntuale e rispettosa dell’andamento dell’epidemia a livello territoriale rispetto alle ipotesi al vaglio dell’esecutivo. Il caso più eclatante arriva da Bergamo. L’area più colpita d’Europa durante la prima ondata, con diversi studi che ipotizzano una sorta di immunità di gregge già presente, registra solo 43 contagi ogni 100.000 abitanti nell’ultima settimana.
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FABIO MARCOMIN
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Prendo ad esempio quanto da lei riferito per la Provincia di Sondrio: il fattore determinante per considerarla in zona rossa è il numero di posti letto disponibili.
Attualmente Sondalo (SO) ospita malati COVID da tutta la Regione marcatamente dal Milanese e Brianza.
Teniamo anche in considerazione che pure sotto Covid c’è una mobilità per motivi lavorativi: è più probabile che per motivi lavorativi si rimanga nella stessa regione che non nella stessa provincia.
Sul vostro stesso sito è un motivo di vanto che milioni di persone si reversino ogni mattina su Milano e poi tornino la sera nella loro provincia di residenza: Varese, Como, Lecco; Bergamo, Brescia, Lodi, e a volte anche sa Cremona e Sondrio.
Vi sono anche flussi da altre regioni ma meno significativi: dal Novarese e dal Piacentino ad esempio che la gestione su base regionale in parte limita.
Il modello di zone su base provinciale quindi è distorto:
1) Non si tiene in considerazione dei posti letto gestiti su base regionale.
I pazienti vengono spostati da una provincia all’altra sulla base della disponibilità.
Inoltre i posti letto sono definiti da un modello regionale che ha un ‘ottica di ottimizzazione e mutualità che ha richiesto decenni di implementazione.
2) Non tiene in considerazione sulla mobilità all’interno della Regione per motivi lavorativi e di necessità attualmente permessi e che verrebbero permessi anche con la suddivisione delle zone per provincia.
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