Nel cuore pulsante della movida milanese, all’angolo tra Via Giangiacomo Mora e Corso di Porta Ticinese, sorge oggi una scultura in bronzo con accanto una scritta: «Qui un tempo sorgeva la casa di Gian Giacomo Mora, ingiustamente condannato a morte nel 1630». Se oggi, passandoci davanti, ci accostiamo per capire di cosa si tratta, i milanesi di qualche secolo fa non azzardavano neanche ad avvicinarsi. Scopriamo il perché.
UNA TRAGICA FAKE NEWS: L’ “INFAME” MORA
La storia di questo angolo cittadino ha origini molto antiche e piuttosto inquietanti che risalgono ai tempi dell’epidemia di peste che divorò Milano nel 1630. Ed, in particolare, è la storia di Giangiacomo Mora, vittima innocente di una falsa delazione che dovette pagare con la vita.
Caterina Rosa, un’umile donna che abitava lì vicino, dichiarò alle autorità di aver visto un uomo spargere un unguento nero alle porte e ai muri della città e che, dunque, sarebbe stato il colpevole dell’atroce epidemia. Dapprima le guardie arrestarono Guglielmo Piazza, commissario di sanità, poiché l’inchiostro nero sulle sue mani fu scambiato per unguento pestilenziale. Dopo aver dichiarato la propria innocenza, costui accusò a sua volta il barbiere Giangiacomo Mora che, tra le varie sostanze del suo mestiere, ne aveva anche creata una per lenire le ferite degli ammalati di peste. In effetti le guardie la trovarono nella sua bottega e per questo lo accusarono di essere un untore.
Dopo tante torture, il processo si concluse con la morte dei due indagati e la distruzione della casa-bottega di Mora. Sopra le macerie venne eretta come monito a chi l’avrebbe guardata una “colonna infame”, che da il nome alla vicenda, accanto alla quale un’iscrizione latina ricordava l’infamia degli “untori”, i propagatori di peste.
DA SIMBOLO DI INFAMIA A OPERA CONTRO LE INGIUSTIZIE
Se la lapide con l’iscrizione latina é ancora oggi conservata al Castello Sforzesco, della colonna infame non abbiamo nessuna traccia e neanche qualche descrizione, nonostante sia stata protagonista del romanzo “la colonna infame” di Alessandro Manzoni. Possiamo immaginarne l’aspetto solo per qualche stampa postuma in cui è raffigurata con una palla posta all’estremità. Infatti la colonna fu rimossa nel 1778, ormai divenuta simbolo di uno dei tanti errori che il superficiale sistema giudiziario del tempo aveva commesso.
Solo nel 2005, in occasione della ricostruzione dell’attuale palazzo, la celebre vicenda è stata riportata all’attenzione posizionando una scultura contemporanea dell’artista Ruggero Menegon che richiama la forma della colonna con un gioco di pieni e vuoti.
LETIZIA DEHÒ
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