Il burger con farina di grillo è sbarcato anche a Milano. O forse sarebbe meglio dire è saltato. Con un balzo intercontinentale dall’estremo oriente, le farine di “Acheta Domesticus” più noto come grillo domestico, sono entrate in un panino. Di cui molto si parla. Ecco perché a differenza di molti, io non lo proverò.
Il GRILLOBURGER di Porta Romana: io non lo proverò
È in vendita in città dal 15 febbraio, in edizione limitata, in un locale di Porta Romana appartenente alla catena Pane e trita. Sulla stampa e sui social è tutto un fiorire di “noi l’abbiamo provato”, con commenti a volte neutri e spesso sdolcinati, volti a una glorificazione implicita di questa bizzarra distorsione nell’offerta alimentare.
Nonostante molti ne siano incuriositi e faranno il grande passo, ecco perché io andrò altrove. Per queste ragioni
#1 Dov’è la trita?
Iniziamo dalle basi: se una catena si chiama Pane e trita, mi aspetto un panino e un hamburger e tanti altri begli ingredienti a supporto. Nel grilloburger non c’è traccia di trita, ovvero di carne, sia essa bovina, suina o di altra origine. C’è la farina di grillo: va bene la moda degli insetti, ma considerarla carne mi sembra troppo. Non ci sono riusciti neppure i pesci.
#2 La difesa della dieta mediterranea
Una delle eccellenze del Belpaese è proprio il cibo, la sua storia, la sua artigianalità. Il forte legame dei prodotti alimentari tipici italiani con il territorio gli ha permesso di sopravvivere all’omologazione globale. Allevare e consumare insetti non rientra in nessuna tradizione gastronomica, sociale e culturale italiana. Al contrario, il preparato ottenuto dalla macinazione degli insetti saltellanti prima di arrivare sulle nostre tavole percorre decine di migliaia di chilometri: l’origine è estremorientale. Aprirsi al mondo non significa calarsi le braghe.
#3 E la sicurezza?
Se parliamo di sicurezza si spalancano dinnanzi praterie di punti di domanda e incertezze. Sia in termini di allergie, sia in termini igienici. I grilli contengono nel carapace la chitina, proteina nelle persone allergiche potrebbe dare manifestazioni anche gravi, che vanno dal semplice eritema cutaneo allo shock anafilattico. Sul piano igienico, nonostante le rassicurazioni (almeno sulla carta) di alti standard di sicurezza, qualche dubbio sulle industrie alimentari vietnamiti piuttosto che cinesi credo sia lecito porselo.
#4 Iperproteico, sì, no, forse
In termini nutritivi, il cavallo di battaglia ampiamente pubblicizzato delle farine di insetti è il loro alto contenuto proteico. Ma sicuramente è minore di quello della carne, di molti derivati del latte e della soia. Inoltre, se consideriamo il caso specifico, il grilloburger di Porta Romana contiene solo 1,6 grammi di farina di insetti (il resto sono patate e fagioli cannellini): l’apporto proteico finale sarà di un grammo circa. Praticamente residuale. Ha senso tanto entusiasmo iperproteico?
#5 Invece del grillo si sente la patata
Per appagare la curiosità ci dovrebbe essere un gusto atipico. Invece no: secondo la testata Scatti di Gusto “non c’è alcun sapore, e nemmeno sentore, di insetto nel Grillonel Cheeseburger di Pane&Trita”. “Quello che si percepisce – conclude – è il sapore della patata, dei cannellini”. Dello stesso tenore il giudizio degli assaggiatori di Wired: “La polpetta che contiene la fantomatica farina sa, essenzialmente, di patate e cannellini. Anche mangiata da sola non tradisce nessun retrogusto che possa far scattare l’allarme nelle papille gustative”.
#6 Sostenibile per l’ambiente, non per il portafoglio
Dulcis in fundo, il costo: il burger di Pane e Trita costa 13,90 euro. Più di uno analogo con carne bovina. Inoltre il prezzo all’ingrosso della farina di grillo è stratosferico, siamo intorno ai 70 euro al chilo. Contro un euro per una farina di grano tenero e 5 per la soia. La farina di grilli è quindi altamente insostenibile sia economicamente e sia socialmente, contrariamente a quello che purtroppo viene sovente sbandierato, considerando solo l’aspetto ambientale.
# Conclusione: nessuna forma di attrazione per il mio palato
In conclusione il nuovo burger non mi attrae da nessun punto di vista. Né mi stuzzica l’idea di gustare qualcosa di nuovo o insolito. La presenza della farina di grilli nel suo impasto è pressochè residuale, non dà sapore nè struttura. L’apporto proteico specifico è trascurabile, mentre le precauzioni sul tema igiene e sicurezza rimangono. Lascerò quindi ad altri la possibilità di accaparrarsi il discusso prodotto “ a tiratura limitata”. Senza il minimo rimpianto.
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STEFANO CORRADA
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Quanta ignoranza e imprecisione in questo articolo. Non difendo la scelta dei grilli (magari a livello scientifico e ambientale ci può essere di meglio). Ma prima di attaccare in modalità molto italiana, bisognerebbe domandarsi la sostenibilità per l’ambiente delle coltivazioni di soia o degli allevamenti di bovini, implicitamente difesi e citati nell’articolo. Insomma, prima di aprire la bocca per mangiare, chiediamoci cosa si sta mangiando, in ogni caso, dal grillo alla mucca fino alla soia o al pesce. Bisognerebbe prima studiare, poi pensare, e poi eventualmente, se proprio necessario, parlare e scrivere “articoli”.
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