La grande FAVOLA: i 60 miliardi che il Nord toglierebbe al Sud

"Il Nord ha sottratto al Sud 60 miliardi di euro". Tesi rilanciata anche dal Ministro Boccia, sempre più sbilanciato verso il Mezzogiorno. Un professore universitario smonta questa tesi: in 10 anni il Nord ha dato al Sud 428 miliardi

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Credits: il qutoidianodelsud.it - Il Ministro del Sud Provenzano e il Ministro agli affari regionali Boccia

Il Professore ordinario di Diritto tributario Università degli studi di Trento Andrea Giovanardi in un articolo per “Il Foglio” smonta la tesi che il ministro Boccia e diversi quotidiani del Mezzogiorno stanno diffondendo secondo cui al sud sarebbero stati sottratti 60 miliardi negli ultimi dieci anni. Il Professore spiega in 6 punti perché questa sia una solo una favola. 

La grande FAVOLA: i 60 miliardi che il Nord toglierebbe al Sud

Pubblichiamo estratti articolo di Andrea Giovanardi per “Il Foglio Quotidiano” – La favola dei 60 miliardi di euro che ogni anno il nord sottrae al sud

# Il presidente dello Svimez e il Ministro per gli affari regionali hanno affermato che negli ultimi 10 anni sono stati sottratti 60 miliardi al Sud

Nell’articolo su “Il Foglio” Giovanardi fa riferimento a “l’intervista di qualche giorno fa resa al Messaggero dal presidente della Svimez Adriano Giannola che ha sostenuto che il Mezzogiorno merita di essere “risarcito” perché, come affermato anche dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie Francesco Boccia nel corso di un’audizione parlamentare, negli ultimi dieci anni gli sono state sottratte risorse per l’enorme cifra di 60 miliardi di euro l’anno circa, secondo il sistema dei conti pubblici territoriali.”

Il professore di diritto tributario si interroga su come può il sud tenere il passo degli altri territori: “se ogni anno la spesa pubblica riferibile a quel territorio è inferiore rispetto a quella del centronord di un importo così elevato? Su quest’ultimo aspetto (…) basterà rilevare che il gettito complessivo dell’imposta sui redditi delle società Ires è pari, sempre nel 2018, a 32,5 miliardi di euro circa.”

# Le tre regioni del nord più sviluppate economicamente, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, sono quelle in cui la spesa statale è più bassa

Nell’articolo si fa riferimento ai dati della spesa statale regionalizzata al netto degli interessi sui titoli di stato, fonte Mef). Si evidenzia come “le tre regioni del nord più sviluppate economicamente – Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – si situano agli ultimi tre posti ovvero sono quelle in cui si spende meno. Se tuttavia si tiene conto della spesa pubblica in generale, sommando cioè quella degli altri enti territoriali, dell’Inps e di altri enti pubblici come Anas, Ferrovie dello stato eccetera (il cosiddetto “settore pubblico allargato”) e se si rapporta la spesa pubblica così calcolata al numero degli abitanti, il risultato è diverso: nelle regioni del sud si spende meno che nelle regioni del centronord, per 60 miliardi circa secondo il presidente della Svimez.”

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Le sei falsità

Secondo Giovanardi ci sono 6 ragioni perché i dati letti in questo modo sono fuorvianti. Vediamo quali.

#1 Il Nord ha trasferito al Sud 428 miliardi in 10 anni

“La prima. Al cittadino non esperto della materia che legga le roboanti affermazioni sul “furto” perpetrato ai danni del sud finirà per sfuggire un dato fondamentale, e cioè a dire che il centro-nord “ladrone” trasferisce ogni anno imponenti risorse al Meridione. Prendiamo a riferimento i conti pubblici territoriali, perché li ha citati presidente Giannola: confrontando le entrate del Mezzogiorno con le spese ivi erogate risulta che sono stati trasferiti al sud negli ultimi 10 anni 428 miliardi di euro (50 miliardi di euro l’anno secondo la stessa Svimez nel “Rapporto 2018. L’economia e la società del Mezzogiorno”, che quindi conferma il dato). A tanto ammontano i deficit delle regioni del sud, che possono essere sostenuti grazie alle risorse prelevate nel resto del paese. La conseguenza è presto detta: secondo Giannola (e Boccia) occorrerebbe trasferire altri 60 miliardi (non in unica soluzione, bontà loro), il che è come dire che le imprese del centronord (e solo queste) dovrebbero vedere triplicata la propria aliquota Ires, attualmente al 24 per cento, per garantire quello che spetterebbe al sud. Una situazione chiaramente insostenibile che porterebbe l’intero paese al default.”

