I LIGURI: “Milanesi restate a casa vostra!”. E un rappresentante del GOVERNO rincara la dose: “Chiudiamo i lombardi in Lombardia”

L'odio diffuso verso i milanesi tradisce l'incapacità di valorizzare la propria terra. E agli attacchi dei liguri si aggiunge un rappresentante del governo: "Chiudiamo i lombardi in Lombardia". La replica della Regione: "Però non facciamo uscire anche i 56 miliardi che vi diamo ogni anno"

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Sulla tipica accoglienza ligure si sono cimentati i migliori comici nostrani. C’è una celebre battuta di un vecchio sketch di Zelig dove un fantomatico Movimento Estremista Ligure recita: “I milanesi vengono da noi, van nei ristoranti, ordinano e pretendono che ci sia pure qualcuno che li serva al tavolo!”. Parimenti, in uno spezzone ricavato dal film “Non è un paese per vecchi” dei Fratelli Coen, ridoppiato in ligure dal geniale Fabrizio Casalino, un minaccioso Javier Bardem entra in un emporio per ordinare dei pinoli per fare il pesto e si sente rispondere laconicamente dal vecchio al bancone “pinoli non ce n’è belin, siam sensa!

Milanesi flagello di Dio

Nelle ultime ore, da levante a ponente la parola “milanese” è sinonimo di untore e ospite non gradito. Al momento della riapertura dei valichi regionali dello scorso 3 giugno, in corrispondenza di una foto raffigurante un ingorgo sull’A7 postata sul profilo Instagram di Mugugno Genovese, pagina satirica di riferimento della comunità genovese che conta oltre 89mila follower, sono comparsi una serie di commenti al vetriolo contro milanesi e lombardi, colpevoli – secondo tali signori – di contaminare con i loro miasmi le loro amate terre. Tra i commenti più benevoli figuravano “Milanesi flagello di Dio” e “che non vengano a impestarci” mentre i più splatter e acrimoniosi annoveravano un “Come vi odio” fino a Organizzerei uno sterminio, chi si vuole unire?”.

Il rappresentante del governo: “Chiudiamo i lombardi in Lombardia”. La replica della Regione: “Però non facciamo uscire anche i 56 miliardi che vi diamo ogni anno”

A seguito della denuncia di Selvaggia Lucarelli, il gestore del profilo in questione ha tentato maldestramente di giustificarsi dichiarando la natura satirica di tale profilo e lamentando che la denuncia avrebbe innescato i contro-insulti dei milanesi. Si è invece apertamente dissociato Giovanni Toti, Presidente della Regione e uno dei maggiori fan delle riaperture costi-quel-che-costi, confermando la piena accoglienza a tutti i turisti indiscriminatamente.

Purtroppo nelle ultime ore ha fatto da eco a questi rigurgiti campanilistici anche chi riveste una carica istituzionale. Trattasi dello scrittore Massimo Mantellini, esperto di cultura digitale e membro dell’innovativa task force governativa contro l’odio in rete, voluta fortemente dal Ministero per l’Innovazione. Costui ha sentenziato ieri sulla propria pagina Twitter: “La dico piano: chiudiamo i lombardi in Lombardia. Almeno quest’estate”. Di fronte al putiferio mediatico scatenato da questo intervento assai poco politically correct e alla risposta provocatoria dell’Assessore lombardo al bilancio Davide Caparini di non far uscire dalla Lombardia, oltre ai lombardi stessi, anche i 56 miliardi delle loro tasse che contribuiscono alla ricchezza del paese, Mantellini ha replicato con finto candore: “mi pare ci sia moltissima tensione in giro. Più del solito. […] esiste un riflesso automatico per cui se tu parli di salute molti rispondono parlando di soldi”.

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Il botta e risposta tra rappresentante del governo e assessore della regione

Le leggendarie scazzottate tra liguri e lombardi

Tornando alla Liguria, la sua vocazione turistica è da sempre inversamente proporzionale ai propri gloriosi passati marinari e alla bellezza dei pini marittimi che dipingono di verde le acque del suo mare. A differenza dei romagnoli, che col loro proverbiale sorriso riuscirebbero a far apparire l’Idroscalo come i Caraibi, gli abitanti della regione a forma di sorriso rovesciato sono per tradizione restii all’accoglienza e alla valorizzazione delle proprie risorse naturali. Ostili e aspri per conformazione geografica, stretti come sono tra mare, coste risicate e monti dall’accesso impervio, attraversati da cavalcavia e bucati da infinite gallerie, i liguri (con l’eccezione dei genovesi) rivelano un carattere più montanaro che marittimo, hanno spesso il broncio e sembrano disprezzare chi contribuisce, con le proprie ricchezze, a oltre il 20% del PIL regionale, inclusi i “bauscia” che da generazioni rimpolpano l’IMU locale con le loro seconde case.

Dagli anni del boom economico la Liguria, per bellezza e prossimità geografica, è meta di elezione dei milanesi che – riluttanti per DNA a rimanere in città nei fine settimana – hanno lì stabilito la propria enclave, riproponendo in chiave balneare le stesse dinamiche e gli stessi tic urbani, per ritrovarsi tra loro e riposarsi dalle fatiche lavorative.

E la rivalità tra liguri e lombardi non è storia dell’ultima ora: leggendarie furono le scazzottate tra i rampolli della dolce vita milanese e gli energumeni e pallanuotisti locali al celebre Covo di Nord Est nella Portofino degli anni ’80, ed è quasi scientifica la predisposizione delle forze dell’ordine del Golfo del Tigullio e delle Cinque Terre a lasciare le multe sui parabrezza delle auto targate Milano prima che di quelle intestate ai propri cittadini.

Si odia nel lombardo quello che il ligure non è stato in grado di valorizzare della sua terra

Ma al di là delle considerazioni di folclore, questa acrimonia e ruvidità dei liguri per i “foresti” lombardi potrebbe trovare giustificazione in una sorta di rimpianto tardivo per non aver saputo loro stessi tutelare meglio le proprie risorse, per aver svenduto il proprio territorio in cambio del vil denaro, per aver permesso tra gli anni ‘50 e ‘60 uno sfruttamento edilizio scriteriato e selvaggio e la conseguente devastazione ambientale. Da qui il termine “rapallizzazione”, neologismo coniato anni fa ancor prima del celeberrimo “ecomostro” e ancora oggi incluso nei principali dizionari per indicare il fenomeno verificatosi in numerose zone turistiche d’Italia a seguito del boom economico.

Più che un “ce ne ricorderemo” alla Beppe Sala (che in questo momento rischierebbe di scaldare ancor più gli animi), è importante, mentre strappiamo un morso a una fugassa grondante formaggio di fronte a un tramonto mozzafiato nella Baia del Silenzio, riconoscere le vere ragioni storiche di questa indolenza e ruvidezza, ma nel contempo auspicare che questa regione riesca a scrollarsi presto di dosso questa fama odiosa e a valorizzare meglio le proprie risorse e potenzialità inespresse. Scenette come “belin mi spiace, ma la cucina è chiusa” alle 21:45 di metà luglio sono inaccettabili nel 2020.

ANDREA GUERRA

 

 

 

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Andrea Guerra
Classe 1969, triestino di nascita ma milanesizzato da sempre, avvocato, giornalista pubblicista, appassionato di cinema e buone letture, milite assolto e scooter munito