Da Gioacchino Belli a Trilussa, da Alberto Sordi a Carlo Verdone passando per Gigi Proietti, il romano – o forse meglio “romanesco” – è stata la lingua che ha caratterizzato grandi artisti della nostra storia. Non solo, quindi, un semplice dialetto, ma un vero e proprio veicolo espressivo composto di eccentricità, poeticità, sensibilità e, perché no, una giusta dose di spregiudicatezza. Ad oggi questa lingua è mutata moltissimo e tante espressioni tipiche sono andate perdute. Ecco quindi le 7 espressioni tipiche del romanesco ormai cadute in disuso.
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7 espressioni romane cadute in disuso
# Appizzare

Un tempo si diceva “me so’ appizzato du’ spicci” per dire che si aveva risparmiato qualche soldo, messo da parte magari in un momento di difficoltà per poterlo usare quando si restava a secco. Questo termine riflette quella che era la tipica parsimonia delle famiglie popolari romane, le stesse che hanno contribuito a creare l’immaginario collettivo relativo alla borgata. Ad oggi il termine è quasi totalmente perduto, soppiantato da termini più generici come “mettere da parte”.
# Cazzabubbole

Quante volte capita di dover ascoltare discorsi privi di sostanza o pieni di sciocchezze e luoghi comuni? Insomma, concentrati di fesserie, stupidaggini o, come si sarebbe detto a Roma, di cazzabubbole! Questo termine indicava esattamente questo e il suo suono buffo e musicale richiama perfettamente il suo significato. Ad oggi anche questa parola è stata sostituita da termini decisamente più generici.
# Frescà

“Ao ma che me stai a frescà?” ogni tanto si sente ancora e forse qualche romano ancora lo riconosce. Questa è la tipica domanda che un romano poteva rivolgere a qualcuno che cercava di fregarlo o prendersi gioco di lui. Questa espressione richiama anche altri termini come “frescone” che indicano qualcuno con la testa tra le nuvole. Nonostante sia alquanto originale, si usa sempre meno in favore di termini spesso più volgari.
# Gnafà

Un’espressione come “sto a gnafà tutto er giorno” indicava una giornata passata in totale pigrizia. Sebbene il concetto di ozio resti eterno, questa parola è caduta in disuso, lasciando spazio a modi di dire più attuali come “nun faccio niente“.
# Scarpinare

Un romano, per raccontare di una giornata in cui ha camminato tanto o ha battuto più strade o sentieri, poteva dire di aver “scarpinato” qua e là, per questo o quel borgo. Anche questa parola ha un suono che richiama vividamente il suo significato, anche perché in sé stessa contiene proprio la parola “scarpa”. Ad oggi non esiste una parola che l’abbia sostituita.
# Sguillà

Dire “so’ sguillato per le scale” sicuramente non fa pensare a una bella esperienza. “Sguillare” in romano voleva dire scivolare o cadere rovinosamente, evocando un’immagine chiara e sonora dell’accaduto. Anche questa parola è scomparsa senza essere sostituita da un termine apposito.
# Zompare

Sentire un bambino dire “zompa qua!” può farci pensare che stia giocando con un amico o che comunque si stia intrattenendo in un’attività fisicamente impegnativa. Questo verbo, decisamente vivace e dinamico, è oggi sostituito dal termine italiano “saltare”.
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RAFFAELE PERGOLIZZI
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