Maurizio Costanzo spaventatissimo corre in direzione Stazione Centrale. L’immagine simbolo della giornata più straniante degli ultimi decenni a Milano.
Il sequel milanese delle Torri Gemelle
E’ il 18 aprile 2002. Ore 17.45. Guido una vecchia Ford Escort cabriolet in viale Stelvio. Sto rientrando da un appuntamento di lavoro. Ho aperto il tettuccio per godermi la magnifica giornata di sole e di cielo sereno. Un gran botto.
Colpi di clacson. Frenate. La gente a piedi che guarda verso il cielo. Una nuvola di foglietti bianchi scende dal cielo. Ma che sta succedendo?
Svolto a destra in Sammartini, la strada che costeggia la stazione, arrivo in piazza Quattro Novembre. Sto andando contro la corrente di persone che corrono. Appare anche Maurizio Costanzo. Spaventatissimo. Mi sfreccia accanto, in direzione contraria. Lascio l’auto.
Mi incammino verso il Pirellone. Tutti hanno il naso all’in su. Un grosso squarcio agli ultimi piani, esce del fumo. Ma è abbassando gli occhi che sembra consumarsi il dramma. La gente esce di fretta, anche se con compostezza, e incrocia pompieri e personale medico che corrono in direzione contraria. Entrano nel grattacielo.
Vengo gelato dai brividi. Tutti noi guardiamo dalla strada il Pirellone ma negli occhi abbiamo un’altra scena. “C’è il fuoco!”. “E’ esplosa una bomba!”. “Sta per crollare!”. Si rincorrono le versioni più disparate. Finché arriva la conferma più temuta: “Non è una bomba: è stato un aereo!”.
Lo squarcio nero è un aereo che si è schiantato sul Pirellone. Fissando il grattacielo sembra di vederlo oscillare, la gente che scappa, i pompieri che entrano, addirittura in cielo si vede un altro aereo, con gli occhi spalancati dall’angoscia ci sembra di rivivere lo stesso film di sei mesi prima. Ma questa volta dal vivo.
11 settembre 2001. Ognuno di noi sa esattamente dove si trovava e che cosa stava facendo quel giorno. Io ero in via Bergamo, durante la pausa pranzo nell’ufficio della agenzia che avevo fondato con tre amici. Anche allora era una magnifica giornata di sole a Milano. Un collaboratore mi venne incontro dalla sua stanza. “Hai visto che sta succedendo? E’ caduto un grattacielo a New York! Sì, colpito da un aereo!”.
Ho ancora impressa quella sensazione. Stava accadendo qualcosa che suonava estranea, assurda. Era talmente al di là di quello che il senso di realtà della logica potesse contemplare che non provai alcuna emozione. Come se mi stesse raccontando un film. Un altro collaboratore mi dice che il film è un’escalation, che un altro aereo ha colpito l’altra torre.
Quella sensazione strana mi faceva girare la testa, di istinto me ne sono andato dall’ufficio per tornare a casa, dietro l’angolo, in via Cadore. Giusto in tempo per assistere in diretta alla televisione il crollo della seconda torre. Sconvolgente. Ma sembrava ancora tutto così assurdo che, nonostante il dramma razionale che stavo vivendo, a livello di emozioni ero una pietra. Non sentivo nulla. E la stranezza era che non poteva essere per il filtro della televisione: pochi mesi prima, sempre dalla tv, avevo seguito gli incidenti del G8 con il cuore in gola, lacerato dall’emozione.
Forse è questo che ricordo di più dell’11 settembre 2001: lo shock mentale nell’assoluta insensibilità emotiva.
Una dissociazione che riprovai il 18 aprile 2002 sotto il Pirellone. Questa volta era la memoria che mi trasmette le emozioni. Come se fossero state congelate per sei mesi, le emozioni represse dell’11 settembre mi stavano scoppiando in corpo, guardando pompieri e medici che entravano nel grattacielo e che la memoria li dava per spacciati.
Non solo. A tutti i milanesi sembrava di vivere non un film ma una serie apocalittica. Sì perché, l’11 settembre Milano lo aveva già rivissuto: l‘8 ottobre 2001 a Linate, con il più grande disastro aereo della storia della città. 118 vittime. Meno di un mese dopo le Torri Gemelle.
Qualche mese e l’incubo si era di nuovo materializzato. Anche perché il dramma era reale: un uomo disperato, Luigi Fasulo, aveva deciso di farla finita emulando i terroristi di Al Quaeda. Con il suo piccolo Rockwell Commander, partito da Lugano, aveva deviato la rotta per Linate puntando sul Pirellone. Alle 17.45 il piccolo aereo da turismo si è schiantato al ventiseiesimo piano, portandosi via, insieme al pilota, anche Anna Maria Rapetti e Alessandra Santonocito, due dipendenti della Regione Lombardia.
Dopo le Torri Gemelle e la tragedia di Linate, forse quel 18 aprile del 2002 lo sceneggiatore aveva deciso che era venuto il momento di mettere la parola fine a quella catena di eventi così angosciosamente legati uno all’altro.
Il sequel milanese dell’11 settembre dopo il dramma ha infatti un lieto fine: il Pirellone rimane in piedi, i sanitari e i pompieri non vengono sepolti da nessun crollo ma escono sani e salvi dopo aver soccorso i 60 feriti, non c’è nessun attacco terroristico, nessuna guerra da dichiarare. E i milanesi quella stessa sera possono andare a letto scacciando ogni trauma con un profondo sospiro di sollievo.
#milanograffiti
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ANDREA ZOPPOLATO
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