Trascrizione integrale del video del Direttore Andrea Zoppolato “L’estate di FILOSOFIA POLITICA – Seconda puntata: LA CRISI della POLITICA’”
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Benvenuti all’estate di filosofia politica. Ieri abbiamo ha parlato del “fine della politica”, oggi parliamo della “crisi della politica”. In breve ieri abbiamo visto come la società è divisa in tre dimensioni che sono: la cultura, l’economia e la politica, dove il fine dell’economia è quello di creare valore, quello della cultura di far crescere la persona con un arricchimento interiore e quello della politica, abbiamo visto secondo Aristotele, Machiavelli e anche gli antichi Re della Mesopotamia, è quello dl creare le condizioni ottimali perché le persone possono vivere felici. Oggi parliamo di crisi della politica.
La crisi della politica
# Secondo Husserl la crisi delle scienze è data dalla mancanza di un nesso ontologico
Per a crisi della politica, partirei da Husserl, anche perché dal punto vista filosofico “crisi” nel ‘900 significa Husserl. Husserl nel 1936 ha fatto uscire un libro che fece molto scalpore, anche perché in qualche modo preconizzò quello che accadde poi con la grande tragedia della seconda guerra mondiale: “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale“. Secondo Husserl la grave crisi del ‘900 era per il fatto che tutte le scienze erano ormai racchiuse,si può dire sono ormai racchiuse, nello studio dei fenomeni e hanno perso di vista il cosiddetto mondo delle cause: il “numenon“, secondo gli antichi greci. Questo perché sostanzialmente il limite delle delle scienze è di aver perso il criterio fondamentale, il nesso ontologico, ossia il contatto con quello che lui definiva il “mondo della vita”. Quindi da essere oggettive sono diventate soggettive perché dipendono dal soggetto, da chi fa scienza. Tra l’altro si può dire, ai giorni presenti, è diventata abbastanza palese questa crisi delle scienze anche da noi, visto che si è visto come nel caso del Covid, la scienza si è spaccata, comunque ha perso quel criterio di oggettività che l’aveva resa autorevole in tutto il mondo. Quindi secondo Husserl la crisi delle scienze è una crisi di mancanza di nesso col mondo della vita. Si può parlare anche di una crisi ormai della società.
# La prima crisi è quella economica
Per la crisi della società intendo riprendere i fini: è una crisi di fini. Visto che il fine giustifica i mezzi, se tu hai un fine che è contraddittorio, errato o confuso l’effetto che si ha è che anche i mezzi perdono di significato. Perché c’è una crisi a livello di società, ossia di tutte le componenti, perché è una crisi proprio di fini che si potrebbe dire ontologica, che investe le singole attività dell’umano. Partendo dal primo dei tre ambiti, che è quello dell’oikos che abbiamo visto ieri di Aristotele, la prima crisi è quella economica perché sta succedendo esattamente quello che aveva detto Aristotele sul limite dell’economia. Secondo Aristotele l’uso del denaro può essere fatto in modo naturale e positivo per la crescita del valore oppure innaturale. Naturale quando lo scambio che è la base dell’economia, cioè una persona dà qualcosa in cambio di un altro, è finalizzata alla creazione del valore, cioè io pago un “tot” e ottengo come valore qualcosa che è superiore rispetto a questo “tot”. Secondo Aristotele invece lo scambio innaturale è quello che avviene da soldi per soldi, cioè che poi in ultima analisi il simbolo di tutto è, ad esempio, dare soldi in cambio di ottenere un credito, cioè io pago i miei soldi oggi per avere più soldi in futuro. Quindi perché diceva che era innaturale? Perché sostanzialmente quello che accade secondo Aristotele in uno scambio monetario, non in uno scambio economico, cioè in un’economia dominata dallo scambio monetario si ha una creazione di moneta che non compensa la creazione di valore.
