Ogni città ha un’anima e quella di Milano ti penetra e ti smuove dall’interno in una ridda di emozioni e vissuti che ti plasmeranno per sempre, a volte nel bene altre nel male. E questo dipende unicamente da te.
La mia prima fase a Milano: incanto e disincanto
Ho un chiaro ricordo di quando misi piede per la prima volta in questa città. L’eccitazione per l’inizio di una nuova avventura e il senso di disorientamento e compressione, sono stati la dicotomia costante dei primi mesi, a volte di anni.
Quando arrivi in una nuova città sei un recettore sensibile di ogni cosa. Un osservatore speciale che studia attentamente il mondo circostante.
Milano da subito mi ha incantato e disincantato, in un gioco impietoso che prima ti dà e poi ti toglie per poi tornare a ridarti ancora e meglio.
La seconda fase: l’inquietudine
Trascorsa una prima fase dove tutto il focus era su quanto di nuovo e bello poteva offrirmi questo posto, dai musei alle mostre, dai cineforum ai ristoranti internazionali, dai concerti ai teatri, si andava pian piano delineando la mia quotidianità. Mattone dopo mattone plasmavo il mio presente nel tentativo di trovarmi.
Andava tutto bene, un buon lavoro, i primi amici, le prime soddisfazioni di carriera, la vita di città, il fine settimana al ristorante, l’aperitivo del giovedì, il cinema del mercoledì. E le giornate scorrevano intense e veloci.
Andava tutto bene eppure niente andava bene in un costante mood di inquietudine.
Ed è stato allora che il gioco si è fatto duro. Milano mi ha strattonata, scompensata e biasimata come fa una madre pretenziosa con il proprio figlio.
I ritmi veloci, la superficialità delle relazioni, i trend del momento, lo shopping forsennato, le competizioni insane in azienda, l’attesa del venerdì, la fatica del lunedì, di cosa ti occupi?, le facce tristi della gente, pettegolezzi dell’ultima ora, il contratto a tempo indeterminato, ci sei per un’ape tra 2 settimane?, guardo l’agenda, non vedo l’ora di andare in ferie, c’è la crisi…
Qualcosa non quadrava e avvertivo sottilmente la sterilità del tutto. La città mi sussurrava di andare oltre, di esplorare e connettermi alla sua vera essenza.
La terza fase: la scoperta dell’essenza di Milano
Fu allora che mi misi in ascolto, lasciandomi guidare dolcemente come fa una barca a motore spento. E, come spesso accade quando ti sintonizzi su un altro piano vibratorio, le cose e le situazioni arrivano attirate da te.
Milano è un essere bifronte, siamese, centauro. Accanto ai suoi orpelli e trend del momento che scorrono veloci nel flusso del suo vivere, si cela un’altra realtà più densa, profonda ed essenziale.
L’ho capito dalle sfumature degli occhi di coloro che ho incontrato, in un universo parallelo fatto di anime che fanno la differenza, a volte senza neanche saperlo.
Sono i liberi, coloro che hanno scavalcato i cancelli dei condizionamenti sociali, sono quelli che non si accontentano di ciò che gli viene offerto ma plasmano nuove dimensioni, che si affannano per migliorare il mondo senza mai essere stanchi, sono coloro che non cercano risposte ma pongono nuove domande.
L’ho capito dagli stimoli continui che Milano riesce a concedere, dall’offerta ampia di situazioni, attività, corsi ed incontri che sfamano le menti più voraci e alimentano nuove curiosità e visioni.
L’ho capito da questa sua energia travolgente che ti porta ad andare lontano, che non soffoca le tue propensioni ma esalta i desideri più ambiziosi.
L’ho capito dalla sua severità, da questo suo inzigare continuo, dal suo non lasciarti mai in pace. E l’ho odiata in principio per questo tanto quanto l’ho ringraziata per la medesima ragione.
Cara Milano, mi hai reso inquieta, mi hai spinto lì dove non immaginavo di poter andare. Mi hai concesso gli strumenti per creare la mia isola felice e di certo, da quando ti conosco, io non sono più la stessa.
Foto in copertina di www.fotoinviaggio.com
RAFFAELLA APPICE
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