#2 La spesa pubblica non può essere considerata uguale in valore assoluto su tutto il territorio nazionale

“La seconda. Il calcolo muove dal presupposto secondo il quale la spesa pubblica dovrebbe essere uguale in valore assoluto su tutto il territorio nazionale, e ciò malgrado il paese si articoli in aree talmente diverse per caratteristiche ed esigenze da richiedere necessariamente diversi livelli di spesa.

Chi li pretende uguali dice una grande sciocchezza, che non è di certo smentita dall’affermazione di Giannola secondo cui è la legge che prevede che il 34 per cento delle risorse debba andare al Mezzogiorno: l’art. 7-bis del d.l. 29 dicembre 2016, n. 243 limita il criterio, da contemperarsi comunque con altri, della proporzionalità alla popolazione esclusivamente a un certo tipo di spesa, quella che dovrebbe essere finalizzata all’attenuazione del gap infrastrutturale. Investimenti, quindi. Siamo ben lontani (ci mancherebbe altro!) da ipotesi di equiparazione millimetrica di ogni tipo di erogazione su base capitaria.”

#3 E’ sbagliato considerare nel calcolo la spesa previdenziale

“La terza. E’ sbagliato considerare nel calcolo la spesa previdenziale, a cui si deve una significativa parte della differenza, dato che è ovvio che le pensioni vengano erogate laddove sono stati pagati maggiori contributi e, quindi, nelle regioni settentrionali. La spesa uguale pro capite non tiene in conto alcuno questa fondamentale circostanza.”

#4 Le imprese a partecipazione seguono logiche di mercato, investendo nelle zone economicamente più avanzate

La quarta ragione riguardo il fatto che: “prendere a riferimento nel calcolo il settore pubblico allargato è distorsivo, perché anche le imprese a partecipazione pubblica seguono logiche di mercato e quindi vendono servizi dietro pagamento di un corrispettivo che resta a carico di coloro che ne usufruiscono (che, quindi, quella spesa se la pagano), con la conseguenza che è naturale che investano di più nelle zone economicamente più avanzate laddove la domanda è superiore.”

#5 Si prescinde dal diverso livello di prezzi tra il Mezzogiorno e le altre aree del paese: a parità di risorse il potere di acquisto è maggiore al Sud

“La quinta. Si prescinde totalmente dal diverso livello di prezzi tra il Mezzogiorno e le altre aree del paese, differenza che si attesta intorno al 20-30 per cento: è palesemente erroneo quindi confrontare i livelli assoluti della spesa pro capite, atteso che il potere di acquisto è superiore al sud rispetto al centro-nord.”

#6 La medesima quantità di spesa pubblica non garantisce in automatico servizi di analoga quantità e qualità

“La sesta. Non si considera che la medesima quantità di spesa pubblica non garantisce in automatico servizi di analoga quantità e qualità, circostanza questa che risulta ampiamente dimostrata nella situazione italiana, in cui il divario continua ad ampliarsi in un contesto in cui incredibilmente si ritiene che i sistemi economici territoriali crescano in quanto foraggiati dalla spesa pubblica.”

# Una favola demagogica che mette in difficoltà il nord e favorisce l’arretramento del sud

“Siamo di fronte quindi a una favola tanto demagogica quanto pericolosa. Il dibattito sull’attuale assetto dei rapporti finanziari interregionali, che mette in difficoltà soprattutto il nord, sottoposto a una formidabile stretta fiscale, e non favorisce il sud, che non smette di arretrare, dovrebbe essere centrale nel paese: si evitino quindi affermazioni non solo sbagliate, ma anche divisive, bellicose e fatalmente generatrici di sconcerto e rabbia, quei sentimenti su cui si basa ogni fenomeno disgregativo delle comunità nazionali.

Le imprese del centro-nord dovrebbero vedere triplicata la propria aliquota Ires per garantire ciò che spetterebbe al sud. Siamo di fronte a una vicenda tanto demagogica quanto pericolosa, che non solo porterebbe il Paese al default ma che alimenta quei sentimenti che portano alla disgregazione delle comunità nazionali.”

Fonte articolo: Il Foglio Quotidiano

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Fabio Marcomin
Giornalista pubblicista. Laurea in Strategia e Comunicazione d’Impresa a Reggio Emilia. Il mio background: informatica, marketing e comunicazione. Curioso delle nuove tecnologie dalle criptovalute all'AI. Dal 2012 a Milano, per metà milanese da parte di madre, amante della città e appassionato di trasporti e architettura: ho scelto Milano per vivere e lavorare perché la ritengo la mia città ideale.