Ma non solo, si ha che prevarica la parte del credito rispetto al debito, cioè il debitore che sostanzialmente dovrebbe pagare gli interessi e poi rimborsare il debito, alla lunga secondo Aristotele quello che avviene in realtà è che il debitore viene privato di molti più poteri, diritti e valori rispetto a quello che dovrebbe essere il debito. Se vado comprare una mela devo semplicemente pagare i soldi quella mela, ma se devo prendere un prestito la banca mi fa il check di tutto e mi controlla anche quello che farò dopo. A livello macro politico lo si vede perché un paese indebitato, come esempio all’Italia, che tra l’altro è uno dei pochi Paesi che ha sempre pagati suoi debiti, in realtà non le viene chiesto solo di pagare i debiti, ma viene costretta a una serie di privazioni e di controlli che vanno oltre il debito, quello che diceva appunto Aristotele: a tendere il debito diventa una schiavitù.
Che cosa si dovrebbe fare? Per questo ad esempio, non dico che che sia una soluzione, ma mi riallaccio a questo punto, non a un pensatore della politica, ma a una tradizione antica. Secondo l’antico ebraismo, secondo la Tōrāh, ogni sette cicli di anni sabbatici, quindi sette per sette, ogni 49 anni si deve avere il Giubileo. Cos’era il Giubileo? Il Giubileo era per evitare il fatto che il debitore si mettesse nelle mani totalmente del creditore perdendo tutte le sue libertà. Cioè ogni cinquant’anni, ogni quarantanove anni, si ha al giubileo, cioè vengono cancellati i debiti e in particolare tutti tornano a essere proprietari della propria terra e della propria libertà. Proprio perché, avevano previsto gli antichi, tra l’altro era una tradizione che addirittura si riallacciava ai vecchi regni mesopotamici, proprio per il fatto che si accorgevano che lo scambio monetario finisce con il debitore che paga molto di più, perché paga con la propria vita, con la propria libertà, con i propri diritti quello che dovrebbe essere semplicemente un rapporto economico. Ed è ovvio che oggi siamo in una economia sbilanciata, perché sbilanciata sulle economia monetaria, perché è diventata incapace di creare valore. Basta vedere, ad esempio, parlando dell’Italia non solo la crisi economica, proprio per il fatto di una crisi produttività e il fatto che se vediamo negli ultimi vent’anni non ci sono state grandi aziende a livello internazionale che sono state create, perché l’azienda è il simbolo della creazione del valore. Mentre invece si è creato molto debito, cioè si sta portando l’economia da un’economia sana di creazione di valore, a un’economia ormai sbilanciata sulla creazione monetaria, del pago soldi oggi per avere più soldi domani e ridudo le libertà del debitore. Questo a cascata, perché son concatenati questi tre ambiti, è anche la crisi politica e culturale.
# Hobsbawm “Il secolo breve” e il fallimento dei programmi di miglioramento dell’essere umano
L’equivalente di Husserl invece per la politica e in generale per la cultura è Hobsbawm. Hobsbawm è un pensatore nato come marxista che è diventato celebre in tutto il mondo per aver scritto “Il secolo breve”. Secondo Hobsbawm, in questo suo grande libro, il ‘900 in realtà è un secolo che è durato dall’inizio la prima guerra mondiale alla caduta del muro di Berlino, per questo è breve, perché durato meno di un secolo. Secondo Hobsbawm, il secolo breve ha testimoniato il fallimento di tutti i programmi di miglioramento dell’essere umano. Cioè, da un lato nel ‘900 è esplosa questa intenzionalità diffusa a livello delle società di creare dei modelli di miglioramento, si può dire secondo la politeia aristotelica la finalità era quella di rendere felici gli essere umani, però con le grandi tragedie ‘900 si dimostra il fallimento di tutte queste idee, secondo Hobsbawm è successo proprio che hanno dimostrato di fallire tutti questi programmi, che secondo lui sono riconducibili ai tre grandi gruppi che sono: il fascismo, il comunismo e il capitalismo. Hanno fallito perché, lo si può vedere perché se riprendiamo anche la storia degli ultimi anni, tra l’altro ha preconizzato anche lui quello che è successo adesso perché, se si vede, dalla caduta del muro di Berlino ad oggi, se si analizza l’aspetto politico, si vede che ha fallito la politica negli ambiti che sono quelli aristotelici di base. Cioè secondo Aristotele la politica deve essere politeia, cioè deve essere una modalità di organizzazione e deve essere un atto di ribellione sotto certi aspetti, cioè la vera politica è un atto di ribellione perché la vera politica è la proposizione di un nuovo modello e deve essere ribellione perché vuol dire che il modello precedente non funzionava. Ma se si guarda riprendendo Hobsbawm quello che è successo dalla caduta del muro di Berlino si vede che non esistono, non sono stati proposti nessun tipo di nuovo modello di organizzazione che non sia un modello a immagine e somiglianza del modello mercantilista. Cioè questo modello che, diciamo è il centro base di tutta la politica degli ultimi trent’anni, è stato il creare tutte quelle condizioni ottimali, non per rendere felici le persone ma per fare e per costruire tutto quel sistema basato proprio su credito/debito, su un’economia tipicamente monetaria. Lo si vede perché gli stati vengono analizzati ormai non tanto sul PIL, ma quanto sul debito, cioè sulla capacità di ripagare questo debito, e ancora oggi si vede che gli aiuti, tra virgolette, che vengono dati all’Italia non sono aiuti per la creazione del valore come potevano essere gli aiuti del piano Marshall: ma sono aiuti finalizzati sostanzialmente a cosa? Ad aumentare ancora di più il debito, che riprendendo la tradizione ebraica e mesopotamica significa aumentare la dipendenza e la privazione dei diritti basilari e della libertà di un Paese.
