“Se il mondo conoscesse Milano, Milano sarebbe in cima al mondo”. Questo è lo slogan di un gruppo di manager e professionisti che, il giorno dopo il referendum inglese su Brexit, hanno costituito il comitato Select Milano per lanciare una abile iniziativa di business diplomacy a favore di Milano nei salotti della finanza internazionale. L’obiettivo è quello di battere Parigi e Francoforte nella gara per attrarre le attività finanziarie sui derivati in euro, che sono obbligate a lasciare Londra (un mercato che vale oltre 500 mld).
Questi intraprendenti promotori di Milano (di cui fa parte anche lo scrivente) non sono tutti milanesi. Anzi, vengono in maggioranza da altre regioni italiane, alcuni sono stranieri. Ma come spesso succede, i migliori interpreti della milanesità sono quelli che scelgono Milano per realizzarsi, e grazie a loro la città prospera. Da sempre, le cose belle che accadono a Milano sono il frutto dell’impegno di cittadini e aziende, che aprono nuove piste e inventano nuovi primati internazionali. È stato così per le Settimane della Moda e il Fuorisalone del Mobile, che da fiere di settore sono state trasformate in una esperienza inclusiva, sia per i cittadini che per gli addetti ai lavori.
Forse questi attivi neo-milanesi, che stanno costruendo un ponte tra Londra e Milano, non sanno di essere i degni eredi di una Milano che si è arricchita nei secoli di diverse tradizioni: l’anima rinascimentale del Ducato degli Sforza, la razionalità illuministica dei tempi di Maria Teresa d’Austria e l’innovazione urbanistica e amministrativa di Napoleone. Qualità temperate da una tradizione di solidarietà sociale, frutto del cristianesimo ambrosiano plasmato da grandi arcivescovi, da S. Ambrogio a Carlo Maria Martini. La buona notizia per Milano è che la strategia di Select Milano per il dopo Brexit ha buone possibilità di successo, perché banche e fondi d’investimento anglo-americani non vogliono alimentare l’egemonia economica della “grande Germania” in Europa, trasferendosi a Francoforte (la Banca Centrale Europea basta e avanza), né si sentono di andare in una Parigi tormentata da diverse minacce (Marine Le Pen e il terrorismo islamico).
Ma soprattutto, Milano ha un asso nella manica: la Borsa Italiana e le sue controllate (MTS, Cassa di Compensazione e Garanzia, Monte Titoli) sono già di proprietà del London Stock Exchange (LSE). Quindi, le operazioni finanziarie che da Londra vanno a Milano, rimangono nel bilancio consolidato del Gruppo LSE. La posta in gioco è alta: chi vince questa gara si porta a casa 10.000 professionisti della finanza, fluenti in Inglese e altre lingue, con le loro famiglie e circa 40 miliardi di PIL (il valore di due manovre finanziarie del Governo italiano). E dopo il recente fallimento della fusione tra il LSE e la Deutsche Boerse, le probabilità sono ancora più alte. Infatti, Bruxelles aveva chiesto agli Inglesi di vendere il loro investimento in Piazza affari, per le regole dell’antitrust, e Londra ha preferito conservare le controllate italiane. Una conferma del valore strategico di Milano, che vanta una eccellenza internazionale nella gestione dei titoli di Stato (non solo italiani).
Così, dopo aver aperto le sue porte a Spagnoli, Austriaci e Francesi, la città tanto amata da Stendhal si prepara ad accogliere Inglesi e Americani. Con la differenza che nei secoli scorsi, venivano con le baionette innestate, mentre oggi questi ultimi ci portano competenze internazionali e crescita economica. E se Milano cresce, c’è speranza anche per l’Italia. Viva Milano Capitale europea della finanza!
@UgoPoletti