Trascrizione integrale del video del Direttore Andrea Zoppolato “L’estate di FILOSOFIA POLITICA – Quarta puntata: L’intenzionalità”
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Benvenuti all’estate di filosofia politica. Oggi tratteremo di un tema non solo scottante, ma anche complesso: l’intenzionalità. Questi incontri di filosofia politica sono fatti perché sono un’introduzione alla scuola di formazione politica che come Vivaio faremo a fine settembre, in cui approfondiremo con più profondità alcuni di questi concetti.
Ci occupiamo in questi video di filosofia perché ci concentriamo sul fine della politica e sui componenti o sulle cause per cui questo fine non sempre viene raggiunto. Anzi, recentemente viene raggiunto molto di rado. Brevemente, negli scorsi video abbiamo visto: nel primo il fine della politica, che in senso classico è quello di organizzare la società per rendere felici le persone, nel secondo abbiamo visto la crisi della politica che è dato dal fatto che in particolare nel ‘900 sono stati proposti dei modelli che hanno fallito nel rendere felici le persone, nel terzo abbiamo visto come si possono prendere due modi completamente diversi di vedere l’essere umano, uno pragmatico contemporaneo basato sul l‘io razionale e l’altro classico basato sul concetto di essere umano a 360 gradi, in cui è presente un’intenzionalità di natura o “anima”, e che come fine esistenziale non ha quello di raggiungere gli obiettivi ma di conoscere se stesso, cioè far luce su se stesso.
Noi prendiamo quest’altra visione che è quella come detto più filosofica e probabilmente anche un po’ più trascurata negli ultimi tempi, ma che è la base, è così importante sia perché se si parla di felicità dell’essere umano perseguita dalla politica, bisogna interrogarsi che cosa rende felice questo essere umano, sia perché il governante è esso stesso un essere umano e infine tutta l’organizzazione della politeia, per prendere il termine aristotelico, si basa e si deve fondare su una visione dell’essere umano per realizzarla in modo ottimale. Quindi rispetto al concetto di volontà dell’essere umano contemporaneo, analizzando l’essere umano in senso classico bisogna sostituire la volontà con l’intenzionalità.
L’INTENZIONALITA’
# L’intenzionalità di natura secondo Brentano
L’intenzionalità è stata trattata in termini moderni da Brentano, filosofo austriaco che ha vissuto anche in Italia. È stata poi rielaborata da Husserl, in particolare mettendo la connessione dell’intenzionalità con l’intenzionalità in natura o “mondo della vita”, ed entrambi hanno ripreso il concetto di intenzionalità che ha origine nella scolastica, in particolare in San Tommaso e Duns Scoto, e che sostanzialmente con il concetto di “Res clamat ad dominum” partiva dal presupposto che ogni essere vivente non può che basare ogni tipo di azione psichica sul rapporto tra la “res”, la cosa, e il soggetto. Non può esistere attività psichica, disse Brentano, che non abbia un oggetto e questa relazione soggetto-oggetto dà vita all’intenzionalità.
Perché è diversa l’intenzionalità della volontà? Facciamo un esempio molto banale: se noi vediamo una persona che cammina, l’intenzionalità è capire che se il movente principale di questa persona è prendere il latte, porterà questa persona in un luogo che è quello dove prende il latte, luogo che sarà differente se l’intenzionalità è invece quella di incontrare un amico. Ma qua, direte, l’intenzionalità è uguale a volontà. Il problema vero è che nella vita tante persone in ogni momento pensano di voler prendere il latte ma poi quando arrivano a casa il latte non l’han preso. Il perché lo vediamo ora.
# Intenzionalità di natura e complessi: le due macro componenti dell’inconscio
Cogliere l’intenzionalità significa intercettare in ogni momento, in ogni elemento vivente, quindi dalla singola cellula a un essere umano, un’intenzionalità, ossia un movente principale, dominante che lo porta, lo spinge verso un oggetto. Questo oggetto può essere concreto o psichico.
