Le ho viste. Correndo stamattina ho deviato il mio percorso per andarle a vedere. Le palme di piazza Duomo. Al momento si capisce poco quale sarà l’impatto finale. Ci sono solo delle palme sulla terra, ancora da trattare. Mentre le guardavo per capire l’effetto che potrebbero fare, mi è venuto in mente un monte. Il monte di Berlino.
Il monte di Berlino
Quando sono andato a viverci, la capitale tedesca era in piena crisi. Era il 2004, la disoccupazione galoppava e le uniche gioie della popolazione erano l’attesa dei mondiali di calcio e la discussione sul monte di Berlino.
Berlino è una città strana per chi arriva da Milano, sotto tantissimi aspetti. Uno è quello che è fredda, l’inverno dura cinque o sei mesi, ma nonostante il clima le prime montagne sono a cinquecento chilometri. Fa l’effetto di una città di mare senza il mare. Almeno per me. Così quando ho visto che divampava il dibattito promosso dai principali media sulla montagna da costruire, mi ci sono appassionato.
Il progetto vincitore prevedeva di costruire una montagna artificiale di oltre 1000 metri, costruita utilizzando la sabbia presa dal fondale del mare Baltico. Così i berlinesi avrebbero risolto due problemi: avrebbero avuto una montagna in città e un mare con un fondale più profondo, rispetto al tappeto di fanghiglia che si stende dalle loro coste.
Anche se il progetto non si è mai fatto, ho apprezzato l’effervescenza del dibattito e ho capito quella che è la grande forza di Berlino: la propensione al futuro.
A Berlino tra passato e futuro vince sempre il futuro. Significa che tra conservare e costruire qualcosa di nuovo si preferisce sempre buttarsi e fare, senza guardare indietro. Credo che questa dote sia alla base del rilancio della città che in pochi anni ho visto trasformarsi da malato di Germania a capitale europea dell’innovazione.
Ecco perchè queste palme spelacchiate mi fanno amare ancora di più la mia città.
Non sto parlando dei miei gusti, se mi piacciono o no, ma ciò che mi piace è che Milano sia una città, forse l’unica città italiana, che è capace di progettare una roba così assurda, uno scempio quasi sacrilego, nella sua piazza più importante. E questo per tre ragioni.
ciò che mi piace è che Milano sia una città, forse l’unica città italiana, che è capace di progettare una roba così assurda
Perchè amo la città delle palme
La prima ragione è che Milano con opere come queste è coerente alla sua identità di città aperta al cambiamento. In un’Italia in cui molti ormai intendono le città come dei musei, Milano afferma una diversa idea di città. Dove non si teme il nuovo, anzi, si utilizza il cambiamento come fonte di vitalità e di creatività.
La seconda ragione è che le palme del Duomo possono diventare simbolo della Milano che fa, città leader di un paese dove si perdono mesi se non anni su progetti, chiacchiere, dibattiti e convegni ma alla fine non si combina niente. Il paese del Ponte di Messina o della Tav al rallentatore può ricevere una scossa positiva dalla città che zitta zitta, quasi senza dire niente, all’improvviso pianta delle palme davanti all’icona della città. Uno schiaffo a tutti quelli che cincischiano senza fare nulla.
La terza ragione è che Milano finalmente mostra di essere più forte rispetto a una delle più grandi sciagure culturali della nostra epoca: l’ipercritica. Siamo un paese in cui tutti criticano, insultano, minacciano chi fa qualcosa o prova a fare qualcosa fuori dall’ordinario. Siamo un paese di spettatori, di leoni da testiera, ma soprattutto di amministratori terrorizzati dal muovere foglia per timore della condanna sociale.
Con un’opera così pacchiana Milano mostra tutta la sua forza, urla all’Italia intera il suo me ne infischio. Da noi conta solo fare.
Con un’opera così pacchiana Milano mostra tutta la sua forza, urla all’Italia intera il suo me ne infischio.
Forse volo troppo alto ma la storia delle palme mi sta facendo venire in mente un’altra cosa oltre il monte di Berlino. Mi sta ricordando Expo. Anche in quel caso per anni a Milano tutti si lamentavano, eravamo sul punto di rinunciare, ma alla fine è emersa forte l’energia, l’anima della città che porta a fare le cose.
Se devo confessarlo anche a me le palme lasciano perplesso, così come ho trovato ridicolo l’albero della vita, deludente il Padiglione Italia e poco identitaria per Milano tutta Expo. Eppure sono stato e sarò sempre orgoglioso della mia città quando sarà la città che fa. Anche se quello che fa riceverà fischi dagli spalti e infiammerà la frustrazione degli incapaci.