Un milanese nella tormenta di neve in Polonia solo in pantaloncini

Tutto ha avuto inizio il 3 febbraio. Il giorno del mio compleanno

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Questa volta me la sono vista brutta. Su un monte dei Giganti a Karpacz, Polonia. In mezzo a una bufera di neve con la pelle tagliata dal vento. Sì, perché indossavo solamente scarpe, berretto, guanti e pantaloncini corti. Nient’altro. Dopo oltre tre ore di trekking insieme ad altri compagni di viaggio in queste condizioni. Come mi sono cacciato in questa situazione? Mi è tornato in mente quando tutto ha avuto origine. 

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Un milanese nella tormenta di neve in Polonia solo in pantaloncini

# Mi sono regalato Wim Hof

Wim Hof

Tutto ha avuto inizio lo scorso 3 febbraio. Il giorno del mio compleanno. Mi è apparsa su Instagram la pubblicità della Winter Expedition di Wim Hof, in programma in Polonia dal 9 al 15 marzo. Forse era un segno del destino e come regalo di compleanno mi sono iscritto per partecipare. Ma chi è Wim Hof?

Soprannominato The Iceman, l’uomo del ghiaccio, Wim Hof è un olandese di 65 anni, diventato famoso nel mondo per aver battuto diversi record in condizioni estreme, come il nuoto sotto il ghiaccio o la mezza maratona a piedi nudi e con i soli pantaloncini su ghiaccio e neve. Ha trasformato questi suoi record in una tecnica, che ha definito “Metodo Wim Hof” (WHM): una combinazione di meditazione, tecniche di respirazione ed esposizione al freddo. Negli ultimi anni, Wim Hof è diventato una superstar a livello mondiale, anche se ancora poco noto in Italia. Nella Winter Expedition, infatti, tra i circa 400 partecipanti, oltre a me solo un altro vive in Italia: Renato da Salerno. Il resto della carovana era costituito da persone di oltre 70 paesi, di cui Stati Uniti e paesi del Centro Nord Europa la facevano da padrone. 

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# Si parte con la Winter Expedition: ice bath e cascatella

Cascatella
Cascatella

Sono arrivato che non conoscevo nessuno. Ma non era l’unica fonte di insicurezza. La maggiore era il programma. Sapevo che avremmo messo alla prova la nostra tenuta mentale e fisica in condizioni di freddo estremo. Ma ero curioso di apprendere le tecniche per affrontare queste situazioni. In particolare, il tipo di respirazione per ossigenare, o meglio “alcalinizzare”, l’organismo, e l’approccio mentale da acquisire per affrontare al meglio quelle prove. 

Ice Bath

Il primo incontro con il freddo è stato con l’ice bath. Una piccola piscina con l’acqua ricoperta di ghiaccio. A parte lo shock iniziale, si è rivelato un test relativamente agevole anche grazie agli esercizi per scaldarci prima e dopo il bagno ghiacciato, con la combinazione di movimenti del corpo e una specifica tecnica di respirazione. Il secondo giorno è stata la volta dell’immersione nella pozza davanti a una cascatella di un torrente montano: siamo restati a mollo nell’acqua fresca per circa 5 minuti. Anche in questo caso non ci sono state grosse difficoltà, agevolati anche da una temperatura esterna insolitamente mite. Aggiungo poi che mi ero allenato per questa avventura con una doccia ghiacciata ogni mattina: una consuetudine quotidiana da circa tre anni che mi ha dato molti benefici psicofisici. Ma arriviamo al giorno della scalata in braghe corte. 

# La “scalata” senza vestiti 

Tutto sembrava quindi procedere al meglio. Tra incontri con l’acqua ghiacciata, sedute di meditazione e di respirazione di derivazione orientale, insieme alla conoscenza dei miei compagni di avventura in un contesto internazionale davvero stimolante: nel nostro gruppo si spaziava da Singapore al Messico passando per l’Arabia Saudita. Si arriva così al fatidico giovedì 13 marzo. Quello del trekking senza vestiti. Con solo scarpe, pantaloncini, berretto e guanti. Il giorno in cui la temperatura va in picchiata: dal tempo mite si passa sottozero. Non solo: da prima dell’alba inizia a nevicare con fiocchi copiosi che sarebbero caduti senza sosta fino al giorno seguente. Un tempo perfetto per una “scalata” senza vestiti addosso, insomma. Usciti dall’hotel vengo già travolto dal freddo e mi chiedo come avrei potuto sopportare a lungo quella temperatura che, prevedibilmente, sarebbe scesa progressivamente salendo sopra la montagna. Pochi pensieri e pochi metri e già il corpo sembra aver recepito il senso di quell’avventura: a sorpresa non sento nessun tipo di disagio a camminare con la gran parte della pelle esposta sotto la neve. E questa sensazione ovattata prosegue per tutta la salita in mezzo al bosco: anzi, avverto quasi piacere durante la lunga camminata. Dopo quasi tre ore inizio ad avvertire solo i primi brividi quando le cose peggiorano bruscamente: succede quando lasciamo il bosco per approdare sulla vetta del monte.

