Sono milanese da poco, troppo poco per capire gran parte delle dinamiche della città. Però mi piace indagare e devo dire che i milanesi amano raccontare storie, soprattutto quando i protagonisti di queste storie sono loro e la loro città. I milanesi soffrono di narcisismo metropolitano.
L’altro giorno stavo tornando a Milano in treno, così ho attaccato bottone con il passeggero accanto a me. Un uomo sulla cinquantina milanesissimo. Abbiamo parlato un po’, a un certo punto gli ho chiesto cosa mi sono perso di Milano.
Lui ha risposto che la cosa che gli manca di più è il Burghy di Piazza San Babila.
Certo non parlava dei panini, né del locale. Quello che più gli manca è quella botta di colore che improvvisamente aveva decretato la fine degli anni 70. Il Burghy era disimpegno, disinteresse per la politica, era anche un modo per protrarre l’adolescenza.
Colore è la parola chiave. Milano è una città un po’ grigia che si colora come può, lo fa con i cocktail, con le luci delle discoteche, con la moda e con i mille eventi che organizza. Basta pensare ai mille colori dell’EXPO.
Burghy era una catena italiana, italianissima perché apparteneva ai supermercati GS (che facevano capo alla finanziaria pubblica SME). Strizzava l’occhio all’America ma chi lo frequentava non pensava di imitare nessuno, era qualcosa di originale.
Nel 1995 fu venduto a McDonald’s e l’anno scorso è stato chiuso per sempre.