Se avessi dovuto scrivere questo pezzo soltanto 15 anni fa, l’avrei dovuto chiamare “i 215 difetti della scena gastronomica milanese”. Per fortuna il tempo e soprattutto la globalizzazione hanno ridotto i numerosi problemi che affliggevano il mondo della ristorazione meneghina.
Un salto nel passato: Milano, anno 2000
Ad inizio anni 2000 tutto ciò che si poteva trovare nel capoluogo lombardo erano pizze margherite (rectius: piadine con pomodoro a pH 1 e cagliata al posto della mozzarella) bruciacchiate a 9 mila lire cadauna (quasi il triplo della media nazionale, sic!) e kebab indigeribile persino per un verme delle sabbie (perdonatemi la citazione eccessivamente nerd).
Per quanto riguarda il caffè la situazione oscillava tra il catastrofico e l’apocalittico. Esso era sempre “lunghissimo”, amaro, bruciato e maleodorante. Il sapore ricordava quello del cherosene (forse perché i chicchi venivano torrefatti nel postbruciatore di un motore a reazione?)
Personalmente penso di aver bevuto caffè migliori in Giordania e Bielorussia che non nella Milano dei primi anni 2000.
Back to Milano 2019 d.C.
Oggi per fortuna invece la città ospita un nutrito florilegio di coffee specialist che offrono una serie pressoché infinita di monovarietà e metodi di estrazione alternativi ed il livello medio ha compiuto “un grande balzo in avanti”.
L’odierna offerta gastronomica milanese è assolutamente stupefacente per ricercatezza, varietà e qualità. A Milano si possono trovare pizzerie napoletane (ai livelli delle migliori di Napoli), pasticcerie francesi (di livello francese), ristoranti pugliesi (di livello pugliese) e persino la “crescia sotto la cenere”, una specialità tipica dell’Umbria nordorientale che sta diventando rara persino nella madrepatria perché nessuno vuol più perdere tempo a cuocerla in modo tradizionale.
Nonostante il quadro idilliaco (o quasi) sopra descritto rimangono alcuni piccoli difettucci (per fortuna molti di essi sono piuttosto nugali) che si spera possano risolversi in breve tempo.
1 – Il cappuccino
Il cappuccino, pilastro irrinunciabile della colazione all’italiana, sembra ancora una preparazione aliena al milieu gastronomico milanese. Quasi ovunque è troppo bollente e la schiuma è solo uno strato di pochi millimetri intorno al bordo della tazza, come se questo sottile strato di schiuma servisse a celare la brodaglia imbevibile che giace sotto di esso.
2 – Fast food
Rispetto alle megalopoli mondiali sotto questo profilo Milano è purtroppo ancora piuttosto indietro. Di seguito alcune delle principali catene che mancano a Milano:
Chick-Fil-A, Jack in the Box, Chipotle (l’assenza più dolorosa per quanto mi riguarda), Taco Bell, Dunkin Donuts, Shake Shack, Taco Bell, Dairy Queen, 7 Eleven (per gli Slurpee ovviamente), Wendy e Subway.
3 – Porchetta
Essendo cresciuto in Umbria, per me la porchetta è una specie di “religione” (astenersi da battute facili, please) dove il consumo medio è di circa 1kg a settimana (nei periodi di dieta). A Milano purtroppo una buona porchetta è introvabile (non rara ma proprio introvabile), e quella che si trova é sempre fredda, stantia, rinseccolita e senza sapore.
4 – Pizza al taglio
La pizza al taglio non sembra ancora essere ancora entrata nel DNA della città. Non si capisce perché i miei concittadini non considerino un piacere della vita il portarsi a casa un bel metro quadro di pizza per pochi spicci. Qui, la pizza al taglio si trova o nelle forme di un prodotto “gourmet” con condimenti fantasiosi (quindi prezzi altissimi a fronte di una qualità nel migliore dei casi discutibile) o sotto forma di pizzoni giganti di 80 cm di diametro con ingredienti very very cheap. Manca quella sana “classe media” di pizze in teglia quadrata con ingredienti semplici e gustosi (patate e mozzarella, rossa col prezzemolo, bianca all’olio o al burro, cipolle, stracchino e pancetta, rossa stracarica di mozzarella, ecc.) e a prezzi accessibili (8-15 euro/kg e non 6 euro per un pezzettino micragnoso; li mortac…[autocensura!]
5 – Carbonara
Altra cosa introvabile a Milano. Finora in poco più di 2 anni ne ho provate 6 ognuna in un ristorante diverso. Voto medio: zero (3 su 6 valevano anche meno di zero). Ovviamente ci sono molti ristoranti romani a Milano, uno in particolare serve i migliori tonnarelli cacio e pepe del mondo; ma con riferimento alla carbonara sembra di essere in Tanzania (absit iniuria verbis). So bene che si tratta di un piatto relativamente costoso perché il guanciale buono costa, le uova ed il pecorino idem (e tutti sappiamo che quando si parla di carbonara la quantità di condimento è a sua volta una qualità), ma all’ombra della Madonnina tutti sembrano fare le cose vergognosamente al risparmio. Poco, ci si può sempre armare di pazienza e olio di gomito (due ingredienti indispensabili in cucina quanto nella vita quotidiana) e prepararsela in casa.
Il medesimo discorso di cui sopra vale per l’amatriciana, ma non voglio infierire ulteriormente.
6 – Etnico 2.0
Con la dicitura di cui sopra mi riferisco a quei ristoranti etnici un po’ fuori dal circuito tradizionale (cinese, tailandese, messicano, mediorientale, ecc.). In tutte le grandi città del mondo si pensi a Londra, Parigi e New York) ci sono dei ristoranti etnici ancora più di nicchia come ad esempio: basco, ungherese, creolo/caraibico, russo, portoghese, georgiano (a mio avviso buonissimo) ecc.
7 – (il prezzo dello) street food
L’offerta di street food a Milano è tutto sommato discreta – ovviamente lontanissima dalle città che hanno una tradizione consolidata come Roma, Napoli, Palermo (e per estensione tutta la Sicilia) o finanche Parigi in cui il cibo di strada sono le ostriche – i prezzi però il più delle volte oscillano tra il folle e l’improponibile. Si parla di circa 3,5 euro per un supplì comprato in strada (a Roma ne ho trovati di gran lunga migliori ad 1 euro), 4-5 euro per un arancino, per la pizza al taglio vedi sopra, panzerotti a 9 euro, ecc. Persino a New York dove i prezzi degli affitti sono stellari, la città pullula di parlor e cart con una buona offerta di street food ad un prezzo abbordabile (per un paio di dollari si può portare a casa un bell’hot dog o un pezzo di pollo fritto).
LORIS COTTONI
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