L’arte è sempre stata un veicolo di messaggi provocatori.
Spesso di denuncia, certi slogan si caratterizzano per passare inosservati, perché spesso a falra da padrone, sono le opere mastodontiche che li contengono.
Lo sa bene Santiago Sierra: artista spagnolo contemporaneo, impegnato da sempre nella lotta contro il lavoro becero e lo sfruttamento scriteriato.
Lo sa talmente bene, Santiago Sierra, che le sue opere sono parlanti.
Risale infatti al 2009 il progetto Attempt to build four 100×100 cm sand cubes: una costruzione di quattro cubi di sabbia di un metro quadro ciascuno.
Commissionata sotto compenso, l’opera è provocatoria, è aggressiva nel suo essere controtendenza ed è inquietante.
Inquietante perché pone l’accento e tradisce la filosofia di Sierra.
Una filosofia anticapitalista.
La mostra antologica che inaugura oggi al PAC parla proprio di questo:
Ci sono tutti i simboli della polemica di Sierra.
Non manca nulla perché il quadro sia complato.
Ci sono i trenta lavoratori assunti per riempire cento pagine di un quaderno con la scritta «El trabajo es la dictatura».
Ci sono le undici donne indiane pagate per imparare a memoria la frase «I am being paid to say something, the meaning of which I don’t know».
E c’è molto altro.
Ritorna a farsi vivo il PAC, dopo un lungo silenzio e qualche sparuto tentativo di avvicinare il pubblico ai suoi spazi.
Dopo l’ultimo con la lectio magistralis sui Sette Savi di Fausto Melotti, il PAC ritorna in grande stile.
Bentornato PAC, benvenuta primavera.
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