Su quest’argomento s’è scritto molto, bene ed anche su questa testata: Milano nelle canzoni.
Dallo sguardo maligno di Dio del Lucio al tramonto dalle terrazze del Duomo di J-Ax, dal ragazzo della via Gluck dell’Adriano alle luci a San Siro del Roberto, ma anche l’Enzo, l’immancabile Ornellona (che quand’è in giro per Milano la vedi da un chilometro di distanza, la amo), il Nanni: addirittura l’Antonello una parolina alla Milano lontana dalla sua terra l’ha dedicata.
In linea di massima, se chi canta è di Milano, si stupisce che qui ci si possa innamorare, essere felici o godersi un tramonto. Se chi canta non è di Milano, non vede l’ora di togliersi dalle balle (prego).
Su tutte svetta, ovviamente, la Madunina del D’Anzi, con o senza l’aggiunta (un tempo insolente, ora affettuosa, ma sempre liberatoria) del “terùn”! a fine ritornello.
Tuttavia, nelle classifiche che ho trovato sfruculiando on line, qualcosa è stato sottovalutato: ad esempio “Milano e Vincenzo” di Alberto Fortis (bella, più che altro, perché parla male di Roma); o “Domenica bestiale” di Fabio Concato, con quel “sapessi amore mio come mi piace partire quando Milano dorme ancora, vederla sonnecchiare e accorgermi che è bella prima che cominci a correre e urlare”, che mi ricorda così tanto la partenza per il mare, all’alba di quei primi sabati di agosto di mille anni fa, con la Cinquecento blu cobalto sovraccarica.
Ma è risalendo nel tempo, che si trova l’anima profonda di questa città.
Intendiamoci, è roba in dialetto, una lingua stretta tra il tedesco e il francese, ormai elitaria, che si può cantare soltanto dopo enne bicchierini e stando ben attenti ad evitare sfide con altre, e più agguerrite, tradizioni musicali.
Da quei pezzi emergono costantemente due caratteri tipici del Milanese: l’orgoglio di essere un F205 ed un senso profondo della sobrietà, che sconfina a volte nella timidezza. (Non è un caso che la Madonina inizi con una specie di disclaimer sulla musica napoletana, ed apostrofi con scetticismo la propensione tragica delle canzoni romane).
Una delle mie preferite è “Lassa pur ch’el mond el disa” (ma Milan l’è un gran Milan) del duo D’Anzi-Bracchi (1939).
Il testo fa riferimento al progetto della metropolitana, che venne presentato per la prima volta nel 1913, fu approvato nel 1933 e realizzato solo nel 1964: quasi cinquant’anni, durante i quali Londra (Città autonoma) ha praticamente decuplicato le linee già esistenti dal 1850.
Quella che amo di più, sempre del duo D’Anzi-Bracchi, è però “Nostalgia de Milan”.
Uscita nel 1940 è, che io sappia, l’unica canzone che parla di una Milano da cui s’è lontani, che si rimpiange ed a cui non si vede l’ora di far ritorno. (Onore solitamente riservato ad altre latitudini, salvo il fatto che ma pö végnen chi a Milan, omissis, punto esclamativo).
Musicalmente è un tango leggero, poco impegnativo, ma il testo è davvero struggente. Niente nebbia, niente traffico, niente sbattimenti: solo un’infinita tenerezza, strana per Milano.
Sarà perché era di moda quando tanti Italiani, e tra loro tanti Milanesi, furono internati nei campi di concentramento nazisti per aver rifiutato di aderire alla vergognosa Repubblichina di Salò; sarà perché il mio nonno fu uno di loro, e me la canticchiava quand’ero bambino, senza mai riuscire a finirla perché gli s’ingroppava la gola ripensando agli anni di prigionia a Königsberg; sarà perché adesso la gola s’ingroppa a me pensando al nonno che non c’è più; sarà perché mi rincorre ogni volta che sono distante, ma per quanto mi riguarda quel pezzo è CASA.
Mi capitò anni fa, per il Thanksgiving Day, di trovarmi a Seattle da amici che, prima d’essere costretti a far rientro negli Stati Uniti, avevano vissuto a lungo a Milano e se n’erano innamorati. Mancava anche a loro.
La mia amica Jacqueline aveva iniziato a prendere lezioni di fisarmonica, e m’aveva chiesto d’inviarle qualche spartito facile: le mandai proprio Nustalgia de Milan. E quella gelida sera di novembre, sotto il patio di casa sua, dall’altra parte del mondo, in una città costruita centocinquant’anni fa (lo schiaccianoci della mia bisnonna, che ancora uso, è più vecchio), lei alla fisarmonica ed io alla chitarra, ci mettemmo a sospirare in musica la lontananza di Milano.
Solo la traduzione istantanea in inglese m’impedì di scoppiare a piangere come un vitello.
Perché non si è di Milano solo essendo un F205 o vivendo a Milano: si è di Milano quando Milano ti vive dentro.
ANDREA BULLO