Picasso diceva “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni” e come farebbe Milano senza le sue opere d’arte? Da Leonardo a Caravaggio e Raffaello, sono milioni i dipinti, le architetture e sculture che si possono ammirare passeggiando fra le vie e i musei milanesi. Per vederle tutte servirebbe una vita intera, ma alcune sono d’obbligo. Ecco una lista delle 10 opere d’arte imperdibili di Milano.
Le 10 OPERE d’arte IMPERDIBILI a MILANO
#1 Il Bacio – Francesco Hayez
Simbolo del Romanticismo e divenuta un’icona sentimentale nella cultura mediatica, è impossibile recarsi a Milano senza passare dalla Pinacoteca di Brera per ammirare Il Bacio di Hayez. Il vero nome del dipinto è “Il bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV” e fu commissionato dal conte Alfonso Maria Visconti desideroso di un dipinto simbolo di patriottismo. Si, non si direbbe, ma dietro ad una scena apparentemente intima tra due innamorati medioevali, in realtà il quadro racchiude un messaggio politico di ribellione verso l’occupazione straniera in Italia.
Francesco Hayez, considerato il più importante esponente del Romanticismo italiano, declinò questa corrente nella sua opera opera rappresentando l’amore nazionalista e l’odio verso lo straniero, che nelle zone dell’attuale Lombardia, era rappresentato dalla dominazione austriaca. Ora, con occhi più esperti, possiamo notare i dettagli che racchiudono questo significato più profondo. Un pugnale nascosto dal mantello, il piede sul primo gradino della scala e alle spalle on ombra sospetta, che per alcuni storici rappresenta una spia austriaca che sorveglia i due amanti. E infine il bacio di un giovane patriota pronto alla partenza, e al probabile addio, prima di andare a combattere.
L’opera ebbe fin da subito moltissimo successo e divenne simbolo del Romanticismo italiano e Hayez ne dipinse altre 3 copie, ma l’originale è conservata nella Pinacoteca di Brera dopo la donazione del conte nel 1886.
#2 L’ultima Cena – Leonardo Da Vinci
Uno dei capolavori indiscussi della storia dell’altre è sicuramente il Cenacolo di Leonardo. Chiunque ormai conosce la storia dell’Ultima Cena più famosa al mondo, ma forse alcuni dettagli della sua possono essere passati inosservati. Leonardo Da Vinci venne scelto da Ludovico il Moro per dipingere la parete del refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie. Leonardo non seguì la tradizionale rappresentazione dell’Ultima Cena, decise di rappresentare il momento nel quale Gesù ha appena annunciato il suo tradimento. Dal dipinto traspare l’interesse per la psicologia dei personaggi e la volontà di andare oltre ad una precisa interpretazione iconografica. Il Maestro si concentrò sul tentativo di rappresentare la sorpresa degli apostoli espressa da posture, gesti e espressioni del viso. Inoltre la cena è rappresentata volutamente in modo anacronistico nel XV secolo, come si può notare dai dettagli della tovaglia.
L’opera realizzata tra il 1495 e il 1498 fu una vera propria impresa per il pittore fiorentino che, viste le dimensioni enormi e il poco tempo a disposizione, decise di utilizzare una tecnica sperimentale che, a sua insaputa, rese l’opera succube del tempo. Leonardo impiegò una tecnica definita “a secco” con pigmenti stesi su uno strato preparatorio di colore bianco per livellare e lisciare la parete. Proprio a causa del procedimento utilizzato, il colore si seccò molto presto e, complice l’umidità del refettorio che ospitava anche la cucina, l’affresco cominciò a deteriorarsi e a richiedere interventi di restauro già pochi anni dopo la sua realizzazione.
Se oggi possiamo ammirare il Cenacolo Vinciano è grazie al restauro del 1977, mentre coloro che intervennero prima di allora non fecero altro che aggravare la situazione. Ad oggi è in atto un progetto di restauro ambientale per l’igienizzazione del microclima dell’Ultima Cena. Ma anche se il dipinto che vediamo oggi è solo un pallido ricordo del capolavoro che ammirarono i contemporanei di Leonardo, il Cenacolo rimane una delle somme opere del Genio e nel 2019 è stato visitato da 445 728 persone, risultando essere il quindicesimo museo più visitato in Italia.
#3 Pietà Rondanini – Michelangelo
Un’opera tormentata, simbolo dell’unità tra madre e figlio: la Pietà Rondanini di Michelangelo è una delle opere più suggestive che si trovano a Milano. L’artista iniziò a scolpire l’opera nel 1552 per il proprio monumento funebre, ma la sua lavorazione venne protratta nel tempo a più riprese fino alla vigilia della sua morte nel 1564. Per Michelangelo fu un viaggio tormentato, la prima versione dell’opera non venne mai realizzata a causa della rottura del marmo che stava lavorando. Il blocco incompiuto venne poi ripreso successivamente, ma cambiando completamente la sua concezione. Ma anche se non venne terminato, il gruppo scultoreo con Gesù e Maria rende perfettamente l’unione massima tra madre e figlio. Il tema poetico lo si può riconoscere dai due corpi che si fondono l’unico con l’altro, il corpo del Messia morto è aderente a quello della madre che, invece di sostenerlo, si china verso di esso così tanto da fondersi in un’unica entità.
