Il cibo, un fattore che caratterizza al contempo la storia e la tradizione d’Italia, così come ogni città internazionale che si rispetti. Abbiamo deciso di pubblicare una serie di interviste a grandi chef e cuochi che hanno scelto Milano e che ogni giorno contribuiscono a renderla grande.
Giancarlo Morelli, Bergamo – Seregno – Milano
Ristorante: Morelli
Siamo seduti al Bulk, il mixology food bar che insieme al contiguo ristorante gourmet Morelli è stato creato “per tutti coloro che cercano il riferimento del buono e del bello”. Eccolo Giancarlo Morelli, si è appena lasciato dietro la porta d’ingresso una fredda serata milanese, che si riflette nella temperatura della sua mano appena ci salutiamo. Ma poi è un attimo, via il bel giaccone nero di lana grossa, indosso la casacca bianca da chef e l’atmosfera si fa subito calda, accogliente, stimolante.
Non sappiamo se sia arrivato dal Pomiroeu stellato di Seregno o dalla trattoria Trombetta di viale Tunisia, da un meeting per la prossima stagione del Phi Beach di Baia Sardinia, da catering e consulenze, da riunioni con qualcuno tra i suoi oltre 100 dipendenti…
“A volte si nasce irrequieti. Altre volte imprenditori. Io sono venuto al mondo con entrambe queste caratteristiche”.
Cominciamo bene… ma proseguiamo ancora meglio visto che al tavolo arriva un bel bicchiere di Giantonic, drink brevettato da Morelli, inconfondibile nel nome e nel gusto come gli iconici occhiali dello Chef metà tondi e metà quadrati. E come quello che i suoi clienti hanno il piacere di degustare.
Ci troviamo subito in linea rispetto all’intendimento di “biologico”: per chi scrive, questo concetto più che con “sano” è meglio traducibile con “moda” e con “certificazione burocratica”. Psicodinamicamente parlando, in estrema sintesi potrebbe essere invece la sostituzione di responsabilità personali (il piacere/dovere di mangiare bene e di cercare – anche con fatica – ingredienti di vera qualità) appagate con spostamento sul bollino verde, blu, arancione che sia… A noi, quindi, piace parlare più di “naturale”. E Giancarlo Morelli certamente parla, ma soprattutto agisce.
Materie prime naturali a Milano?
“Per un cuoco milanese che lavora a Milano e che vuole distinguersi – io sono bergamasco ed è una caratteristica importante alla quale non rinuncio, tanto quella di essere veramente innamorato di Milano – non ci si può affidare alla cucina del mare, del lago, della montagna, etc… A Milano abbiamo la cucina del mondo, ma questo mondo ha bisogno di essere esaltato. Cosa intendo per ‘esaltato’: vuol dire che non dobbiamo banalizzare la cucina, dobbiamo garantirgli il suo DNA. Il cuoco, soprattutto imprenditore, deve fare la differenza anche su una semplice insalata. Questa è stata la scintilla che ha fatto scatenare in me la voglia di avere un vero orto non solo per uso familiare o per gli amici, ma da sfruttare per la ristorazione milanese, soprattutto al Morelli e al Bulk. Ogni settimana arrivano dal viterbese in città tre carichi, risultato della passione condivisa con un’amica e socia – Beatrice Peruzzi – che parte dall’olio di oliva extravergine e arriva alla volontà di portare sempre più prodotti realmente naturali sulle tavole”.
Dalle prime esperienze sulle navi all’affinamento accanto a grandi chef fino a Seregno che, quest’anno, ha festeggiato i 25 anni di attività. Poi tutto il resto e nel 2017 Bulk e Morelli. Perché questa accelerata su Milano?
“Come irrequieto prima e poi imprenditore, appunto, non ho voluto quasi subito capi sopra la testa. Perché uno come me è nato per mettersi alla prova ogni giorno. Milano non è facile, anzi è una piazza molto difficile, specie nel mio settore. Non per i milanesi, che sono dei clienti aperti, capaci e volenterosi di confrontarsi. Il milanese è il cittadino più globale di tutta l’Italia. Si confronta quotidianamente col mondo intero, non soffre di provincialismo né ha paura dell’invasione del migrante. Ciò è dimostrato dal fatto che questa città in Italia è da anni avanti a tutti, ha saputo – anche forse inconsciamente – farsi contaminare in modo positivo. E anche in cucina la contaminazione porta evoluzione…
Noi siamo in Chinatown, qui la contaminazione cinese è stata fortissima, una volta questa zona era quasi abbandonata. Oggi ha più energia di tanti altri quartieri. Cosa è successo? Abbiamo preso la velocità del cinese nel fare le cose, unendola alla classe italiana…
Milano è difficile, dicevo, perché è troppo in anticipo. Mi spiego meglio: Londra oggi è già pronta in tutti i settori per ricevere almeno un altro milione di persone. A Milano l’impresa del Food si è già preparata in anticipo per soddisfare la domanda di un milione di persone in più rispetto a oggi, ma la città anche quantitativamente parlando, no. Questo forse succederà tra 7-8, 10 anni. Chiediamoci: perché tutti pensano che aprire a Milano è la scelta migliore? Perché c’è un percepito sbagliato: lo spazio attualmente non c’è più, non c’è clientela per tutti. E allora nel frattempo bisogna già oggi essere i migliori, perché appunto c’è grande concorrenza che purtroppo porterà a diverse chiusure. Quindi, a maggior ragione, è fondamentale essere i migliori, costantemente.
Personalmente ho investito a Milano perché 2/3 anni fa era il ‘place to be’. Ora è troppo ‘to be’. Se avessi voglia di fare una nuova avventura, direi a Torino. Sono convinto che si riprenderà una parte della grandezza sabauda che ha nel suo DNA”.
A parte 1 milione di persone/posti letto/posti di lavoro, cosa manca a Milano? E all’Italia?
“Dobbiamo dare sempre di più un’immagine positiva di Milano. Va aiutato il mondo dell’eccellenza, della qualità, ovviamente anche attraverso il cibo che è fonte di turismo elevato. Le istituzioni devono essere dalla nostra parte, cercando di agevolare le imprese che sono nelle regole. Una città che cresce deve avere regole uguali per tutti… Gli imprenditori hanno bisogno solo di una cosa: essere realmente un po’ più liberi di lavorare.
Milano ha una buona sicurezza senza dubbio, sono convinto di questo. Però non è vero che tutto funziona: tutto funzionerà tra 10 anni.
Al di là delle critiche dall’Europa, di questo governo che se va bene o se va male non entro nel merito, noi imprenditori siamo persone che vogliono il bene dell’Italia, che purtroppo è il posto più difficile d’Europa dove fare impresa.
Per salvare l’Italia dovremmo portare la politica a Milano”. Posso scriverlo? “Certo!”. Grazie. E buon lavoro.
Leggi l’intervista allo chef Andrea Berton
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FLAVIO INCARBONE
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