Alla fine il fantomatico masterplan Farini-S.Cristoforo è arrivato. Lo Scalo Farini inizia finalmente a prendere forma e, ad una prima occhiata, non parrebbe all’altezza delle aspettative: troppo poco verde, binari a vista, molti edifici bassi al posto delle torri iconiche a cui negli ultimi anni ci eravamo abituati.
I Limpidarium per acqua e aria più pulite
Ma partiamo dall’inizio. Questo è il progetto vincitore presentato da OMA, studio internazionale specializzato in architettura, urbanistica e ricerca transdisciplinare e Laboratorio Permanente, studio milanese che integra una visione architettonica contemporanea con una profonda attenzione al contesto urbano. Il progetto punta a inserirsi nella strategia del comune di Milano per l’adattamento ai cambiamenti climatici e la resilienza urbana attraverso il ruolo delle alberature e degli specchi d’acqua che permettono di raffrescare l’aria per la città e ridurre l’impatto dell’inquinamento sulla salute delle persone.
Nel caso del parco Farini, il Masterplan prevede un Limpidarium d’aria che ha l’obiettivo di ridurre l’effetto “isola di calore” generata dalla città e di depurare l’aria.
Nel caso del Parco San Cristoforo, invece, il Limpidarium d’acqua funziona come un filtro che, mediante un procedimento naturale, depura l’acqua e consente la creazione di piscine atte alla balneazione e ad attività nuove per la città di Milano.
Inoltre, in ogni aspetto funzionale del quartiere vengono adottate strategie ecologiche: dalla riduzione della domanda energetica degli edifici sulla base delle caratteristiche fisiche dei materiali e delle colorazioni delle facciate, allo stoccaggio e riuso delle acque meteoriche; dalla climatizzazione delle piazze e dei percorsi pubblici tramite corridoi ecologici, alla centralizzazione del sistema di raffrescamento e riscaldamento dell’intero quartiere.
Che fine ha fatto il grande parco?
Al primo impatto tuttavia questo progetto potrebbe apparire un po’ deludente. Forse perché avevamo fatto l’occhio ai rendering di Boeri presentati al pubblico nel 2017, che ci avevano abituato a immaginare un enorme parco sulla maggior parte della superficie dell’area, costellata da alcuni (pochi) boschi verticali ai margini, e nessuna traccia della ferrovia. Ora invece ci troviamo con un masterplan deliberatamente anti-iconico, che prevede un parco di dimensioni molto meno generose, con una forma stretta e lunga che difficilmente potrà dare la sensazione immersiva di un grande parco urbano, e i binari che tagliano l’area i due parti distinte, collegate solo da due lunghi ponti pedonali. Ma non doveva essere il nostro Central Park?
Gli obiettivi del Comune: collegamenti e quartiere in continuità
Per comprendere la scelta occorre evidentemente collocarla nel contesto dell’Accordo di Programma sottoscritto nel 2017 e nel più ampio Piano di Governo del Territorio, che ha una prospettiva su scala metropolitana. L’obiettivo dichiarato del Comune infatti è quello di creare un nuovo collegamento ciclo-pedonale tra il Parco di Porta Nuova e il Parco Palizzi e oltre, in un continuum di verde che colleghi l’area di Farini a Porta Nuova e poi più in là fino ad arrivare a Mind, l’ex area Expo, e il parco di Farini si inserisce evidentemente in questa prospettiva.
L’altro obiettivo del Comune era quello di creare in questa zona un vero e proprio quartiere in continuità con quelli adiacenti, creando nuovi contesti abitativi caratterizzati da ampi spazi pubblici, verde attrezzato e mobilità dolce. E’ una strategia di sviluppo urbano per poter vivere e lavorare nel nuovo quartiere di Farini, creando spazi qualificati e soluzioni abitative accessibili a tutti i cittadini. In questo senso difficilmente una serie di poche torri alte e iconiche avrebbero potuto svolgere questa funzione, a meno di non voler destinare all’housing sociale (previsti nell’accordo di programma) appartamenti del valore di 10.000 euro al mq e spese condominiali da capogiro. Ovviamente questa scelta ha sottratto un po’ di superficie verde al parco vero e proprio, dal momento che anche viali e piazze più o meno alberate sembrano venire computate nel famoso 65% di verde (minimo) previsto dall’AdP.
Infine la ferrovia. Questo sembra in effetti il punto più critico del masterplan, come ha ammesso lo stesso Maran nell’incontro dello scorso 17 aprile. Risulta evidente infatti che i due ponti previsti difficilmente rispondono all’obiettivo di individuare un nuovo assetto urbanistico con funzione di “cerniera” fra i quartieri oggi separati dalla linea ferroviaria, che tali sembrerebbero rimanere. A meno che non sia previsto un intervento successivo che esula da questo masterplan, dal momento che tra i progetti del Comune è prevista una copertura parziale della linea ferroviaria in esercizio, tale da consentire significative connessioni trasversali prevalentemente sistemate a verde e spazi pedonali. Questa prospettiva darebbe chiaramente più respiro al parco e consentirebbe una connessione vera e propria delle due aree della città.
Infine è da considerare che la finalità del Concorso non era la redazione di elaborati analoghi ad un “Piano attuativo” né un progetto planivolumetrico dell’area, bensì la rappresentazione di una strategia di rigenerazione, con particolare riferimento alle aree pubbliche, le connessioni e le infrastrutture verdi. In questo senso evidentemente la strategia di prevedere diverse possibili soluzioni per altrettanti scenari economici di sviluppo della città è risultata vincente, così come la possibilità di procedere per fasi rendendo fruibile l’area nel più breve tempo possibile.
ROBERTA CACCIALUPI
Ps. Le due criticità principali sollevate dal Municipio 9
Dopo l’approvazione del progetto, abbiamo chiesto un parere al Presidente del Municipio 9, Giuseppe Lardieri, e ad altri consiglieri. Ci hanno risposto in modo univoco. Il progetto Farini avrebbe due limiti fondamentali:
Il primo è che non ha un centro di aggregazione. Rischia di non essere frequentato da chi non ci abita o ci lavora, come è capitato per la Bicocca.
Il secondo limite è che le aree verdi sono separate in due parti, divise dalla ferrovia: rischia di fare la fine di Rogoredo.
Le ferrovie e gli scali attivi fino a metà del secolo scorso sono oggi le più grandi opportunità di creare sana edilizia e ampie aree verdi pubbliche nel cuore delle nostre città in cui spesso sono carenti per la loro storia.
Da ingegnere, non da urbanista, e da cittadino mi piacerebbe che si desse alle “storiche aree ferroviarie e ai dismessi assi ferroviari” la possibilità di CONNETTERE ancor oggi trasformando questi spazi ovunque in arterie verdi garantendo ampie zone di aggregazione urbana e vie di collegamento con l’Ambiente al di fuori della città.
Si dovrebbe copiare dal mondo, cercando di interrare il più possibile e sfruttare l’U/G liberando spazio.
Speriamo in un miglioramento di questo piano..
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