E’ una strada nota praticamente a tutti i milanesi, perché è quella che porta allo stadio. Pochi ci fanno caso eppure ha una particolarità molto curiosa e rappresenta uno degli spaccati socio-demografici più interessanti della città.
Una strada lunga, dritta, che cambia spesso nome
E’ una strada che prende più nomi anche se di fatto è un vialone continuo, non inframmezzato da piazze circolari o da deviazioni di percorso. In gergo la si chiama “la via per lo stadio”.
Chi arriva dalla città di regola imbocca questo lungo viale da Zavattari, il piazzale sulla circonvallazione tra Lotto e Piazzale Brescia. Nella parte iniziale prende il nome di via Monreale ma è da quando prende il nome di via Simone Stratico che inizia a comparire una netta differenza tra ciò che appare alla destra e quello che appare alla sinistra. E questa differenza prosegue anche quando diventa via Harar che arriva fino allo stadio.
La caratteristica di questo viale è che divide con un taglio netto la parte nord dalla parte sud del quartiere di San Siro.
Il taglio non è solo urbanistico ma soprattutto sociale. La parte nord infatti è la San Siro borghese, con villini e condomini pieni di verde e di strutture sportive. Un’area che vanta inquilini illustri: ci abitano Linus, Eugenio Finardi, Gabriele Salvatores, diversi giocatori di Milan e Inter. Se si prende una qualunque strada lato nord, verso l’imbocco dell’autostrada, per intenderci, ci si trova immersi nel verde con villette di ogni tipo, molto eleganti e spesso difese da robuste cancellate. Questo tipo di edifici si sparge in modo uniforme per un’ampia area, una delle più verdi della città, anche grazie all’Ippodromo e al parco Trenno, che sorge anch’esso nel lato nord, o alla destra per chi viene dal centro, del lungo viale che alla fine diventa via Novara. Da questa parte ci sono praticamente tutte le attrattive maggiori del quartiere: oltre a ville, parco Trenno e Ippodromo, ci sono anche Lampugnano, la Montagnetta, lo stesso stadio è posto su questo lato. Questo scenario continua per ogni punto del viale, anche quando si chiama via dei Rospigliosi o, per un breve tratto, via Dessié. Un viale che cambia nome di continuo ma è sempre lo stesso.
Se si guarda dal lato opposto della strada, le cose cambiano. Invece di verde e villette, ci sono case popolari e palazzi tipici dell’edilizia degli anni cinquanta, quella per cui era importante dare una casa a tutti, senza curarsi troppo dell’estetica. Questo tipo di edifici non sono solo ai bordi della strada, ma proseguono a raggiera per tutte le strade verso sud. Il verde è praticamente scomparso e per ritrovarlo bisogna spingersi a Baggio. Se ci si avventura in questi palazzi si scopre che anche il tipo di abitanti è molto diverso dalla borghesia del lato opposto della strada. Qui non ci sono calciatori o dee jay famosi ma sui citofoni appaiono in grande dominanza cognomi stranieri, per lo più di origine araba. L’unica struttura rilevante è l’Ospedale San Carlo.
Se si parla con chi vive a San Siro si scopre che questa strada è vissuta come un muro. Chi vive a nord considera la parte sud come un’area degradata, pericolosa, abitata da persone con cui praticamente non ci sono rapporti. Anzi. Chi si muove nella San Siro “bene”, se deve uscire dal suo condominio o dall’area circostante, o va in altre parti del quartiere, al parco o alla montagnetta, ad esempio, oppure cambia zona, dirigendosi in quartieri più centrali. Ma è molto difficile che vada nell’altra parte, in direzione Baggio. E viceversa. L’ambiente multietnico che si trova nella parte sud di San Siro praticamente non esiste a nord, dove di rado appaiono persone immigrate o di colore.
San Siro come Kreuzberg: modello di integrazione o di divisione?
San Siro costituisce un interessante laboratorio. Per certi aspetti si può definire la Kreuzberg di Milano, riprendendo il quartiere berlinese che ha al suo interno le maggiori divisioni e stratificazioni etniche e sociali della capitale tedesca. E’ interessante per vedere che risultati si ottiene ad avere accanto immigrati e borghesi. I risultati non sembrano incoraggianti, perchè le due realtà esistono ma con una barriera, un muro invisibile, che invece di attenuarle amplifica le differenze. Gli abitanti delle due zone, infatti, frequentano luoghi, scuole, persone molto diverse e praticamente non esistono punti di integrazione, semplicemente perchè gli abitanti non li desiderano. Né gli né gli altri. E’ come un muro che divide le menti e la vicinanza invece di invitare alla conoscenza reciproca alimenta e rinforza la diffidenza.
A SAN SIRO non esistono punti di integrazione, semplicemente perchè gli abitanti non li desiderano
Finora non si è mai parlato in questi termini di San Siro, del suo muro invisibile e del distacco tra chi vi abita, ma può rappresentare invece un importante campo di studio per capire al di là delle ipocrisie quale può essere il modo migliore per una politica di accoglienza e di integrazione per la città. Una politica che nel caso di San Siro mostra che non basta condividere lo stesso quartiere per sentirsi vicini.
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