Se non è stato facile abituarsi a restare a casa, a lavorare e studiare da remoto, a non vedere gli amici per mesi ma incontrarli in videocall, sta risultando ancora più difficile ricominciare a riprendere la vita normale post-lockdown. Secondo gli psicologi, è tutto nella norma. L’idea di tornare all’esterno può mettere ansia. Cambiare fa paura.
Psicologia: siamo affetti da “Sindrome della CAPANNA”?
#1 “Sindrome della capanna”: di cosa si tratta
Gli esperti la chiamano “sindrome della capanna”, o anche “sindrome del prigioniero”, e si riferiscono proprio a quel misto di confusione e insicurezza, di ansia e paura di uscire di casa, di incontrare altra gente, di trovare un mondo profondamente diverso da quello in cui si era abituati a vivere. In generale, è la paura della ripartenza.
I sintomi più frequenti: mancanza di voglia di uscire, insonnia, irascibilità.
Sta diventando sempre più diffusa in seguito alle restrizioni imposte con l’emergenza Covid 19, ma questa sindrome è da sempre stata molto comune, per esempio, in alcuni stati degli Usa dove la popolazione è costretta a rimanere in casa per mesi per affrontare in sicurezza gli inverni molto rigidi e prova un senso di straniamento e angoscia all’arrivo della primavera quando torna ad avere contatti diretti e più stretti con il mondo e gli altri. Lo stesso effetto lo ha chi esce da un periodo di malattia molto lungo o di ospedalizzazione prolungata.
#2 Motivazioni
La “Sindrome della capanna”, come accennato sopra, è dovuta a molti fattori. Senza dubbio però, ora è amplificata dalla realtà post-Covid: uscire con mascherine, trovare ristrettezze e controlli serrati in stile ospedale nei luoghi pubblici, non sapere cosa si può e cosa non si può fare.
Il nido domestico ci ha protetto per mesi dal fantasma di un virus letale che poteva colpire chiunque e ovunque. Ma adesso, che si può uscire, l’atmosfera che si respira è faticosa e incerta. La realtà esterna è percepita come ansiogena, come soffocante e ciò spinge le persone a restare a casa, ad evitare incontri, ad autoisolarsi. Come spiega Roberto Ferri, presidente della Società italiana di Psicologia dell’emergenza, al fattoquotidiano.it: “Si tratta di una paura generata non solo dal rischio di ammalarsi, pensiamo a quella di salire su un autobus o di entrare in banca, ma anche da quello di contagiare i propri cari, i genitori anziani, i figli, gli amici. E poi c’è la paura di non ritrovare fuori il mondo che conoscevamo prima“.
#3 Soggetti più a rischio
Nella situazione attuale, tra i soggetti più a rischio ci sono sicuramente gli anziani, meno propensi a cambiare abitudini in così poco tempo e meno allenati ad affrontare le novità. Questa sindrome interessa però anche tutti quei soggetti più sensibili, chi è per natura più ansioso, chi ha subito recentemente un lutto o chi vive da tempo situazioni di depressione.
Ottima reazione, invece, la sta avendo chi è da sempre abituato al cambiamento, alle novità, chi ha uno spirito curioso e un cervello esplorativo.
#4 Allarme nel mondo
Nelle scorse settimane, tra i primi a lanciare l’allarme è stato il Collegio Ufficiale di Psicologi di Madrid. Un team di ricercatori spagnoli aveva segnalato che a soffrire di questo disturbo ci sono più persone di quante si possa immaginare in tutto il mondo. In effetti, si pensi che solo in Italia sono circa un milione di persone a soffrirne.
#5 Come superare la sindrome
Parola chiave, gradualità. Rimanere chiusi in casa potrebbe solo contribuire ad accrescere le nostre paure e portarci a problemi peggiori in seguito. Bisogna riabituarsi al mondo esterno gradualmente. Ogni piccolo passo quotidiano sarà essenziale per verificare che il mondo non è sempre una minaccia.
Fonti: fattoquotidiano.it, ilgiornale.it lamentemeravigliosa.it
LETIZIA DEHO’
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