Avete presente “Le Vite degli Altri”, lo splendido film tedesco ambientato ai tempi della DDR, dove una spia della Stasi, i servizi segreti della Germania Comunista, assisteva giorno e notte alle scorribande di uno scrittore “sospetto”? Nell’Italia del 2024 lo spionaggio sembra tornato di moda, anche se al passo con i tempi. Mentre sta divampando lo scandalo dei dati rubati che rischia di travolgere il presidente di Fiera Milano, zitto zitto il governo sta preparando una mossa per sorvegliare le imprese ancora rimaste in Italia. Una mossa che potrebbe portare l’Italia all’ambita ultima piazza nella classifica della libertà economica nel mondo occidentale.
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Stasi 3.0: lo Stato metterà una “spia” nelle aziende italiane?
# In arrivo un “vigilante” dello Stato dentro le aziende?
Si dice che ormai destra e sinistra si confondano sempre di più. Soprattutto nella politica italiana. La sinistra viene spesso accusata di curare gli interessi dei ricchi e delle multinazionali più di quelli della povera gente. Ma anche la destra sembra in crisi di identità, specie in termini del rapporto con la libertà d’impresa di cui dovrebbe essere paladina. In base alle ultime mosse allo studio tra uffici ministeriali e Parlamento sembra di essere stati catapultati in una nazione in cui era un regime comunista a dettar legge. Nell’articolo 112 della Legge di Bilancio 2025, in fase di approvazione, si legge infatti che “al fine di potenziare le funzioni di controllo di controllo e di monitoraggio della finanza pubblica, un rappresentante del Mef siederà nei collegi di revisione o sindacali” in tutte le aziende che hanno usufruito di fondi pubblici, società, enti, organismi e fondazioni che li ricevono “anche in modo indiretto e sotto qualsiasi forma”.
# Hai ricevuto più di 100mila euro? Entri in un regime di “libertà vigilata”
Nello specifico è previsto che la norma si applichi a condizione che il contributo a carico dello Stato sia “di entità significativa”: la definizione dell’entità dovrebbe essere definita entro la fine di marzo 2025, al momento fissata sopra la soglia dei 100mila euro. Questo significa che la platea dei soggetti coinvolti sarebbe mostruosa, sono escluse le società controllate dagli enti locali, dalle piccole imprese alle multinazionali quotate in borsa.
Il rappresentante dello Ministero delle Economia e delle Finanze dovrà essere pagato dalle stesse aziende, non si aggiungerebbe ai membri presenti nei collegi sindacali o di revisione ma ne sostituirebbe uno alla scadenza programmata, per controllare e soprattutto avere il suo peso sull’utilizzo dei fondi erogati dallo Stato all’azienda stessa. Un controllo a valle su un controllo fatto già a monte sempre dallo Stato, dato che i contributi vengono erogati solo a seguito di controlli minuziosi sulla loro ammissibilità. E non è l’unica novità che fa storcere il naso alle aziende italiane.
# La digital service tax del 3% estesa a tutte le aziende che lavorano nel digitale
L’altra novità, che da giorni ha acceso un forte dibattito, è la modifica del digital service tax con l’applicazione di un’imposta del 3% sull’ammontare degli introiti pubblicitari sul web, a prescindere dal ricavo. Al momento tale imposta è dovuta solo dalle imprese con ricavi globali superiori a 750 milioni di euro e oltre 5,5 milioni di euro generati in Italia tramite servizi digitali, vale a dire i colossi come Facebook e Google. Dal 1° gennaio 2025 potrebbe toccare a qualsiasi azienda che fa pubblicità online per terzi, intermediazione per mettere in contatto gli utenti oppure vendita di dati raccolti dagli utenti, comprese le startup che nascono già in perdita e vedrebbero aggiungersi un ulteriori handicap. Le uniche escluse sarebbe quelle con e-commerce in cui pubblicizzano i propri prodotti. Non si tratterebbe solo di imposte da versare ma di altri adempimenti a cui sottostare: registrazione presso l’Agenzia delle Entrate e dichiarazioni fiscali specifiche.
# Un altro incentivo alla fuga all’estero?
Queste due norme, il rappresentante del Mef nei collegi delle aziende e la nuova digital web tax, se confermate potrebbero produrre degli effetti deleteri sul sistema italiano che già figura agli ultimi posti per grado di libertà economica: con un’ulteriore perdita di competitività delle aziende, potenziale sparizione di migliaia di posti di lavoro, stop prematuri a progetti imprenditoriali e, soprattutto, fuga delle aziende verso paesi dell’Unione Europea dove si può agire con più libertà.
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FABIO MARCOMIN
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