Il nome che rende l’opera riconoscibile deriva dal Palazzo Rondanini di Roma, che conservò l’opera nel suo cortile fino a pochi decenni fa, mentre ora si trova nel Casello Sforzesco di Milano. Un’opera che porta le tracce del conflitto serrato ed appassionato di Michelangelo con la materia, sempre scontento del risultato che probabilmente aveva già raggiunto.
#4 La prospettiva di Bramante di San Satiro
Potremmo chiamarlo il maestro primordiale del problem solving: con la sua visione fuori dagli schemi, Bramante regala a Milano una chiesa unica. Infatti, la chiesa medioevale di Santa Maria a San Satiro, tra le sue navate e le ricche decorazioni, nasconde un segreto visibile solo agli occhi attenti.
Al momento della costruzione della chiesa, la diocesi non ebbe i permessi necessari. Lo spazio era ridotto, anzi annullato per la presenza di una strada che impediva lo sviluppo in lunghezza dell’apside. Ed è proprio dall’abilità di superare questo problema pratico che si vede il genio di uno dei più grandi architetti italiani di sempre. Bramante accettò la sfida e riportò in scala le stesse misure che aveva previsto per l’opera originale realizzando un abside che aveva pensato di 9 metri e 70 in soli 97 cm. Un’illusione perfetta, perché, quando si entra nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro, pare che lo spazio dietro all’altare ospiti un grande abside regolare attorniato da colonne e decorazioni. Invece è tutto un inganno, frutto di una mente geniale che da un ostacolo creò un capolavoro a pochi passi dal Duomo.
#5 Il Cristo Morto – Mantegna
Un’altra opera dove la prospettiva gioca un ruolo fondamentale e capolavoro rinascimentale di indiscutibile rilevanza è il Cristo Morto di Mantegna. Ospitato alla Pinacoteca di Brera, il dipinto datato intorno al 1475 venne realizzato dall’artista per la propria devozione e ritrovato solamente al momento della sua morte. L’opera raffigura il corpo inerme di Cristo che giace su una lastra di fredda pietra coperta da un lenzuolo. Accanto al giaciglio vi sono i dolenti che piangono e vegliano il corpo, probabilmente si tratta di Maria, San Giovanni e la Maddalena. Le forme e volumi della pelle, il tessuto aderente al corpo che pare bagnato e la forza espressiva dei volti. Sono la maestria nella resa dei dettagli e l’invenzione prospettica di grande effetto a sottolineare il dramma della scena. Tutto ciò rende quest’opera di un pathos straordinario, che coinvolge chiunque la osservi in una morte descritta senza alcuna idealizzazione.
#6 La Canestra di Frutta – Caravaggio
La Canestra di Caravaggio è un dipinto iconico di uno dei sommi artisti italiani e simbolo della Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Vimini intrecciato, grappoli di uva bianca e nera che sporgono dai lati circondati da frutta di ogni stagione e foglie bucate da insetti con rametti secchi. La Canestra, dipinta con estremo realismo, è considerato dagli storici il primo esempio del genere artistico detto Natura morta. L’opera di Caravaggio contribuì a superare la concezione rinascimentale che riservava alla figura umana la dignità di un soggetto elevato, mentre l’artista celebra l’imperfezione della natura, elevando un elemento che prima era solo di contorno. Un’immagine all’apparenza semplice che però racchiude in sé un’allegoria sulla precarietà dell’esistenza umana ricordando come la vita sia in realtà imperfetta ed effimera.
Caravaggio dipinse la Canestra tra il tra il 1594 e il 1598 all’età di circa 23 anni quando venne commissionato dal cardinale Borromeo. Oggi, dopo la sua donazione, si può ammirare l’opera simbolo del memento mori alla Pinacoteca Ambrosiana per cercare di non dimenticare mai l’inesorabile scorrere del tempo.
#7 Il Quarto Stato – Giuseppe Pellizza da Volpedo
Di origini più recenti, ma sempre dal carattere rivoluzionario, al Museo del Novecento possiamo trovare l’opera intitolata Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Un corteo di lavoratori è in cammino, una folla compatta, che avanza in maniera decisa verso il fronte del quadro. Il nome deriva da un termine utilizzato durante la rivoluzione industriale ottocentesca per indicare lo strato più basso della società, il quarto stato.
