Nella parte nord della città, il tessuto urbano nasconde delle sorprese. A ridosso del Villaggio dei Giornalisti, troviamo delle originalissime costruzioni che ancora oggi rappresentano uno degli esperimenti residenziali più curiosi mai realizzati in tutta Italia.
La strada di Milano con le case fungo e le case zucca
# Le origini: il villaggio dei giornalisti con “case per l’alta borghesia”
Ci troviamo in via Lepanto, quartiere Maggiolina, ai margini del cosiddetto Villaggio dei Giornalisti. Zona di (ex) case popolari per la piccola e media borghesia milanese progettata dall’ingegnere Evaristo Stefini e realizzata da una cooperativa composta principalmente da giornalisti, pubblicisti e avvocati (da qui il nome del Villaggio) tra il 1909 e il 1912, nell’allora comune di Greco. Il progetto nacque a seguito di un editoriale pubblicato nel 1911 da Mario Cerati, direttore de Il Secolo, nel quale si denunciava come l’attenzione del governo fosse concentrata solo sulle masse operaie e sull’urbanistica popolare, mentre scarseggiavano i quartieri dell’alta borghesia.
Fu così che fra palazzine liberty a due o tre piani e ampi spazi di verde che fanno oggi di questo quartiere il primo esempio di città-giardino in Italia, qualche anno più tardi sorsero anche gli otto igloo di cemento, costruiti nel 1946. Cavallè fu anche autore e realizzatore del progetto delle case fungo sempre alla Maggiolina, il cui destino come vedremo è stato meno fausto. Ma procediamo con ordine.
# Le case zucca o igloo: nate come risposta temporanea per gli sfollati della seconda guerra mondiale
Il progetto di Mario Cavallè, che oggi appare piuttosto eccentrico, era in realtà molto pragmatico: si trattava di unità abitative provvisorie che avrebbero potuto rappresentare una risposta veloce ai bisogni delle famiglie sfollate, con le case distrutte dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Molti peraltro non sanno che il modello residenziale e la tecnica costruttiva delle case igloo, chiamate anche case zucca, sono un retaggio degli Stati Uniti, dove in quegli anni era piuttosto diffusa un’architettura delle dimore circolari.
# Dovevano essere abbattute ma…
È da qui che Cavalli prese spunto per progettare abitazioni a pianta rotonda di circa cinquanta metri quadrati sviluppate su due livelli (seminterrato e primo piano). Il sistema costruttivo a volta, formato da mattoni forati disposti a losanghe convergenti, permetteva la massima libertà sulla sistemazione degli spazi interni, laddove la disposizione originaria prevedeva ingresso, bagno, due camere e cucina. Esattamente come per le case fungo costruite nello stesso periodo anche per le case zucca si parlò di demolizione negli anni Sessanta, ma l’architetto Luigi Figini si mobilitò per evitare che venissero abbattute, ottenendo per così dire un quarto di vittoria.
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# …ne sono rimaste due
Oggi infatti solo due delle originarie otto case igloo (o zucca) hanno mantenuto questo impianto, mentre le altre hanno subito importanti interventi di ampliamento e rifacimento: una di loro ha un nuovo vano accorpato all’igloo originale destinato a bagno, un’altra è stata ripensata come loft open space e pian pianino anche le altre quattro sono progressivamente sparite fra mille ristrutturazioni.
Le due case igloo sono tuttora abitate e di proprietà privata, anche se qualcuno nelle amministrazioni spera che i proprietari possano un giorno cedere per realizzarvi un piccolo museo. Nello stesso quartiere è possibile inoltre imbattersi nell’unica casa palafitta di Milano, la Villa Figini (dal nome del sovracitato urbanista) sospesa da terra grazie a dodici pilastri di cemento. Insieme alle case igloo avremmo potuto vedere anche le case fungo…
Le “case fungo” scomparse
Le “case fungo” erano state costruite in due esemplari e insieme alle “case igloo” avevano contribuito a rendere il quartiere fiabesco e a tratti onirico.
La caratteristica di queste costruzioni, oltre alla peculiare forma a fungo, era lo sviluppo su due livelli sovrapposti: il gambo al piano inferiore, più stretto, la cappella al piano superiore, più ampio. Sembra che l’ingegnere abbia tratto ispirazione dall’Amanita Muscaria, uno dei funghi psicoattivi più appariscenti del bosco.
Purtroppo chi è giovane non può averne memoria, poichè il nipote stesso dell’ingegnere decise di demolirle nel 1965, per realizzarci una costruzione tuttora abusiva. Però chi vuole vederle ha ancora una possibilità. Deve solo fare qualche chilometro in più.
Le copie a Novate Milanese
Per i nostalgici e per chi non ha potuto vederle dal vivo, a Novate Milanese ne hanno riprodotte tre unità, non corrispondenti al 100% alla forma e a i colori degli originali, ma in grado comunque di richiamarne la memoria.
Lanciamo la proposta: e se le ricostruissimo anche a Milano, nel loro luogo natale?
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