Per capire quale può essere intenzionalità, il movente principale, bisogna capire quali sono le dinamiche che avvengono nella mente umana. Nella sfera cosciente come abbiamo visto c’è la volontà, l’“io voglio il latte” dell’esempio, però poi ci sono, in questo sono tutti d’accordo, lo riconoscono anche quelli della cosiddetta della visione dell’essere umano contemporaneo, ci sono due componenti cosiddette inconsce che, essendo inconsce, non sono sotto controllo dell’Io razionale. In questo inconscio però come dicevano i classici, non ci sono solo “i mostri alla Freud”, cioè quello che ci porta fuori strada, ma c’è anche la nostra più grande ricchezza. Il motivo per cui appunto privilegiamo la visione classica è che tutti i pensatori classici hanno detto che la più grande ricchezza è dentro l’inconscio: chi la chiama anima, chi intenzionalità di natura, chi essenza ect…, però tutti riconoscono che c’è questa intelligenza, che è una e fa parte dell’individuazione, ma è anche parte del molteplice, ci fa anche essere in armonia col resto dell’essere e ci fa essere viventi. Essendo la nostra più grande ricchezza ma essendo nella sfera incosciente, il vero obiettivo esistenziale è quello di fare luce nel nostro inconscio in ogni momento della nostra vita per realizzare questa intenzionalità, che poi è la nostra identità come diceva Jung. La nostra identità profonda che in azione storica consente di ottenere per noi in ogni momento una nostra realizzazione esistenziale. Quindi ci sono questa componente, che è l’intenzionalità, e quella dei “cavalli neri” riprendendo la biga platonica e cioè ciò che ci porta fuori strada che possiamo chiamare “complessi”. Da un lato l’intenzionalità di natura e dall’altro i complessi, queste sono le due macro componenti del nostro inconscio.
# Perchè l’intenzionalità è superiore alla volontà
Perché riteniamo che l’intenzionalità di natura sia superiore e più efficace per la nostra felicità rispetto all’io cosciente? Non solo perché l’han detto tutti i grandi saggi e non solo per l’evidenza del fatto che noi siamo siamo immersi in questa intelligenza di natura, cioè ogni cellula, ciò che accomuna tutti viventi, tutti sono accomunati dal fatto che hanno le cellule. Le cellule hanno questa caratteristica di essere non solo auto sufficienti, nel senso che hanno una loro identità che le porta ad agire in modo metabolico con l’ambiente, ma anche a ricavare dall’ambiente le risorse e l’energia per crescere e per riprodursi, altra caratteristica del vivente. Non solo noi siamo viventi, tra l’altro noi abbiamo miliardi cellule e siamo tutti d’accordo che lavorano in modo autonomo dal nostro “Io cosciente”, ma non solo: se il nostro “Io cosciente” dovesse governarle moriremmo in pochi secondi. Ma non solo questo, lo vediamo anche dai frutti: perché dico che è “superiore” e che quindi dobbiamo avere un atteggiamento di umiltà che ci fa dire l’obiettivo è conoscere e applicare questa intelligenza di natura? Semplicemente dal fatto che lo vediamo dei frutti, l’albero si vede dai frutti. La razionalità umana come frutto ha sempre opere riproducibili, se ci pensiamo tutto ciò che è creato dalla mente umana può essere riprodotta e soprattutto non è vivente. Mentre tutto ciò che è vivente crea qualcosa che non viene riprodotto dall’essere umano. Cioè, l’essere umano nonostante che abbia la possibilità di imitare qualunque cosa e abbia ogni tecnologia, non è stato mai capace, e probabilmente non lo sarà mai, di creare niente di vivente. Vivente significa con una sua identità che agisce in modo autonomo e metabolico con l’ambiente circostante, capace di crescita e di riproduzione. La nostra razionalità non ne è capace.
Quindi è come se ci fosse una logica che non appartiene alla nostra razionalità, è come una lingua che non conosciamo. Quindi capire questo fatto ci fa dire: non mettiamo al primo posto la volontà ma mettiamo, come dicevano i classici, al primo posto quello di utilizzare la realtà come uno specchio per aiutarci a far luce sulla nostra interiorità. Che tra altro è un obiettivo molto più sano e armonico, lo definirei in termini classici, rispetto a raggiungere un obiettivo della volontà. Perché l’obiettivo della volontà presumibilmente sarà simile a quello di tanti altri: che cosa succede se io ho lo stesso obiettivo di un altro, cioè io voglio occupare l’unico posto a cui tendono anche gli altri? Significa che strumentalizzo tutto per ottenere quello, che se poi non lo ottengo sono frustrato oppure aggredisco quello che non mi consente di ottenerlo. Ma se l’obiettivo è quello di usare tutta la realtà per far luce su me stesso, in questo caso ogni me stesso è diverso dall’altro e ogni realtà può essere utile a questo. Quindi non c’è nessun atteggiamento aggressivo e tutti quanti in ogni momento possiamo ottenere questa realizzazione senza aggredire nessun altro, ma semplicemente usando la realtà come specchio. Questo lo dico perché, per la visione classica, questa è una intenzionalità che noi abbiamo, noi siamo immersi in questa intelligenza che ci porta sempre dal punto di vista ontologico verso la nostra realizzazione.
