Il più conosciuto rappresentante del tipico menestrello milanese che, munito di chitarra, passava nelle osterie a cantare e suonare rigorosamente in dialetto.
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Enrico Molaschi, el “Barbapedana” di Milano
# Il menestrello milanese
El Barbapedana era una figura tipica milanese, che si vedeva in giro tra l’ 800 e i primi anni del ‘900. Munito di chitarra, passava nelle osterie a cantare e suonare canzoni meneghine, rigorosamente in dialetto, per racimolare qualche soldo dai clienti e qualche bicchiere di vino dall’oste.
“Barbapedana, el gh’aveva on gilè senza el dananz, cont via el dedrèe, cont i oggioeu long ona spana; l’era al gilè del Barbapedana”, recitava un vecchio brano, che Nanni Svampa poi italianizzò, senza però avvilirne l’identità milanese. La canzone, che parlava proprio di questo tipico personaggio meneghino, un po’ artista, un po’ pelandrone, scaltro e svampito, in base alle convenienze.
# Il più famoso di tutti: Enrico Molaschi
Non è possibile avere un censimento su quanti di questi personaggi si aggiravano allora nella nostra città, a fare i Barbapedana. Certamente quello più famoso fu Enrico Molaschi. Nacque, ovviamente a Milano, il 1 gennaio 1823: Arrigo Bruno, quello che creò l’opera “Mefistofele” e il libretto del verdiano “Otello”, parlava di Molaschi come di un chitarrista che sapeva strimpellare così bene da creare un suono simile all’arpa, con una vivacità che trasformava la musica da “un tranquillo ruscello ad un fiume in piena”. Enrico, a nove anni, lascia Milano, da solo, per andare a Paullo, dove inizia a guadagnarsi i primi soldi come garzone in una locanda. Un giorno da lì passa un menestrello, munito di chitarra, che canta ai clienti brani orecchiabili e goderecci, tra cui uno che faceva, “E ticch e dai…el Barbapedana”, quest’ultima parola significa “cantastorie”. Molaschi viene colpito da questo artista, pure lui vuole fare il menestrello in giro.
# Fu invitato a suonare dalla Duchessa di Genova nella sua villa di Stresa
Enrico ha quindici anni, impara a destreggiarsi con la chitarra, poi si sposa, ha dei figli e a 39 anni decide di tornare a Milano, portandosi dietro il soprannome di Barbapedana, come quello della canzone. Arriva in città con la moglie, Maria, e una parte della prole. El Barbapedana, Molaschi, scrisse svariate canzoni, tra cui “El piscinin”. Lui bazzicava per lo più nelle osterie fuori porta, lo vedevi apparire nelle feste e nelle cerimonie. Elisabetta di Sassonia, ovvero la Duchessa di Genova, invitò Molaschi a cantare e suonare nella sua Villa di Stresa.
# Passava dai repertori più castigati e raffinati a quelli più spinti e audaci
Caratteristica di questo artista era il fischio, lungo, squillante e intonato, che faceva da accompagnamento alle canzoni. Suonava la chitarra, battendoci sopra come su un tamburo e fischiava, come uno strumento a fiato, creando una sonorità da opera polistrumentale.
Quando divenne anziano, Enrico venne ricoverato al Pio Albergo Trivulzio, dove morì il 26 ottobre 1911. Quando era in auge, sapeva passare dai repertori più castigati e raffinati, se si trattava di esibirsi in locali da ricchi oppure in presenza di bambini, a quelli più spinti e audaci, soprattutto in presenza di giovani coppiette in intimità.
“Bei tempi!!!”, diremmo adesso, quando a cena la presenza di un menestrello rallegrava una piacevole serata conviviale, anziché vederla come una fastidiosa violazione della privacy e quando le foto ai piatti prima di mangiarseli sarebbero state viste come un comportamento da manicomio.
FABIO BUFFA
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