Anche se non le hai fisicamente lette, sono certa che hai presente l’enorme manoscritto che contiene “Le mille e una notte“.
Io ho appena finito di leggerlo: se non hai presente nemmeno per sbaglio, sappi che il filo conduttore di tutte le storie presenti nel libro è il racconto di Sharazad, la ragazza che chiese al Visir, suo padre, di darla in sposa al Sultano.
Non certo per diventare una principessa, bensì per fermare la furia omicida del sovrano, il quale, in seguito al tradimento della moglie (che aveva fatto prontamente giustiziare), aveva deciso di sposare ogni giorno una ragazza diversa e, dopo averci passato la notte, di farla uccidere senza pietà.
Dopo il matrimonio, la dolce Sharazad escogitò uno stratagemma per fermare il Sultano: ogni notte raccontava una parte di una storia e si interrompeva alle prime luci dell’alba senza terminarla. Così il sovrano doveva aspettare la notte successiva per sapere come sarebbe continuata la fiaba.
Questa trovata geniale andò avanti per mille e una notte e, alla fine, il Sultano decise di non uccidere la ragazza grazie alla sua fantasia, alla sua cultura e al suo animo buono.
Come Sharazad, le donne arabe anticamente raccontavano storie tra le mura domestiche… ma oggi?
Le vediamo diventare giornaliste, sceneggiatrici e molto altro.
Qual è stato il meccanismo sociale nella cultura araba che ha permesso questo cambiamento?
Se sei curioso e appassionato quanto me, potrai scoprirlo questo giovedì al Mudec, dalle ore 18.30, durante la conferenza “La narratrice araba: Sharazad fuori dal Palazzo“.
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