In realtà la sommità è pianeggiante, un lungo rettilineo che, dicono le nostre guide, ci avrebbe condotto alla destinazione finale: “la casa gialla”, un rifugio dove finalmente avremmo potuto rifocillarci (finalmente indossando i vestiti da montagna). Proprio sulla cima le condizioni cambiano. Fiocca con più intensità. Ma la variabile che avrebbe reso quell’ultimo tratto quasi insopportabile è il più grande nemico per chi si avventura d’inverno in montagna senza vestiti: il vento. Si è alzato un vento che sembra di essere sull’Everest. Folate che ci fanno vacillare sui ramponi. Poco prima scherzavamo e sorridevamo, ora siamo tutti in silenzio, concentrati sui piedi che avanzano a fatica nella neve, cercando di coprirci tra di noi come fanno i pinguini sulle coste dell’Antartide. Non solo neve e vento: anche la vista ora è annebbiata dalle nuvole. Mi accorgo che è iniziata la vera sfida. Quella con i pensieri. Quelli che spostano la concentrazione interpretando in modo drammatico quello che trasmette il corpo e quello che appare agli occhi: visi contriti dal freddo e dalla preoccupazione. E, soprattutto, la vista della pelle del corpo rossa e, in alcuni casi, ormai tendente al blu. Ma proprio quando i primi segni di angoscia si affacciano nella mente appare lei, la “casa gialla” che trasforma ogni brivido in un’esplosione di gioia. Poi succede un fatto curioso: solo dopo essere entrati ed esserci coperti di tutto quello che serve in montagna per proteggersi dal gelo, una volta che siamo al caldo iniziamo tutti a tremare come foglie al vento. Tremo così tanto da non riuscire a tenere in mano un bicchiere di tè caldo. E penso meravigliato come sia stata una fortuna che quel tremore ci avesse assaliti solo quando eravamo al sicuro nel rifugio e non durante la camminata. Ma qual è il senso di tutto questo? Perché mi sono ritrovato in una situazione simile che fino qui potrebbe sembrare una pagliacciata autolesionista senza senso?

# Perchè il ghiaccio?

Arrivo alla casa gialla

Il metodo Wim Hof si fonda su tre elementi fondamentali: l’approccio mentale, una tecnica di respirazione e il contatto del corpo con il freddo. Partiamo da quest’ultimo. Il freddo è un banco di prova per la vita di tutti i giorni: una specie di metafora delle avversità che ci arrivano dall’ambiente esterno. Il contatto con il freddo rappresenta un modo per allenarci volontariamente a interagire con un ambiente ostile che ci causa stress o disagio. Quando si affronta l’ice bath, il bagno o la doccia ghiacciata, ci imbattiamo in un tipo di stress simile a quello che ci capita in infinite situazioni della vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni, ovunque. Solo che in questo caso si tratta di uno stress che affrontiamo in modo volontario, quasi che il ghiaccio fosse una palestra dove ci alleniamo per ogni tipo di avversità. E in questo allenamento scopriamo sulla nostra pelle che cosa si rivela più utile per ridurre lo stress nelle situazioni difficili. Innanzitutto la respirazione che porta il corpo in uno stato ottimale per rispondere a uno stimolo sgradevole. Poi c’è il ruolo fondamentale della mente: invece di reagire combattendo contro la causa dello stress, quando siamo a contatto con il freddo intenso ci accorgiamo che opporsi non è una strategia vincente, anche perché contro il ghiaccio non c’è partita. Se proviamo a combatterlo vincerà sempre lui. Così siamo indotti a trasformare il nemico, in questo caso il freddo, in un alleato: si scopre in modo quasi naturale che la scelta ottimale in un ambiente ostile è quella di accogliere le avversità, facendo squadra con queste, usando l’energia che ci trasmettono nel corpo per rinforzare noi stessi e, a quel punto, rispondere al meglio.

# Il “consiglio” di Hof

Wim Hof con parmigiano DOC

Tutto questo processo produce anche benefici fisici per l’organismo, come peraltro succede in palestra o in altre forme di allenamento. In questo caso, l’utilizzo di tecniche di respirazione insieme al contatto con il ghiaccio producono una maggiore alcalinizzazione nell’organismo attraverso un maggiore apporto di ossigeno e questo comporta una riduzione dell’infiammazione, un potenziamento delle difese naturali e una serie di altri benefici fisici, oltre a irrobustire il nostro carattere e renderci più resistenti allo stress. Ma non solo questo. Nella Winter Expedition è capitato di toccare quasi con mano l’immenso potere che abbiamo dentro di noi e che riusciamo a cogliere in particolare quando ci spingiamo oltre quelli che riteniamo i nostri limiti. E quando questo succede si entra in una dimensione dove si vive una fusione tra realtà interiore ed esteriore, tra anima e universo, tra forza e amore. Una dimensione che si può ritrovare nudi nella neve in prossimità di una casa gialla sul Monte dei Giganti, ma anche in ogni momento della vita di tutti i giorni. Se si dovesse ricevere un solo consiglio da Wim Hof per la vita di tutti i giorni, quale sarebbe? Glielo abbiamo chiesto. «Breath more than you need», respirate più di quello di cui sentite il bisogno, è stata la sua risposta. Semplice come un signore olandese di 65 anni che vive in maglietta e pantaloncini corti. 

E che consiglio mi sento di dare a chi fosse curioso di approfondire questa tecnica? Potrei solo dire quello che ho fatto io. Dopo aver letto il libro di Hof (qui il link), ho deciso di testare su me stesso il suo metodo per un periodo di 40 giorni (con il vantaggio che sono tutte cose gratis). E, a quel punto, in base agli effetti riscontrati, decidere liberamente se proseguire o abbandonare. Perché, come diceva Protagora, ognuno di noi è l’unica misura di ogni cosa

Continua la lettura con: La frequenza di Schumann, il battito del pianeta

ANDREA ZOPPOLATO

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Andrea Zoppolato
Più che in destra e sinistra (categorie ottocentesche) credo nel rispetto della natura e nel diritto-dovere di ogni essere umano di realizzare le sue potenzialità, contribuendo a rendere migliore il mondo di cui fa parte.

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