Stà schisc, è un tipico modo di dire meneghino. Indica il farsi metaforicamente piccolo, lo schiacciarsi verso il pavimento per non farsi notare. Si usa per esprimere l’atteggiamento di chi tace cose che sa e che potrebbe o dovrebbe dire, ma furbescamente preferisce rimanere reticente o guardingo.
Il non dar troppo nell’occhio, insomma, per varie ragioni.
“Son staa schisc per avegh minga rogn“.
Rivolto ad altri, è l’invito perentorio ad abbassare le ali, del tipo “stai al tuo posto”, non essere troppo appariscente o esuberante.
Il verbo che ne è alla base è ovviamente “schiscià“, cioè schiacciare, premere. Secondo il Cherubini (nel suo ottocentesco vocabolario milanese-italiano) un derivato è il termine Schiscetta, che un tempo indicava il cappellaccio a nicchio, che si portava appunto schiacciato sotto il braccio.
In tempi moderni il sostantivo femminile “schiscetta” prese ad indicare il contenitore per il pranzo che gli operai portavano sotto braccio, recandosi alla fabbrica. Contenitore in alluminio, dentro al quale era ben schiacciata un’abbondante porzione di pasta, di minestrone, o di altra pietanza che le mogli avevano preparato. Ne fu anche brevettato uno specifico modello, dalla Caimi Brevetti s.p.a. nel 1952, all’alba del boom economico.
Oggi, più semplicemente, il termine indica l’azione di portarsi da casa il cibo da consumare nella pausa pranzo (o meglio, a Milano, a colazione).