Le 10 cose più INCREDIBILI da raccontare d’aver VISTO a Milano

Volete meravigliare i non milanesi con storie strabilianti? Queste sono le 10 proposte di Andrea Bullo che dopo i racconti di quarantena è tornato a raccontare una Milano al di fuori della realtà

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Credit: Andrea Cherchi (c)
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Volete meravigliare i non milanesi con storie strabilianti? Queste sono le 10 proposte di Andrea Bullo che dopo i racconti di quarantena è tornato a raccontare una Milano al di fuori della realtà. Qui per chi vuole rileggerli

Le 10 cose più INCREDIBILI da raccontare d’aver VISTO a Milano

#1 – Il Civico Museo della peste nera

Istituito nel 1667 nella sede in via Guglielmo Piazza 7, in cui si trova tuttora, il Museo contiene una serie di documenti e attrezzi originali dell’epidemia di peste nera che sconvolse Milano nel 1630, cantata dal Manzoni e, di questi tempi, sovente evocata. Vi si trovano tanto i verbali originali del processo dell’Inquisizione spagnola contro la Gilda dei barbieri di Milano, quanto gli attrezzi usati per torturare gli untori e le pezze originali che i barbieri stendevano fuori dai negozi ad asciugare, allora ritenuti i principali veicoli del contagio. Un’atmosfera cupa, evocativa, resa ancora più suggestiva dall’impiego esclusivo di candele di sego per l’illuminazione. Sconsigliato l’abbigliamento in fibra sintetica.

#2 – La parete del Cervino di via Torino

In via Torino 75, nel cortile interno del magnifico palazzo settecentesco dei marchesi Gominelli di San Falgario (tuttora proprietari esclusivi dell’edificio), la cui facciata illumina quel tratto di via, c’è la riproduzione di una parete del Cervino, che il secondo marchese Gominelli (1741-1799) fece realizzare per appagare la propria smodata passione per l’ascensione alpinistica.

Dopo la chiusura imposta dal lockdown, finalmente la parete è aperta al pubblico, su prenotazione, il secondo mercoledì pari di ogni mese dispari, escluse le festività comandate. Con un modesto supplemento è possibile ottenere una patente di nobiltà gradevolmente stampata su pergamena. Nella centottantaquattresima riedizione rivista e aggiornata della Divina Commedia, il secondo marchese – all’epoca ancora in vita – fu inserito all’inferno, nel girone dei superbi.

#3 – Il tramonto al molo Salini

Pochi sanno dell’esistenza del cosiddetto “molo Salini”. Una pregevole realizzazione in moftì intagliato secondo l’allora imperante moda tibetana, che s’affaccia su un braccio secondario del Naviglio pavese, appena dopo la seconda chiusa in direzione Pavia. La derivazione fu voluta dal principe Edmondo Trismegisto Salini di Bellarosa sul finire del XVIII secolo per compiacere la sua bella baronessina Estelle Rauvissant de Ligerac, miracolosamente scampata alla furia della Rivoluzione Francese che sterminò la sua famiglia. I due solevano intrattenersi spesso, al tramonto, sul molo, una cui propaggine cedette sotto il peso della baronessina, appesantita dall’entusiasmo per la sostanziosa cucina lombarda. La leggenda vuole che ella si sia inabissata nel bacino e che da lì una mano riemerga ogni sera, all’ora esatta del tramonto, anche d’estate, offrendo agli astanti un boccone di casseula e polenta.

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#4 – L’occhio della madre

Non è quello, celeberrimo, colto dai colleghi di Fantozzi durante la proiezione della Corazzata Potemkin ma quello, ingiustamente trascurato, dell’affresco di Marinello Trombadori nella seconda cappelletta a destra del piccolo, incantevole santuario di Santa Romualda en gramailles, seminascosto tra gli opulenti palazzi di via Roma, sulla strada per Affori. La leggenda vuole che il Trombadori, prematuramente abbandonato dalla madre che preferì tornare al suo mestiere abituale [omissis] e non avendo mai conosciuto il padre, ne soffrisse tanto la mancanza da dipingerne le fattezze con uno sguardo che avrebbe la proprietà di seguirti ovunque.

Si suicidò pochi anni dopo, sopraffatto da una grave mania di persecuzione.

#5 – Il canto delle sirene

All’incrocio delle “Cinque vie” di Milano c’è un cippo, poco visibile e spesso nascosto dalle auto in sosta, molto gradito dai cani del quartiere. Al centro del cippo v’è una cavità che, secondo la leggenda, sarebbe l’unico contatto ormai esistente con il lago sotterraneo di Milano, che i monaci Cistercensi coprirono all’epoca delle bonifiche della pianura Padana, ritenendolo infestato da presenze maligne. Accostando l’orecchio è possibile avvertire, oltre ad un penetrante odore di orina di cane, un canto soave, che s’attribuisce per consuetudine all’ultima sirena ancora in vita. La “esse” sibilante è verosimilmente dovuta alla completa perdita dei denti della mitologica creatura, che conserva intatto il suo splendore. Il lezzo di piscio di cane ha anche il discutibile pregio di coprire l’odore di pesce marcio che esala dalla coda della megera, prossima alla decomposizione.

