Il 27 giugno 1980 lo stadio di San Siro ha ospitato uno spettacolo senza pari: il concerto di Bob Marley. Era un periodo sicuramente difficile per Milano, ma i presenti, cullati dalle note vibranti del basso, hanno potuto esprimere la propria insofferenza, la propria opinione, cantando. E tutti, nonostante la folla, si sentivano al sicuro. È questo il potere della musica.
BOB MARLEY: il primo concerto a SAN SIRO della storia. Divenne subito MITO
# La capienza dello stadio San Siro
La capienza dello stadio di San Siro è di circa 76.000 persone. Durante i derby della Madonnina più sentiti, la media dei tifosi sulle tribune e sugli spalti oscilla tra i 60.000 e i 65.000. Numeri che viaggiano sulla stessa soglia anche per altri tipi di eventi. Possiamo ricordare che, la sera del primo settembre 1960, il Tempio dello sport Milanese aveva ospitato l’incontro dei campionati mondiali di pugilato e i suoi 53.000 amanti, esultanti per la vittoria del connazionale Duilio Loi.
# L’attesa per uno spettacolo indimenticabile
La cosiddetta “Scala” del calcio italiano, con la sua platea e le sue balconate, è stata anche palcoscenico e teatro di uno spettacolo senza pari. Stiamo parlando del concerto di Bob Marley del 27 giugno 1980 con più di 90.000 partecipanti.
Dalle prime luci del mattino, la gioia, le aspettative e la trepidazione a prender parte al più grande concerto della storia ospitato dalla città meneghina, sono radicalmente impresse nelle memorie e nelle esperienze di coloro che hanno avuto la possibilità di vivere quel momento.
# Un concerto dal valore inestimabile
Il sound del re del Reagge aveva conquistato tutti già da tempo. Però, con la data milanese dell’Uprising Tour, la modestia insita tra le righe dei testi delle canzoni e il mood ritmico tramutato in un vero stile di vita sembrano contrastarsi al successo senza tempo, alla notorietà e alla fama raggiunta dalla Giamaica approdata nella nostra Milano.
Un viaggio decisamente low cost: 4.500 lire, il costo del biglietto, in completa antitesi con il vero valore che questo evento ha rappresentato per i milanesi. Per tutti.
# Giovani, anziani e bambini. Tutti proiettati su un’isola dei Caraibi
Il successo dello show di Bob Marley e The Wailers è insito proprio in questo comune desiderio di parteciparvi senza etichette, dimenticandosi delle stragi degli anni di Piombo e pensando esclusivamente alle canzoni da Disco d’Oro.
Giovani, anziani, bambini e persino neonati. Tutti cullati dalle note del basso che vibravano tra la marea di persone disperse in una densissima nube di fumo che fluttuava sui corpi che ballavano a tempo della dancehall, proiettati in un locus amoenus. Un luogo lontano dalla solita scighera a cui erano abituati gli abitanti di Milano.
Tutti uniti in un unico grande coro che sovrastava l’esile voce del cantante giamaicano, un eco continuo in una valle piena di spensieratezza.
# Un concerto per tornare a sorridere
L’acustica terribile, inesistente per i più sfortunati sulle gradinate più alte, è passata in secondo piano, perché la voce del cantante era riprodotta da potentissimi amplificatori udibili per mille miglia: le voci dei suoi fan.
Un assembramento felice, decisamente lontano dall’accezione negativa dei tempi odierni. Chi vi ha partecipato ha percepito questo evento come una riunione, un meeting all’aperto per discutere, esprimere la propria insofferenza e la propria opinione, nel miglior modo possibile: cantando.
Per questo, nella sentimentale “No woman, nuh cry”, quel “nuh” rende il suono vocale più contratto di un “no” ed è qui che cade un accento idealistico. Un “Nuh” urlato, di liberazione, di sfogo nei confronti di chi, e di cosa, non permetteva di sorridere, ma solo di piangere in quel periodo storico così triste. Una boccata d’aria nel posto che, in quel momento, era il più asfissiante del mondo. Mancava il fiato, non solo a fine concerto, ma già dall’apertura. Il blues di un giovanissimo Pino Daniele presentava un’escalation di quelli che si annoverano tra i suoi successi, partendo con “Sotto ‘o sole” e concludendosi con “Quanno chiove”, per poi “tuonare”, come da prologo al concerto di Bob Marley, con “A me me piace o’ blues”.
# Un posto affollato, ma così sicuro grazie alla magia della musica
Fornellini da campeggio, teli e tovaglie, cestini da pranzo e rinfrescanti bibite permettevano di rifocillarsi prima dello stancante evento. L’idea di un grande picnic, un banchetto dove i commensali non aspettavano altro che il padrone di casa per il brindisi.
Lo stadio accoglieva tutti, anche chi non doveva essere lì. Infatti, i non paganti scavalcavano i cancelli all’ingresso, aumentando decisamente i già discutibili “accessi contingentati” di allora. Un comportamento legittimabile: chi si sarebbe perso uno spettacolo del genere?
Era tutto comunque in perfetto ordine, un ordine universale. Accendini alla mano, lacrime agli occhi e note tremanti erano le uniche cose percepibili. Niente paure. Nell’immaginario comune si è sempre tramandato questo senso di “essere al sicuro” in un posto così affollato e, soprattutto, in un contesto pubblico vacillante per i vari attentati. Merito della magia della musica.
# Una fine che ha il sapore di un nuovo inizio
La scaletta offre tutte le hit del cantante trentaseienne, concludendosi con “Get Up, Stand Up”, ultima di 21 canzoni. Marley scrisse la canzone durante un tour ad Haiti, ispirato e commosso dalla povertà e dalle condizioni disumane di vita degli abitanti. Il brano venne spesso eseguito dal cantante nei suoi concerti, usandolo specialmente come pezzo di chiusura. “Get Up, Stand Up” fu anche l’ultimo brano che Marley eseguì dal vivo, il 23 settembre del 1980 allo Stanley Theater, ora Benedum Center, a Pittsburgh, prima della sua morte prematura.
Quando si sente per la prima volta “Legend”, forse la più famosa antologia di Bob Marley, si ha proprio l’impressione che la sesta traccia, appunto “Get Up, Stand Up”, sia la traccia che decreta la fine. La fine che però ha il sapore di un nuovo inizio. Il capitolo finale di una saga, esattamente come lo è stata la vita di Bob Marley che, ad oggi, è colonna sonora di una presa di coscienza personale.
Chissà se, pensando alla situazione odierna, potrebbe rappresentare il tema di speranza e risveglio della società abbattuta dalla pandemia, soprattutto per Milano, ancora oggi troppo Cryin’ woman. “No Woman no cry, Get Up and Stand Up!”
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ELEONORA UCCHEDDU
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