Della storia degli istituti per i malati di mente della città se ne ha memoria dalla fine del 1700, fino a che la Legge Basaglia ne ordinò la dismissione a livello nazionale nel 1978. Ripercorriamo le vicende degli istituti che hanno impresso il loro “segno” nella vita di Milano.
I MANICOMI di MILANO
# Il “Manicomio di Senavra”: il più antico di Milano
Al numero 50 di corso XXII Marzo, dove adesso sorge la chiesa parrocchiale del Preziosissimo sangue di Gesù, un tempo sorgeva un ritiro spirituale dei gesuiti poi trasformato nel 1780 in un ricovero per folli che accolse gli ospiti dell’antico ospedale di San Vincenzo. Tale ospedale, di cui si hanno le prime notizie dal 1111, era destinato tradizionalmente all’accoglienza degli alienati. Occorre precisare che in passato la categoria degli “alienati’” era molto ampia e comprendeva i malati di mente ma anche i disabili, epilettici, malati.
Nel 1780, anno in cui un decreto di Maria Teresa d’Austria stabilì questa trasformazione, il palazzo della Senavra, situato appunto in corso XXII marzo n 50, accolse quindi un centinaio di persone provenienti dall’Ospedale San Vincenzo. Inizialmente la struttura accolse i cosiddetti ‘matti così detti pazzerelli’ ma anche sordi, ciechi, bambini con malformazioni abbandonati dai genitori. Con il tempo però cominciarono ad essere ospitati solo i malati di mente e in breve tempo la Senavra diventò sinonimo di manicomio.
# Le condizioni di vita tremende dei malati
I suoi ospiti vivevano in condizioni tremende: erano rinchiusi in piccole celle umide la cui porta era sostituita da un cancello di ferro, tipo prigione. Erano malnutriti e maltrattati, secondo uso e costume di un’epoca in cui i malati di mente erano considerati esseri senza diritti né dignità, rei di aver meritato la punizione che era stata inflitta loro dal cielo.
Si deve attendere la metà del 1800, con la nascita delle nuove teorie psicologiche, per vedere nascere delle condizioni di vita più umane. Si fece strada lentamente l’idea della cura morale del malato di mente attraverso un percorso di recupero e reintegro nella vita quotidiana di tali malati che permettesse loro di uscire per lavorare in fabbrica o nei campi.
# Due particolarità sul “Manicomio di Senavra”
Due particolarità della Senavra. Una riguarda l’origine di tale nome curioso. Non si è certi sulla sua etimologia ma si pensa che derivi dal fatto che su uno dei muri era dipinto un albero e una massima evangelica che recitava: “Da un granello di senape, la più piccola tra le verdure, nascerà un albero”. Da qui probabilmente il nome “senape”, in milanese “senavra”
La seconda riguarda un particolare ospite che il manicomio ospitò: Vincenzo Verzeni, uno dei primi serial killer italiani. Nel 1872 fu accusato di aver ucciso barbaramente tre donne e fu condannato al soggiorno alla Senavra. Qui il famoso padre della criminologia, Cesare Lombroso, venne per studiarlo ed elaborò una cura tremenda che comprendeva ustioni al collo, isolamento totale e scariche elettriche.
# Il trasferimento dei malati al Manicomio di Mombello
Nella seconda metà del 1800 il numero dei pazienti era diventato però troppo elevato arrivando a toccare quasi le 500 unità a fronte di una struttura pensata per accogliere un massimo di 300 persone. A quel punto fu chiaro che bisognasse pensare ad una soluzione anche perché il sovraffollamento stava iniziando a creare problemi igienici. Il governo allora realizzò nel 1865 un nuovo ospedale psichiatrico vicino a Limbiate, a Mombello. Inizialmente fu una semplice succursale della Senavra ma nel 1878 ne prese il posto e la Senavra fu adibita ad altri usi.
# L’idea di realizzare un nuovo manicomio in città all’inizio del ‘900
Nel 1904 venne in seguito ufficializzata l’idea di realizzare un nuovo grande ospedale psichiatrico. Fu a lungo dibattuto infatti se ampliare il già attivo e super affollato manicomio di Mombello o far sorgere un altro istituto che fosse collegato al primo con una linea tramviaria. Si scelse la seconda via. Nel 1906 fu acquistato quindi un vasto terreno nell’area di Affori, caratterizzata da un clima salubre e da venti che riparano da influssi nocivi per la salute. Tale zona all’epoca era pressoché disabitata e rispondeva all’esigenza di situare l’ospedale al limite della città.
Dal 1914 il progetto fu rivisto sotto l’influenza del pensiero di Giuseppe Antonini: prevedeva la dotazione di ampi locali per le visite ambulatoriali e per l’incontro tra medici , famiglie e pazienti. Gli spazi dovevano essere riorganizzati secondo i principi dell’ergoterapia (terapia del lavoro), della libertà. Purtroppo con lo scoppio della prima guerra mondiale il progetto fu accantonato.
# Dopo la fine della guerra partirono i lavori e il nuovo manicomio fu concluso nel 1923
Solo nel 1921 fu affidato il compito di redigere un progetto a Italo Vandone, ingegnere e a Giuseppe Antonini, direttore del manicomio di Mombello.
I lavori terminarono il 7 luglio 1923. La struttura prevedeva la realizzazione di padiglioni situati nel verde collegati tra loro nel rispetto però di un calcolo delle distanze che rispondesse a ragioni logiche, ragioni igieniche di areazione e isolamento terapeutico.
Inizialmente la casa di cura fu data in gestione ad una associazione privata ma nel 1939 fu ripresa dalla provincia di Milano, che ne ordinò una ristrutturazione. Nel 1945 il manicomio di Affori fu intitolato a Paolo Pini, psichiatra scomparso in quell’anno.
Dopo la seconda guerra mondiale divenne l’ospedale psichiatrico più famoso e importante di Milano, mentre quello di Mombello fu scalzato e lentamente destituito. Furono introdotti molti miglioramenti sostanziali : ampliamento di laboratori, nascita di una nuova sezione per adolescenti, si allestì una sala cinematografica e si mise radio e tv in ogni reparto. Vennero organizzati spettacoli teatrali, gite e concerti.
# Negli anni ’60 la nascita dei laboratori creativi per i malati, nel 1971 la Clinica di neuropsichiatria infantile. Anche Alda Merini vi soggiornò
Negli anni Sessanta vennero creati nuovi laboratori che miravano a valorizzare la creatività attraverso l’artigianato e la stimolazione all’arte. Nacquero quindi i primi atelier d’opere interni al manicomio. Nel 1971 nacque qui la Clinica di neuropsichiatria infantile.
Il ‘Paolo Pini’ arrivò, durante la sua attività, ad ospitare più di mille ricoverati. Una delle più famose pazienti fu la celebre poetessa Alda Merini che negli anni Sessanta soggiornò qui.
La casa di cura chiuse i battenti nel 1999. Oggi è sede del Museo d’arte Paolo Pini e dell’associazione ARCA onlus.
Continua la lettura con: MOMBELLO era il MANICOMIO più grande d’Italia. Uno dei luoghi più SPAVENTOSI del mondo
GIULIA PICCININI
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