Inaugurata il 12 maggio, già ora con numeri da capogiro, la mostra dedicata a Harry Potter sta segnando un acme per la Fabbrica del Vapore di via Procaccini.
Nel commentare l’inaugurazione, il vicesindaco Scavuzzo ha ricordato trionfalmente come ciò abbia coinciso con il ripristino della fermata del tram di fronte all’ingresso principale e con il naming della stazione M5 Cenisio, che adesso riporta il nome della Fabbrica e le indicazioni per raggiungerla. D’ora in avanti, sarà aperto anche il cancello di ingresso dal lato della stazione metropolitana.
Insomma, pare proprio che il celebre maghetto britannico abbia fatto un incantesimo e che possa essere considerato un volano per questo polo espositivo e creativo che non sempre è stato, recentemente, sfruttato e pubblicizzato al massimo.
Risale allo scorso inverno l’occupazione da parte di alcune associazioni, culturali e giovanili, di una zona della Fabbrica, da queste giudicata parzialmente abbandonata (anche se diversa era l’opinione e la motivazione fornita da Palazzo Marino).
Ascesa e caduta di una fabbrica del vapore
Fu qui che nel gennaio del 1899 aprì i battenti la Carminati & Toselli, con il preciso intento di costruire, riparare e vendere materiale rotabile per ferrovie e tramvie.
Il settore era in fortissima espansione, Milano vantava una rete ferroviaria già molto estesa e i tram, dal 1893, anno della loro elettrificazione, erano già parte del tessuto urbano.
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All’inizio del 1907 la Carminati & Toselli venne sciolta, e con l’apporto del capitale fresco conferito dai nuovi soci, nacque la “Società Italiana Carminati Toselli”, una grande realtà industriale in espansione che presto si trovò ad occupare l’isolato compreso tra via Messina, via Procaccini, via Nono e Piazza Coriolano.
Nei suoi spazi produttivi, tra i quali lo spazio 6 detto “la Cattedrale” per via dell’alto soffitto, lavorarono fino a 1.300 persone, con una produzione orientata anche verso l’estero e le colonie (fornì locomotive alla Ferrovia Eritrea).
Superato il periodo della grande guerra e la crisi degli anni venti, arrivò un momento florido, con l’affidamento da parte di ATM della produzione di oltre un centinaio di vetture tranviarie a carrelli denominate “1928” (i nostri tram storici ancora circolanti), un progetto davvero rivoluzionario nel quale la società dei trasporti milanesi coinvolse svariate altre realtà per far fronte alle massicce richieste (lavorarono così su questo modello anche Breda e OM).
Equipaggiate con impianti elettrici della TIBB e della CGE (fateci caso: i motori elettrici sono ancora così marchiati), queste vetture entrarono nella storia cittadina.
Precipitata poi in crisi, la Carminati & Toselli è definitivamente sciolta nel 1935, e gli edifici industriali vengono prima affittati e in seguito venduti a differenti società che vi svolgono le più svariate attività, compromettendo l’unità stilistica e la storicità del complesso.
Post fata resurgo, ma in piccolo
Dal 1999, l’Amministrazione comunale ha trasformato gli spazi abbandonati in un centro di produzione culturale, volendo essere ancora, per Milano, un centro vitale e fondamentale. Un altro esempio di archeologia industriale al servizio della comunità, modus operandi oggi diffusissimo in città, parimenti destinato a crescere ulteriormente.
Eppure, rivolgendo lo sguardo alle più rutilanti realtà europee, scopriamo che il parigino Beaubourg (più noto all’estero come Centre Pompidou, progettato dagli italiani Renzo Piano, Richard Rogers e Gianfranco Franchini) o la berlinese Kulturbrauerei (il “birrificio della cultura”, ricavato appunto da un’ex fabbrica di birra), due luoghi relativamente assimilabili alla Fabbrica del Vapore milanese, ci sono anni luce avanti.
Non è esterofilia: gli ultimi dati disponibili ci parlano di 1 milione di ospiti annuali alla Kulturbrauerei, in crescita continua. Parigi, comunque la 3° città più visitata al mondo nel 2017, porta il già di per sé storico Centre Pompidou addirittura alla cifra record di 3.75 milioni di ingressi.
Piazze di paese in città
La Kulturbrauerei è un punto nevralgico per la vita notturna in quella che senza dubbio è la capitale europea della musica elettronica, ospita un ristorante, due teatri, un cinema e il museo a ingresso gratuito Alltag in der DDR, che racconta la vita quotidiana ad est del muro tra il 1961 e il 1989. Insomma, un cuore pulsante inserito nel vivace distretto di Pankow, che già i nostri CCCP decantavano in tempi non sospetti.
Il Centre Pompidou, oltre ad essere simbolo della rivoluzione culturale che ha conosciuto Parigi nel secondo dopoguerra, tangibile anche nell’architettura, ospita continuamente mostre, eventi e conferenze che coinvolgono città ed istituzioni da ogni parte di Francia e del mondo. E’ sede della Bibliothèque Publique d’Information, la più grande nella Ville Lumière, oltre che del Musée National d’Art Moderne (allestito da Gae Aulenti), e giace davanti a quel capolavoro che è la Fontaine Stravinsky, magnifico connubio tra musica e scultura.
Sregolatezza, senza genio
La Fabbrica del Vapore, fatti salvi picchi estemporanei come la già citata mostra di Harry Potter o eventi come The Art of the Brick (sui LEGO, danesi, curato da Nathan Sawaya, americano), l’Irish Fest o il Chinese Art Festival, per citare alcune altre manifestazioni di successo, è mortificante per gran parte dell’anno, con un ingresso che invita ad andarsene via e una sensazione di diacronia totale con il tessuto socioculturale anche solo immediatamente circostante, che tra Chinatown, il sempiterno Monumentale e la rinata Porta Nuova, insomma, non si può proprio dire che manchi di stimoli.
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Lo stesso dicasi per Milano: banalmente, una città ricca di storie da raccontare, senza doversi rifugiare per forza in Cina, Irlanda, Danimarca o Hogwarts. Sicuramente, una metropoli in pieno rinascimento e proiezione internazionale, bisognosa di rappresentanti come la Kulturbrauerei e il Beaubourg, di poli vibranti ed intrinsecamente collegati alla realtà cittadina, per non dire pionieri verso nuovi orizzonti, proprio come un centro culturale dovrebbe essere.
Le associazioni borbottano ancora, eppure il potenziale, degli spazi e nell’ambiente, c’è eccome: ci serve solo il kulturkampf.
HARI DE MIRANDA, in collaborazione con Mauro Colombo
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