La storia del Duca Federico di Urbino ed il suo ritratto insieme alla moglie, ad opera di Piero della Francesca, tramandano uno straordinario intreccio ed un attualissimo messaggio legato al Rinascimento urbinese, passato alla storia come esempio di particolarità, eccellenza suprema ed anche un tocco di mistero. Come mai questi tre elementi così efficaci dal punto di vista dello storytelling moderno? Beh, Federico Duca di Urbino, condottiero italiano e capitano di ventura, divenne un famosissimo signore rinascimentale grazie all’aiuto della moglie, appartenente al casato degli Sforza e quindi collegata a Milano attraverso Pesaro: si trattò di una diarchia che favorì lo sviluppo e l’arrivo dell’eccellenza nella città. In particolare la moglie Battista (il nome non inganni, è di una donna) Sforza, figlia del capostipite del ramo pesarese della dinastia, coronò un matrimonio felice ed era inoltre dotata di spiccate doti culturali e di governo, emerse sin da subito, tanto che ricoprì funzioni di vicario durante le numerose e lunghe assenze del marito. A conferma della particolarità di questa giovanissima contessa, qui un altro particolare: essendo francescana, volle essere sepolta nella fossa comune delle monache di un convento, vestita di un semplice saio. Riguardo il capitolo “mistero” vi è un’opera di Piero della Francesca (La Flagellazione, 1480) che contiene più aspetti misteriosi ancora non svelati.
Le grandi capacità di condottiero di Federico unitamente alla propria forte attitudine alle arti e all’innovazione e grazie all’apporto significativo della moglie Sforza, fecero di Urbino un centro e un luogo di passaggio di artisti variegati, tanto da far affermare allo storico francese André Chastel: “il Rinascimento urbinate fu una delle tre componenti fondamentali del Rinascimento delle origini, assieme a quello fiorentino e a quello padovano, e, dei tre, era quello più strettamente connesso alle arti“.
Tutto questo per dire che cosa? Innanzitutto che Milano, in quest’ottica, viene inserita in un vastissimo movimento che ebbe tantissimi punti di riferimento e che il gioiello urbinate, misconosciuto alla maggioranza, aveva al suo centro una visione aperta e connessa (la frequentazione di pittori fiamminghi, ad esempio, era stata una mossa assolutamente contro-corrente).
Visionaria, pulsante e creativa…
Milano: visionaria, pulsante e creativa non fa rima con ‘da sola’. Ricordiamoci gli insegnamenti della storia: il Rinascimento Italiano ha avuto molte sedi che, sia autonomamente sia collegialmente, hanno prodotto un miracolo territoriale tanto straordinario che, recentemente, è stato definito da Eric Weiner, autore di “The Geography of Genius”, come maggiormente innovativo della celeberrima esperienza targata Silicon Valley. E una della caratteristiche vincenti di questo ‘miracolo’ è stata proprio la disseminazione delle varie eccellenze su un vasto territorio. In seconda battuta, le nostre città hanno una necessità impellente di fare rete: mentre la competizione mondiale schiera megalopoli da 30 milioni di abitanti, le nostre, spesso votate sì all’eccellenza ma in formato mini, dovrebbero puntare risolute sull’aggregazione…
Voglio menzionare alcuni recenti segnali che ci hanno lasciato qualche punto interrogativo, ma che sono sicuro che non avranno seguito; eccoli. La mostra terminata il 2 luglio “Manet e la Parigi moderna” ha avuto sul web e sui social network parecchie critiche; ma qual è stata la genesi di questa esposizione? La mostra, originariamente prodotta da Skira con il Musée d’Orsay, è stata “soffiata” (perdonate il termine tagliato “a fette grosse”) a Torino lo scorso ottobre per mancati accordi tra i soggetti coinvolti. Sempre con Torino – curioso il fatto che il progetto MITO (dov’è finito?) avrebbe dovuto portare al primo grande accordo di connessione tra metropoli italiane, spingendosi molto più in là di una kermesse musicale settembrina – è nata una disputa perlomeno fuori luogo sul raddoppio del Salone del Libro con il Tempo di libri meneghino. Da Parma e dalla sua Fiera invece arrivano punti interrogativi per il mancato ponte dalla città emiliana verso la trascorsa edizione di “Milano Food City”, un connubio che tanto aveva dato in occasione di Expo 2015; e per rimanere in Emilia Romagna: perché non si sente (pubblicamente – magari ci sono in atto accordi di cui non ci è dato di sapere) alcuna nota di connessione tra il capoluogo lombardo e Fico (Fabbrica Italiana Contadina), il più grande parco agroalimentare del mondo che aprirà a Bologna ad ottobre 2017, un Parco che, per affermazione di tutti, ha preso spunto dall’esperienza milanese di Expo 2015?
Capacità di fare rete con altre città: un must per una visione moderna di metropoli
Negli items di riferimento per la compilazione della classifica delle smart city sottolineerei la “capacità di fare rete con le altre città” e concludo: secondo il Censis, il capoluogo meneghino è fra le prime fiber-city al mondo ed i milanesi si confermano fra i più grandi utilizzatori della Rete: il 72,8% è online tutti i giorni, il doppio della media nazionale… Capite cosa intendo?