#6 – L’UFO del Museo della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci”

Per intuibili ragioni non è accessibile al pubblico, ma nei sotterranei del Museo della Scienza è custodito dal 1958 un vettore aerospaziale di provenienza ignota. I Servizi segreti (SISDE prima ed ora l’AISE), pur classificandolo formalmente come mezzo di ricognizione sovietico accidentalmente caduto nei pressi di Pizzighettone (località, all’epoca della guerra fredda, strategicamente rilevantissima per una serie di ragioni) hanno tuttavia persistito nell’impedire la visita allo strano strumento di volo. Corre voce che esso consti di un ettagono irregolare, realizzato in un materiale tuttora sconosciuto. Soltanto il compianto Presidente della Repubblica cav. Ettore Gardella, dopo notevoli insistenze, fu ammesso a visitarlo brevemente nel 1962: tanto intensa fu l’emozione, che egli si dimise repentinamente dall’alto suo incarico, chiedendo ed ottenendo che il suo nome venisse rimosso da tutti i libri di storia.

#7 – Il Teatrino delle scimmie

In via Carmagnate, appena dopo l’incrocio con via Sottopasqua, è ancora attivo il Teatrino delle scimmie, dove alcune simpatiche scimmiette, addobbate di costumi d’epoca, recitano (ovviamente doppiate) pezzi del repertorio teatrale milanese. Carlo Porta, soprattutto. Per questioni di budget le rappresentazioni si sono ridotte al solo l’ultimo sabato di ogni mese e le scimmie, va ammesso, sono un po’ invecchiate. Raccomando, nel caso, di non occupare le prime file: ancorché indubbiamente prestigiose, sono esposte agli attacchi di meteorismo incendiario delle simpatiche bestiole, ormai incontenibili in ragione dell’età. Segnalo inoltre che il simpatico scimpanzé Ugo non disdegna i palpeggiamenti.

#8 – Il Ristorante Antiquo di via Saussent

Il ristorante -vero e proprio fiore all’occhiello della gastronomia cittadina- propone menù variabili della tradizione eurasiatica del X secolo, con una ricerca attentissima e pluridecennale delle immense ed inaspettate ricchezze della via della Seta. Dalla vulva di scrofa in umido agli sfilacci di carne di yak marinati nel sudore, fino allo stracotto di cervo muschiato, qualunque portata evocherà la grandiosità ed i pericoli dell’antica arteria, lungo la quale cinquanta secoli di civiltà si guardano tuttora in cagnesco. Parcheggio in convenzione per landò, lettighe e tiri a quattro.

#9 – La HMS Windsor

L’incrociatore da battaglia con cui la Regina Elisabetta II del Regno Unito, risalendo il Po ed il Lambro (allora navigabili) giunse a Milano per la sua prima visita nel 1961. La monarca, sfiancata dal viaggio fluviale e molto colpita dalla calda accoglienza meneghina, donò il natante alla città preferendo rientrare a Londra in autostop. L’imbarcazione rimase ormeggiata nel tratto di Naviglio, ora scomparso, lungo il quale corre la via Melchiorre Gioia. Dopo quasi sessant’anni di accurati restauri, custodita al di sotto del manto stradale, la nave è pronta per accogliere i Milanesi. Sconti per anziani regnanti sopra i 90 anni.

#10 – Lo studio/abitazione di Bofonchio Mantelli detto “Bisunto”

Un loto di rara eleganza galleggia al sesto piano, interno 64, di una casa popolare fatiscente in fondo a viale Domiziano: lo studio, abitazione, centro di macellazione abusivo e centrale di spaccio nel quale Bofonchio Martelli detto “Bisunto”, giunto a Milano dall’oscurità delle foreste umbre, componeva le sue indimenticate sculture in peni di suino essiccati al sole sul suo balcone. Indifferente alle esalazioni, l’artista visionario lottò per anni con la Commissione d’igiene, l’ALER, gli occupanti abusivi e una ‘ndrina d’importazione. Solo il Covid riuscì a privare Milano quest’artista di rara visione. Il cordoglio dei condomini prosegue tuttora, esprimendosi ogni sera con fuochi d’artificio ed un rinfresco permanente. La parola d’ordine per accedere alla straordinaria casa museo è “mi deve dei soldi”.

Continua la lettura con: Il porconauta

ANDREA BULLO

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Andrea Bullo
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