In mancanza di un piano sanitario serio e di una strategia per un monitoraggio epidemiologico su larga scala, i cittadini lombardi si chiedono come fare a sapere se hanno contratto il virus nei mesi passati. Magari con la recondita speranza di aver già contratto la malattia, dato che in Lombardia il virus circola da almeno fine gennaio e le testimonianze di molti cittadini che hanno riportato polmoniti e influenze anomale potrebbero addirittura anticipare questa data a Natale 2019.
Vediamo quindi quali sono i test che ci possono aiutare a capire se abbiamo contratto il virus e se e dove è possibile farli.
I lombardi alla ricerca del TEST PERDUTO
#1 Test sierologici
I test sierologici misurano gli anticorpi che il nostro organismo produce per difendersi dal virus e sono quindi in grado di dirci se abbiamo contratto l’infezione.
Esistono essenzialmente due tipi di test sierologici: quelli rapidi o qualitativi, che sono in grado di stabilire solo la presenza o meno degli anticorpi, e i quantitativi, che misurano la quantità effettiva di anticorpi presenti nel sangue. I primi si effettuano pungendo il polpastrello di un dito, da qui il nome pungi-dito, e mettendo la goccia di sangue su uno stick con delle asticelle che si colorano in presenza degli anticorpi. I test quantitativi, invece, richiedono il prelievo di un campione di sangue che viene analizzato in laboratorio per “dosare” gli anticorpi presenti. Entrambi i test misurano due tipi di anticorpi: gli IgM, prodotti nei primi giorni della malattia e la cui presenza indica un’infezione recente, e gli IgG, che si sviluppano dopo 7-14 giorni e rimangono a testimonianza del nostro incontro con il virus.
Questi test possono essere utilizzati per fare degli studi epidemiologici e verificare la diffusione del virus in un dato territorio, informazioni estremamente importanti soprattutto alla luce del fatto che molte persone con Covid-19 hanno avuto sintomi leggeri o sono addirittura asintomatiche. Inoltre avere informazioni sulla letalità del virus, sulla sua diffusione geografica e sulla distribuzione per fasce di età sarebbe stato fondamentale per pianificare in maniera precisa e mirata la fase due e l’allentamento delle misure restrittive.
I test sierologici possono però essere utili anche per fare uno screening veloce a chi lavora in settori a rischio, come medici e infermieri, ai lavoratori a contatto con il pubblico, come gli autisti dei mezzi pubblici, ma anche per chi deve e vuole rientrare al lavoro in sicurezza. Questi test potrebbero quindi essere utili anche per aumentare la capacità diagnostica. Infatti la capacità dei nostri laboratori di analizzare i tamponi è limitata, quindi i sierologici potrebbero essere utilizzati per “selezionare” i positivi da sottoporre a tampone per verificare la presenza del virus.
I positivi ai sierologici, infatti, devono essere sottoposti a tampone per verificare se sono infettivi in quel dato momento. La positività agli anticorpi non permette però di sapere se siamo portatori o meno dell’infezione ma solo se siamo entrati in contatto con il virus per cui i positivi ai test sierologici devono essere sottoposti a tampone per verificare se sono infettivi in quel dato momento.
#2 Tampone
Il tampone naso-faringeo è al momento l’unico test approvato a fini diagnostici per confermare la presenza del coronavirus. Questo test fotografa un istante ed è in grado di dirci se l’infezione è attiva e il virus è presente in quantità significative nelle nostre mucose in un determinato momento. Si effettua prelevando del muco dal naso o dalla gola tramite un bastoncino cotonato. Il campione viene poi inviato ai laboratori di analisi che andranno alla ricerca del genoma virale tramite una metodologia chiamata real-time PCR. In pratica si utilizza una sonda in grado di legarsi al genoma del virus, se presente, e amplificarlo per renderlo “misurabile”.
Chi risulta positivo al sierologico ma negativo al tampone, ha contratto la malattia in passato ma non è più infettivo e può tornare a svolgere le sue attività quotidiane. Chi invece risulta positivo al sierologico e positivo al tampone, ha la malattia in corso e dovrà pertanto essere sottoporsi a isolamento e cure specifiche.
#3 La situazione in Lombardia
Fino a qualche giorno fa, in Lombardia i tamponi e i test sierologici quantitativi erano gestiti dalla Regione e quindi non era possibile per un singolo cittadino richiedere questo tipo di test. Privatamente era possibile fare solo i test sierologici qualitativi, con dei grossi limiti legati principalmente all’affidabilità dei kit utilizzati e alla mancanza di un controllo sulle strutture che li eseguivano. Dal 13 maggio la Regione ha autorizzato le strutture private a fare i test sierologici quantitativi con l’obbligo di segnalare e sottoporre i positivi anche al tampone. Non ha fissato un prezzo per i sierologici mentre per i tamponi la tariffa di riferimento è 62,89 euro, ma possono essere fatti solo a seguito di positività al test sierologico.
Il provvedimento regionale prevede comunque una serie di ostacoli che limitano la portata di questa apertura ai singoli cittadini che vogliono scoprire se sono stati contagiati. Innanzitutto per avere l’autorizzazione a fare i sierologici, i centri privati devono essere in grado di effettuare il tampone a tutti i sospetti positivi e la regione ha imposto che i laboratori garantiscano l’80% della quota aggiuntiva di tamponi al SSN e il restante 20% al libero mercato, ovvero a chi si è sottoposto a test sierologico ed è risultato positivo. Questo meccanismo agevola i grossi laboratori privati che avranno maggiori capacità di negoziazione e potranno siglare degli accordi per far processare i tamponi anche da laboratori fuori regione. Inoltre se il privato cittadino decide di sottoporsi al sierologico e risulta positivo, è costretto non solo a fare il tampone ma anche a pagarselo. Questa decisione ha attirato numerose critiche, in quanto se i test sierologici non sono ritenuti utili a fini diagnostici, e di conseguenza non rimborsabili, non si capisce perché far pagare al privato cittadino anche il tampone, che invece è lo strumento diagnostico per eccellenza.
A seguito delle polemiche, il governatore Fontana ha quindi fatto una parziale retromarcia, dichiarando che il tampone verrà rimborsato solo se confermato positivo, ma ribadendo che con l’ultima delibera si è data la possibilità ai medici di base di prescrivere i tamponi anche agli asintomatici, in caso di sospetto positivo, e aggiungendo che sarebbe meglio che il cittadino si rivolgesse al proprio medico anziché affidarsi al “fai da te”. Esigenza che forse non sarebbe nata se la Regione Lombardia avesse adottato fin da subito delle politiche concrete per aumentare la capacità dei tamponi e garantire un test a tutti i sintomatici acuti fuori dagli ospedali.
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LAURA COSTANTIN
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