La pazza storia dell’Eremita che viveva nella “capanna di sassi” tra le guglie del Duomo

Istat (2023): 2.000 senza tetto a Milano. Questa è la storia dell'unico "barbone" che visse in mezzo alle guglie del Duomo

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Le cattedrali di tutto il mondo custodiscono storie e leggende di personaggi enigmatici: Parigi ebbe il celebre Gobbo di Notre Dame, ma Milano non è da meno. Proprio nel cuore della città, tra le guglie del Duomo, ha vissuto il più noto tra i “barboni” milanesi: l’Eremita. Questa è la sua storia.

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La pazza storia dell’Eremita che viveva nella “capanna di sassi” tra le guglie del Duomo

# Milano nel 1651

Siamo nel 1651. Il Duomo di Milano, iniziato nel 1386, non è ancora completato: la facciata è un cantiere e materiali e attrezzi sono accatastati alla rinfusa nella piazza. Durante il giorno, il sagrato è animato dal mercato e dal via vai di persone, ma di notte la scena cambia radicalmente.

La piazza si trasforma in una zona buia e pericolosa, in particolare tra il quartiere del Rebecchino (un “mono isolato” che sorgeva nell’attuale perimetro di Piazza Duomo) e il vicino Bottonuto (situato subito a sud, in corrispondenza dell’attuale Piazza Diaz) si annidano criminali e prostitute, rendendo l’area tutt’altro che raccomandabile.

È in questo contesto si muove e vive, solitario, quell’uomo noto ai milanesi come l’Eremita. Un povero milanese, sopravvissuto alla terribile peste del 1630 e rimasto solo a causa dell’epidemia, che, però, aveva trovato rifugio accanto alle mura della cattedrale.

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# La “Capanna di Sassi” accanto al Duomo

Credits: Ideogram.AI

Per ripararsi dalle intemperie, l’Eremita si era costruito una sorta di dimora rudimentale, la “Capanna di Sassi”, fatta con i materiali di scarto del cantiere. Gli operai della Fabbrica del Duomo e persino la polizia spagnola, che pattugliava la zona, tolleravano quella costruzione improvvisata e chiudevano un occhio: l’eremita era conosciuto, rispettato e lasciato in pace.

Un giorno, però, tutto cambiò. La Fabbrica del Duomo ricevette l’ordine di sgomberare la zona in cui l’Eremita aveva stabilito la sua capanna: si trattò della necessità di pavimentare l’area circostante la cattedrale.

Quel giorno, furbescamente, gli operai si misero al lavoro mentre l’Eremita era assente, smantellando il rifugio fatto di pietre e materiali di fortuna. Al suo ritorno, il pover’uomo non trovò neanche i resti del suo rifugio. Il suo “igloo”, costruito pietra su pietra, non esisteva più.
Gli operai e la direzione della Fabbrica, però, furono mossi a compassione per quell’uomo rimasto senza casa e decisero di rimediare al danno con un gesto inaspettato e generoso.

# Una nuova casa tra le guglie del Duomo

In segno di scuse, gli operai della Fabbrica del Duomo si offrirono di costruire all’Eremita un rifugio alternativo, ben più sicuro e lontano dai pericoli del sagrato. Fu così che l’uomo domandò, e ottenne, un luogo davvero singolare dove far erigere la nuova “abitazione” di sassi: il tetto del Duomo di Milano, praticamente in mezzo alle guglie. Da quella posizione elevata, l’Eremita fu al sicuro dalle aggressioni notturne e poté vivere sotto il cielo stellato, ma pur sempre circondato dalla bellezza architettonica della cattedrale.

Quella nuova dimora divenne il rifugio dell’Eremita per dieci anni. Protetto tra le guglie, l’uomo passò le proprie giornate pregando e contemplando, “senza più fare ritorno” alla città. La Veneranda Fabbrica del Duomo, affezionata a questo personaggio bizzarro, che, nella povertà più assoluta, sopravviveva nei pressi della casa di Dio, si occupò anche del suo sostentamento.

L’Eremita visse sul tetto del Duomo fino alla sua morte, avvenuta nel 1660. Con la sua scomparsa, la “capanna di sassi” venne definitivamente rimossa, ma la storia d questo Eremita del Duomo è rimasta viva nella memoria di alcuni milanesi.

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MATTEO RESPINTI

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Matteo Respinti
Nato a Milano, l'11 settembre 2002, studio filosofia all'Università Statale di Milano. Appassionato, tra le tante cose, di cultura e filosofia politica, mi impegno, su ogni fronte alla mia portata, per fornire il mio contributo allo sviluppo della mia città, della mia regione e del mio Paese. Amo la mia città, Milano, per il racconto di ciò che è stata e per ciò che sono sicuro possa tornare a essere.

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