7 piatti SCOMPARSI e RISCOPERTI nel Nord Italia

Andiamo alla ricerca delle specialità culinarie che hanno lasciato il segno nel Nord del nostro Paese e che ormai risultano del tutto o quasi scomparse

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Zuppa di pesce all'istriana

Continua il nostro viaggio nelle specialità culinarie scomparse e ritrovate che è partito da qui raccontando le delizie lombarde perdute. Ora andiamo alla ricerca di quelle che hanno lasciato il segno in tutto il Nord dello stivale italico.

Leggi anche: I 7 PIATTI SCOMPARSI della cucina LOMBARDA

7 piatti SCOMPARSI e RISCOPERTI nel Nord Italia

#1 Il cappone in vescica di bue e canna di sambuco, caro a Pellegrino Artusi

Credits: storiaenogastronomica.it – Cappone alla canna di sambuco

Si riparte da un piatto lombardo, precisamente mantovano, il cappone in vescica di bue e canna di sambuco, già caro all’Artusi ed ora segreto di cucina gelosamente custodito da pochi ristoratori nella terra di Virgilio.

#2 Il Casadello o Latteruolo, un dolce di tradizione contadina

Credits: blog.giallozafferano.it – Casadello o Latteruolo

Lo stesso Artusi menziona anche un dolce della sua terra, la Romagna, detto Casadello o Latteruolo. Soprattutto la seconda variante ne dimostra la base di latte, che, insieme allo zucchero e alla vanillina, va bollito e riempie un guscio di pasta dolce, che la tradizione chiama “pasta matta”. Si tratta di un dolce della tradizione contadina, che i mezzadri erano soliti regalare per la festa del Corpus Domini ai padroni delle terre che lavoravano

#3 “Chisoëula Pellegrinese”, una focaccia al rosmarino che si insaporiva con il sugo dell’arrosto e #4 “lat in pé” un budino a km zero

Passando ora all’Emilia, nel parmense, in piena food valley, sono stati riscoperti di recente due piatti, entrambi figli della tradizione culinaria povera e degli espedienti: si tratta della “Chisoëula Pellegrinese”, una focaccia al rosmarino alla quale si dava sapore con il sugo dell’arrosto, generalmente avanzato dai pasti precedenti e del “lat in pé”, ossia “latte in piedi”, una sorta di budino fatto di uova, zucchero e latte, spesso “a chilometro zero”, in quanto erano prodotti dagli animali della fattoria.

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#5 La zuppa di pesce all’istriana

Zuppa di pesce all’istriana

Risulta interessante anche notare come Trieste, crocevia di culture, sospesa tra tre mondi (ossia l’Italia, la sfera germanofona e quella di cultura slava), oltre che fra terra e mare, abbia fatto da “scrigno” per alcuni piatti, di tradizione istriana e dalmata, ora entrati di diritto nella tradizione cittadina. Si tratta, nello specifico, della zuppa di pesce all’istriana, detto anche brodetto, che mette insieme lo scorfano, la gallinella di mare, i calamari, il pesce prete, il merluzzo, le vongole e le cozze per creare uno dei piatti più gustosi, come capita anche nelle altre regioni italiane di tradizione marinara. Lo stesso brodetto presenta diverse varianti, anche all’interno della stessa zona.

#6 I “fusi”, una pasta all’uovo istriano rivisitato a Trieste

Un altro piatto istriano, recuperato e in qualche modo rivisto a Trieste, è quello dei cosiddetti “fusi”, un tipo di pasta all’uovo, simile a quella umbra, che poi viene servita in un brodo di gallina, oppure con asparagi e tartufo, oppure ancora con piselli o lenticchie.

#7 Il “dindo alla Schiavone”, tacchino ripieno di castagne e prugne, dalla Dalmazia a Venezia

Credits: gnammo.com – Il dindo alla schiavone

La Dalmazia, che per la la Serenissima Repubblica di Venezia faceva parte della Schiavonia, ha regalato molti piatti alla tradizione veneziana e veneta. Tra questi, figura senz’altro il “dindo alla schiavone”, ossia il tacchino ripieno di castagne e prugne, che ha un posto di tutto rispetto nei pranzi di piatti tradizionali della Serenissima.

Per forza di cose non è stato possibile menzionare tutte le ricette che il nostro Paese, eccellenza alimentare mondiale, custodisce e condivide. Speriamo, però, di avervi stuzzicato l’appetito, anche mentale, per (ri)scoprire i piatti di vostro gusto.

ANTONIO ENRICO BUONOCORE

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Antonio Enrico Buonocore
Traduttore di lingua inglese ed esperto di fondi europei, crede fermamente che la cultura salverà il mondo. Una parola alla volta, se necessario.