Quali sono le parole che, pur non essendo di origine milanese, sarebbero perfette se fossero nate in lingua meneghina?
Le 7 parole dei dialetti d’Italia che starebbero benissimo nel milanese
#1 Amuninni, dalla Sicilia la sveglia e la carica allo stesso tempo
Amuninni è una delle espressioni più intraducibili e tipicamente siciliane, molto più di tantissime altre che forse hanno maggiore celebrità. Letteralmente significa “Andiamo”, ma racchiude anche significati molto più potenti, come il migliore incoraggiamento quando si inizia un viaggio, si intraprende un’avventura, nasce una nuova impresa o – perché no? – anche quando si è persa ogni speranza. Amuninni è capace di trasformare lo stato d’animo, un invito all’azione, a darsi da fare, tutto in un’unica parola che, utilizzata con sagacia e maestria, sta ai milanesi come un abito su misura. Uno stile di vita racchiuso in questo suono, che possiede un che di magico.
Farebbe il paio perfetto con lo sbrigativo modo di dire milanese, “cià”. Che ne dite di unire “cià, amünì?”
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#2 Gold, dalla Venezia Giulia il modo di dire che appaga
Poc se spind, poc se gold – ovvero poco si spende, poco si gode.
Al di là della forma giuliana, che i viaggiatori di due secoli fa ritenevano una lingua a metà strada tra il francese e lo spagnolo, curiosamente relegata ai margini di un territorio italico compreso tra gli austriaci, le montagne e l’influenza della Serenissima, quello che colpisce di questo detto e, di conseguenza, della parola “Gold” è la profonda saggezza della semplicità: se vuoi ottenere un risultato appagante, devi spendere di più.
Questo è un concetto talmente meneghino che non c’è alcun bisogno di spiegarlo. Se il Dogui non fosse stato milanese, sarebbe stato certamente Giuliano e se gold fosse inglobato nel dialetto milanese, sarebbe l’unità di misura del ranking di Tripadvisor: quanti gold la g’ha che l’osteria chi?
#3 Cutvegna, dalla Romagna auguri bitter-sweet
Quella romagnola è una dei tanti esempi di lingua che non ha riscontri con l’origine latina dell’italiano. Il romagnolo deriva dal gallo-italico e ha, rispetto all’uso delle doppie vocali meneghine, una pronuncia delle consonanti che lo rendono comprensibile solo ai nativi della regione.
Ben accetto nel dialetto milanese, potrebbe essere un sarcastico quanto divertente augurio, cutvegna, condensato di secoli di buon umore e tante consonanti.
Letteralmente significa Che ti venga, poi la frase termina qui, ma è un colpo ciò che si augura al nostro interlocutore. È la tipica frase di augurio che i romagnoli usano con modalità mista, benaugurante o il contrario e che un popolo di cuore come quello milanese, capace di un senso dell’umorismo non propriamente popolare, saprebbe usare con altrettanta destrezza, internazionalizzandolo: stà schis & cütvegni
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#4 Aridaje, da Roma la lotta all’inutile ridondanza
Arriva da dove meno te lo aspetti, un invito a togliere fronzoli, ad evitare inutili ripetizioni e a farla spiccia, come si dice nelle borgate della capitale.
Aridaje è una parola completamente diversa da daje, che già ha preso piede nel capoluogo lombardo.
Daje è una bellissima esortazione, ma guai a pensare che Aridaje sia un daje al quadrato. Letteralmente potrebbe sembrare, ma a Roma viene usato solo per sottolineare una seccante ripetizione di cose, azioni o parole, magari non richiesta, che comporta perdita di tempo e di concentrazione. Spesso associato dal linguaggio del corpo che tradisce noia, una seccatura inaccettabile. C’è qualcosa di più milanese di questo?
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#5 Paliatone, dalla Lucania un legame spagnolo con Milano
La proverbiale sintesi del Sud ci porta in Lucania, o comunque in tutte le regioni in cui domina un dialetto derivante dal napoletano di origine spagnola. Paliatone è un’espressione che consacra in maniera definitiva la voglia di gonfiare di botte qualcun altro, detto in una parola. Dovrebbe derivare dallo spagnolo apelar, ossia bastonare.
Oggi viene usato in maniera meno letterale, più simbolica: promettere un paliatone a qualcuno non si traduce per forza nella manica di botte.
Il suono della parola paliatone, in milanese, dovrebbe essere simile a paliatün o palliatün, mimando il gesto che vogliamo fare un c… così all’avversario.
Un gesto, un suono, il dono della sintesi e la disputa è sistemata, quasi certamente senza passare dalla parola ai fatti.
#6 Pizzicallante, da Foggia con amore
Delle lingue che si parlano in Italia, la Puglia ne ha un numero impressionante, proprio perché ogni quartiere possiede dei lemmi e modi di dire che cambiano da zona a zona, perfino all’interno della stessa città.
È Foggia che risalta per una termine incredibile, Pizzicallante, che denota persona puntigliosa e permalosa, che si attacca ai dettagli, rinfacciando di tutto. I foggiani sostengono di incontrare parecchi pizzicallanti, a Milano, tutto sommato siamo la seconda città della Puglia per numero di pugliesi residenti. In meneghino potrebbe suonare come spizicalànt, o spizicallànt, e siccome è un po’ un cerca scuse, a Milano potrebbe essere il soprannome del libretto della giustifica.
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#7 Cazzimma, da Napoli la trasformazione positiva più veloce
Sul gradino più alto del podio, per gusti personali di chi scrive, finisce la cazzimma, una parola napoletana forse non molto antica ma nemmeno così giovane come vuole far credere certa letteratura anni ’80. Una parola che ha ribaltato completamente il proprio significato, e che a Milano starebbe benissimo nella sua accezione più moderna: avere cazzimma significa esser gente vera, che non ha paura di niente e nessuno, che non molla mai la sfida.
Inizialmente identificata con una sfumatura negativa, per denotare individui senza scrupoli e pronti a calpestare perfino la famiglia pur di arrivare al successo, la cazzimma viene ora usata più per esaltare alcune virtù immateriali ma positive.
Parola intraducibile, in meneghino dovrebbe essere scritta come in napoletano e farebbe coppia fissa con la qualità N. 1 dei milanesi: la milanesità
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LAURA LIONTI
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