Lo si ripete da tempo, Milano ha ripreso a correre e sta vivendo un momento di grande dinamismo.
Attenzione però, la città ha iniziato a comunicare un’identità parzialmente nuova rispetto al passato.
Prima della grande crisi il capoluogo lombardo si confrontava prevalentemente con il resto d’Italia, in particolare con la “storica rivale” Roma. Oggi Milano ha un’identità molto più internazionale, non vuole competere con il resto del paese ma si misura con le altre grandi capitali europee. Ne è pienamente consapevole e la comunicazione dei soggetti più rappresentativi della città, pubblici e privati, va in questa direzione.
Si tratta di un fenomeno locale, milanese appunto, ma che occorre inquadrare a livello di mega trend per poterlo comprendere meglio.
Oggi Milano ha un’identità molto più internazionale, non vuole competere con il resto del paese ma si misura con le altre grandi capitali europee
Il maggior mega trend politico, economico e sociale oggi in atto, è la spaccatura sorta tra globalisti e anti globalisti, o sovranisti come amano definirsi. Tra chi guarda ad una società più integrata con il mondo e chi vorrebbe meno interdipendenza. Insomma, tra chi vede nella globalizzazione più opportunità e chi vede invece più minacce. Una spaccatura che va oltre la classica distinzione tra destra e sinistra, tanto che spesso tra le ricette economiche della sinistra tradizionale e quella dei movimenti cosiddetti populisti il confine è molto labile.
È un trend che sta attraversando tutti i paesi occidentali, compreso l’Italia. L’aspetto finora poco approfondito è che, all’interno dei singoli paesi, le grandi città – internazionali e orientate alla globalizzazione – danno risposte spesso in controtendenza rispetti ai paesi di appartenenza, che si traducono in politiche altrettanto diverse.
le grandi città – internazionali e orientate alla globalizzazione – danno risposte spesso in controtendenza rispetto ai paesi di appartenenza
Ad esempio, mentre anche in Italia soffia il vento anti globalizzazione, è nato Select Milano, un think tank che promuove la città come piazza finanziaria di approdo per i moltissimi operatori finanziari che, causa Brexit, dovranno spostare molte loro attività da Londra all’interno del perimetro UE, per continuare a beneficiare dell’accesso al mercato unico.
E ancora, Milano città del turismo? Sembrava un ossimoro fino a pochi anni fa, oggi invece la città continua ad attrarre turisti, a sfruttare l’onda lunga di Expo e progettare iniziative pensate per loro.
Secondo il Global Destination Cities Index, nel 2016 Milano è la 14esima città più visitata al mondo.
Oltre 5 milioni e 600 mila visitatori nel 2016, una crescita del +2,07%. Questo significa che il turismo a Milano non solo non è calato dopo la fine di Expo ma addirittura continua a crescere.
Molto si è detto sui conti dell’esposizione, una cosa però è certa: se nel conto mettiamo l’enorme effetto volano che ha generato, il saldo oggi è ampiamente positivo e sotto gli occhi di tutti.
Anche qui però Milano si distingue. Non si tratta del turismo al quale siamo abituati nelle altre città del Bel Paese. Il turismo che sceglie Milano cerca, oltre all’arte e alla cultura, anche design, moda, tecnologia, architettura, eventi ed esperienze innovative. In altre parole cerca l’innovazione in tutte le sue forme, cerca un luogo di frontiera dal quale è possibile intravedere, prima che altrove, come sarà il domani.
È quello che oggi possiamo definire il fenomeno delle bubble cities, delle città bolla. Metropoli aperte al mondo e desiderose di più – non meno – globalizzazione, che diventano appunto come delle bolle nelle quali il dinamismo economico, la cultura e lo stile di vita, si differenziano sempre più marcatamente dal resto del paese in cui si trovano, per assomigliare sempre di più a quelle delle altre “città bolla” straniere e geograficamente più lontane, ma più simili per cultura globale e dinamismo economico.
Forse tra qualche decennio sarà normale avere tante bubble cities nel mondo: Milano, Londra, Parigi, New York, Hong Kong, come tanti nodi di un network di città avanzate e in sintonia tra loro, parzialmente autonome rispetto ai paesi dei quali fanno parte e che viaggiano invece a velocità diverse.
Forse tra qualche decennio sarà normale avere tante bubble cities nel mondo, parzialmente autonome rispetto ai paesi dei quali fanno parte e che viaggiano invece a velocità diverse.
Le città bolla potrebbero essere la risposta più intelligente per ricomporre la tensione in atto tra globalismo e antiglobalismo. Una valvola di sfogo attraverso la quale gli Stati possono rimanere interconnessi pur all’interno di un quadro internazionale più fluido e per certi versi conflittuale, in grado di impedire pericolosi salti indietro verso un mondo meno globalizzato, con più muri e meno ponti.