# La fine della cultura
E tra l‘altro l’ultima opera di Hobsbawm è proprio “La fine della cultura”, perché dice che tutto questo è figlio del fatto che c’è un imbarbarimento culturale perché abbiamo perso l’estetica nella cultura, perché la cultura dovrebbe avere invece come fine proprio quello dell’arricchimento interiore, secondo un criterio estetico, come diceva Husserl, per l’evoluzione della persona. Invece per la rivoluzione tecnologica abbiamo perso l’autonomia e l’identità e invece siamo diventati omologati in un imbarbarimento robotizzante, quindi per questo è finita insieme alla politica, secondo Hobsbawm, anche la cultura.
# I due segnali del fallimento della politica
Quali sono i due segnali del fallimento della politica? In primis, a livello macro, il fatto che non ci sono stati dei modelli, non parlo solo dell’Italia ma a livello internazionale non ci sono stati più dei modelli, hanno fallito i programmi questi così detti modelli di politeia recenti, non sono stati sostituiti con altri più efficienti, ma sono stati sostituiti da assenza di modelli, che poi l’assenza di modelli è come si può dire, l’anarchia. L’anarchia non è libertà totale ma è che lasci prevaricare le forze più distruttive, le cosiddette erbacce. È un principio naturale, se tu hai un orto alla fine se non coltivi, riprendendo anche la la metafora mesopotamica del buon regno che è come quello del giardino, se non coltivi buone piante vincono le piante cattive. In questo caso la potenza dell’economia monetaria rispetto a quella della creazione valore.
Ma secondo punto della crisi della politica, è il fatto che si vede che se la politica come fine è quello de rendere più felici le persone e poi si vedrà anche nei prossimi incontri che cosa vuol dire rendere più felici le persone, in senso aristotelico e machiavellico, o meglio machiavelliano perché anche Machiavelli ha detto che il governante deve utilizzare e strumentalizzare tutti i mezzi per rendere felici i sudditi, l’altro segno è che se vediamo questo non è avvenuto o meglio tutti i governanti parliamo dell’italia, tutti i governanti che ci sono stati, non si può dire certo che abbiano contribuito a un miglioramento della società. Anzi, almeno se vediamo gli ultimi vent’anni non solo nessuno di loro è riuscito a trasmettere il suo potere in un miglioramento della società, miglioramento economico, di benessere, di possibilità, anche di libertà e partecipazione che erano i princìpi della felicità secondo Aristotele, ma anche loro stessi hanno fallito perché non sono riusciti a mettere in atto quello che era il loro programma, il progetto quantico che volevano sviluppare. Se prendiamo gli ultimi governanti dei recenti vent’anni nessuno è mai riuscito a mettere in atto quello per cui era stato votato. Quindi domani affronteremo questo tema scottante, ci chiederemo come mai questi leader politici hanno fallito e soprattutto cerchiamo di verificare anche a livello di psicologia se ci può essere stato un punto in comune fra tutti quanti i loro fallimenti.
ANDREA ZOPPOLATO
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