In primo piano guidano il corteo un uomo anziano, un giovane e una donna con in braccio il suo bambino. Questi tre personaggi rappresentano le componenti della classe sociale più umile dell’epoca e sono i protagonisti dell’opera che rappresenta le rivendicazioni dei lavoratori di fino Ottocento. Questi uomini escono dall’oscurità dell’ignoranza per conquistare un proprio posto al sole, i propri diritti. L’artista fu a fianco di questi manifestanti e con la loro rappresentazione compì un gesto simbolico di speranza rivoluzionaria. Purtroppo, l’opera venne ignorata e rifiutata dalla critica e Giuseppe Pellizza da Volpedo si suicidò ignaro del successo che il suo capolavoro avrà nel secolo a venire.
#8 Lo Sposalizio della Vergine – Raffaello
Addentrandosi tra le varie sale della Pinacoteca di Brera, è impossibile non soffermarsi ad ammirare una delle prime opere di Raffaello: Lo Sposalizio della Vergine. La scena, tratta dai vangeli ipocrifi, vede protagonista i due sposi, la giovane Maria e San Giuseppe, e il Sommo Sacerdote che sta celebrando la loro unione attorniato da altre figure con vesti cinquecentesche. Ma cosa tiene in mano Giuseppe? Secondo quanto riportato nelle scritture, quando la Vergine divenne grande abbastanza da potersi sposare, venne dato a tutti i suoi pretendenti un ramo secco. Secondo la storia, soltanto il ramo del suo futuro sposo sarebbe fiorito, mentre tutti gli altri no. E se ci si avvicina abbastanza si può notare come sul bastone di Giuseppe siano sbocciati tre fiorellini.
Oltre alla scena in primo piano, anche lo sfondo non è di minore importanza. Ambientato a Gerusalemme, al centro si erge un tempio classico a pianta centrale. Il peristilio è composto da colonne che reggono archi a tutto sesto e l’ingresso frontale dell’edificio si apre sull’infinito. È proprio nelle architetture e nell’amore per i rapporti geometrici ordinati che per Raffaello si manifesta la bellezza ideale che desidera ricordare la struttura universale armonica e la perfezione divina. Lo Sposalizio della Vergine venne dipinto da Raffaello a soli 21 ed è una pala d’altare che originariamente destinata la cappella di San Giuseppe nella chiesa di San Francesco a Città di Castello.
#9 La Cena in Emmaus – Caravaggio
Il carattere espressivo e rivoluzionario di Caravaggio lo si può ritrovare in una sala della Pinacoteca di Brera nel dipinto La Cena di Emmaus del 1504. Il pittore interpreta un episodio del Vangelo dove Cleopla e un altro apostolo incontrano un viandante e lo invitano a cenare con loro presso una locanda. Quando l’uomo spezza il pane i due si accorgono che si tratta di Cristo risorto e la scena ritrae proprio questo momento di serendipity.
Il naturalismo e la plasticità, caratteristiche dominanti delle opere di Caravaggio, si vedono nella riproduzione realistica del cibo poggiato a tavola. E se si osserva attentamente, il cesto che raccoglie la frutta ricorda per la cura esecutiva la celebre Canestra vista precedentemente. Altra conseguenza del realismo di Caravaggio è la scelta di rappresentare personaggi di chiara appartenenza alle classi più umili. Inoltre, a rendere ancor più veritiera la scena sono i giochi di luce e ombra. Le figure vengono evidenziate dall’illuminazione teatrale che sottolinea i volumi dei corpi che escono dal buio della scena.
#10 Il Codice Atlantico – Leonardo Da Vinci
E per concludere questa panoramica sulle opere imperdibili di Milano, è d’obbligo citare il Codice Atlantico: la più grande e importante raccolta di disegni di Leonardo da Vinci al mondo. Conservato nella Biblioteca Ambrosiana dal 1637, si tratta di un ampio volume rilegato costituito da 1.119 fogli risalenti a un periodo che va dal 1478 al 1519. Comprende: schizzi, disegni preparatori per dipinti, ricerca in matematica, ottica e astronomia, ricette e meditazioni filosofiche, ma anche progetti curiosi di macchine da guerra, pompe idrauliche e paracadute. Oltre 45 anni di appunti che ripercorrono i passi delle scoperte rivoluzionarie di Leonardo.
Ma forse non tutti sanno che fra le sue pagine si annida un mistero. Dopo il restauro del Codice Atlantico, si scopre che vi sono 1750 disegni, tutti eseguiti personalmente da Leonardo da Vinci, ma in realtà, i disegni erano 1751. Per questo si iniziò a sospettare che durante le restaurazioni venne rimosso un disegno del formato di 21 x 16 cm. Infatti, attraverso tecniche spettroscopiche, osservando con attenzione, emerse che sotto la superficie del foglio rimosso, vi fossero micro-tracce di un collante di origine vegetale, utilizzato per incollare il disegno stesso. La superficie della colla e la sua distribuzione sul foglio fecero quindi pensare che in quel punto vi fosse un altro disegno. Nel 2011 il foglio originale sarebbe stato ritrovato e da questo episodio probabilmente nasce “il mistero 13-51-71”. Leonardo ci ha lasciato un segnale attraverso i numeri?
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SARA FERRI
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