Sì, ok, Keith Haring lo conosciamo tutti; è stato spesso accostato a Warhol per portata e per il fenomeno mediatico raggiunto.
Tutti, almeno una volt nella vita, abbiamo posseduto un portachiavi, una maglietta, una stampa o, peggio, un bicchiere della birra con una riproduzione degli ‘omini’ di Keith Haring.
Ma cosa si nasconde dietro il radiant baby e quali sono le tappe che lo hanno portato alla creazione delle sue opere – il cui ultimo record d’asta è attestato a 5,5 milioni di dollari?
Keith Haring, ancor prima di essere un fenomeno mediatico, ancor prima di essere un artista che ha rivoluzionato il concetto di “pop”, è stato un appassionato di arte e archeologia.
E la mostra, inaugurata al Palazzo Reale per la curatela di Gianni Mercurio e a cura de 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, intende mostrare un’altra faccia dell’artista poliedrico di cui riconosciamo tutti l’opera.
L’esposizione vuole mettere l’accento sui suoi maestri culturali, da Pollock a Dubuffet, passando per Klee, le arti precolombiane e l’archeologia classica.
Ma Keith Haring, ancor prima di essere un grande artista venduto in tutto il mondo, è stato un tormentato la cui figura richiama di sicuro quella letteratura di stampo beat – per intenderci, il classico On the road – e sulla strada Keith Haring c’è stato davvero, prima come venditore di t-shirt vintage, poi come writer.
In questa mostra però, quello che interessa alla curatela sono tutti gli stimoli che hanno contribuito a rendere grandioso un genio senza tempo che non ci stanchiamo mai di vedere e rivedere.
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