# Cosa sono i complessi e perché ci portano fuori strada
Dall’altro lato c’è invece la sfera complessuale: cosa sono questi complessi e perché ci portano fuori strada? Faccio un esempio che mi facevano all’Università di San Pietroburgo per capire come nascono i complessi e perché agiscono contro il nostro interesse. I complessi si formano tendenzialmente nella primissima infanzia o meglio sono i complessi che poi finiscono nell’inconscio. Si formano in questo modo: ogni essere vivente è mosso da due istinti contemporanei, l’istinto alla sopravvivenza e l’istinto alla crescita. Prendiamo un bambino: in un bambino questi due istinti sono sempre presenti ed evidenti, l’istinto alla sopravvivenza è quello che lo fa piangere per chiedere il latte alla mamma, in generale per ottenere l’attenzione dal genitore che in quel momento è quello che gli fornisce i mezzi per sopravvivere, però al tempo stesso ha l’istinto alla crescita che è quello dello scoprire, ampliare il suo territorio di azione, conoscere il resto del mondo, acquisire una forma di autonomia prima sul suo corpo e poi sull’ambiente circostante. Questi sono due istinti che teoricamente potrebbero andare insieme.
Come si forma il complesso? Si forma quando viene ripetutamente frustrato uno di questi istinti portanti. Di norma l’istinto ad essere frustrato è quello della crescita. Esempio banale: il bambino che seguendo l’istinto della crescita in quel momento vuole aumentare il suo spazio vitale, gli sfugge la palla e la vuole inseguire, sente però il genitore in quel momento che giustamente dice, siccome la palla sta finendo magari in strada, gli dice “Fermo perché è pericoloso”. A quel punto il il bambino, quindi l’istinto di raggiungere la palla va in contrasto con quello del soddisfare l’istinto di sopravvivenza che è incarnato in realtà dall’affetto del genitore, cioè dal seguire quello che gli dice il genitore, che gli dice di frustrare questo istinto in nome di un pericolo. A questo punto presumibilmente il bambino non inseguirà più la palla, una cosa che tra l’altro può avere in quel momento una motivazione anche giusta. Però estremizzando, se succede più volte che, ripeto non è un discorso morale, ma che il genitore in nome di un pericolo o anche del fatto che secondo il genitore in quel momento non è ancora pronto il figlio a maturare il suo istinto alla crescita, ogni volta che il bambino frustra il suo istinto alla crescita, in quel caso in nome di un pericolo arresterà l’istinto alla crescita, aumenterà questa carica energetica irrisolta. A quel punto cosa succederà? Diventando adulto ogni volta che avrà questo istinto alla crescita che lo spingerà a un aumento, ogni volta che avrà una grande opportunità, spunterà il complesso che gli assocerà all’opportunità una paura.
# Le due caratteristiche del complesso
Le due caratteristiche tipiche del complesso sono: la prima è che agisce per autosabotaggio cioè ti frustra un risultato che potresti ottenere, la seconda è che ha un meccanismo di difesa, per cui la grande paura dell’esempio che in realtà nasce dal complesso l’io la associa alla opportunità. Questo perchè io non capisco che questa paura mi nasce da un complesso e dal fatto che ancora seguo un indirizzo eterodiretto che tra l’altro aveva un senso quando aveva tre anni, ma non ha più senso quando ne ho venti. Ma per la mia razionalità non è colpa di quel complesso, ma dò la colpa all’opportunità e quindi l’opportunità per me diventa pericolosa, razionalizzo e dico “non la colgo perché c’è questo rischio“. Questo è un esempio che poi significa ottenere l’attenzione in nome della paura e quindi mi faccio venire una paura, ci sono tante altre modalità per ottenere sempre l’affetto di un ente esterno: si forma questa eterodirezione che viene sempre determinata da una forza esterna, che invece di portarci sul nostro interesse di rinforzo della nostra identità seguendo quindi l’intenzionalità in natura, i complessi ci portano fuori strada e alla lunga determinano un autosabotaggio.
Perché lo fanno? Perché mentre tutte le informazioni, gli ingredienti che invece sono stati di rinforzo all’identità quelli li abbiamo metabolizzate e quindi sono diventati parte della nostra natura, i complessi invece rimangono a sé stanti, quindi sono “irrisolti”, e continuano ad indirizzarci fuori dalla nostra identità. Perché è così importante per la nostra analisi politica? Perché vedremo domani come l’adulto di riferimento potrebbe essere sublimato in dinamiche complessuali dal cosiddetto “consenso” per il politico. Quindi domani vedremo come secondo una visione naturale, quali potrebbero essere, se ce ne sono, le cause di fallimento dei politici. Per capire proprio come base non solo per costruire una politeia che possa essere più strumentale rispetto alla felicità delle persone contemporanee, ma anche per fare luce su quelli che sono gli errori tipici che portano fuori strada i governanti che magari in origine sono stati mossi anche da fini positivi. Ci vediamo domani.
ANDREA ZOPPOLATO
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