Milano ribelle: la tragica sorte di TRE DONNE sottomesse ai voleri dell’autorità

L'angelo di Piazza Vetra. la fanciulla sconcia e la tragica "madre" di Palazzo Marino

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Elvira Rosa Ottorina Andressi rosetta

Milano è una donna altera, vestita con un tailleur elegante, che si affretta a far ticchettare i suoi tacchi verso il luogo di lavoro senza mai perdere tempo. Milano ha saputo vestire i panni di donne incredibili: forti, risolute, innamorate e non.
Se stiamo ad ascoltare possiamo ancora udire le voci di queste donne mentre ci raccontano le loro storie.


Milano ribelle: la tragica sorte di TRE DONNE sottomesse ai voleri dell’autorità


#1 Rosetta, l’angelo di Piazza Vetra

Elvira Rosa Ottorina Andressi rosetta

Se vogliamo trattare storie di passione non possiamo che iniziare parlando della storia di Rosetta.

Hanno ammazzato un angelo:
di nome la Rosetta.
Era di piazza Vetra,
battea la Colonnetta
.

Questi sono alcuni versi di una celebre canzone dialettale milanese eseguita negli anni da diversi artisti come Nanni Svampa o Milly.

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All’inizio del XX secolo la zona di piazza Vetra era famosa per essere malfamata e degradata, sede della malavita e della prostituzione. Proprio in piazza Vetra, ‘esercitava’ Rosetta, al secolo Elvira Rosa Ottorina Andressi, giovane ragazza di umili origini che aveva provato la strada artistica finendo poi per fare ‘la vita’. 

In una notte di agosto del 1914 Rosetta venne uccisa. Fu incolpato vox populi il questurino Musti, calabrese che, innamorato della Rosetta e respinto per l’ennesima volta, colpì la Rosetta alla testa con il calcio del fucile lasciandola agonizzante.

La povera ragazza venne portata all’ospedale Niguarda e confidò ad alcune prostitute sue amiche, accorse al suo capezzale, di essere stata colpita dal Musti.
Egli negò tutto e sostenne la tesi che avesse invece tentato il suicidio.
Rosetta morì e l’intera malavita milanese insorse, presentandosi ai funerali alla Vetra in nero, mentre le prostitute amiche di Rosetta sfilarono dietro al feretro vestite di bianco. Il questurino ricevette molte minacce di morte e accuse di essere un camorrista. La storia di Rosetta entrò così nella leggenda milanese con una canzone, cantata in varie versioni per decenni nelle osterie milanesi.


#2 La fanciulla
sconcia 

tosa che si rasa

In una delle sale del Castello Sforzesco si può trovare un bassorilievo che ritrae una fanciulla che si sta rasando il pube. Originariamente ornava Porta Tosa.
Questa porta, situata dove oggi c’è piazza V Giornate, secondo le cronache prendeva il nome da un’antica famiglia, ma la voce popolare iniziò a identificare nel nome un riferimento al bassorilievo (tosa in milanese significa ragazza) oppure a storpiare il termine tonsa (rasata).

In molti cercarono di capire chi fosse questa donzella scolpita. L’atto di radersi il pube nel Medioevo era obbligatorio per le prostitute e per le donne adultere, per questo è molto probabile che la donna fosse Beatrice di Bergogna, moglie di Federico Barbarossa, che rase al suolo Milano nel 1162.

Su questa odiata sovrana si diffuse una curiosa leggenda: pare che alcuni milanesi durante l’assedio del Barbarossa fossero riusciti a rapire la moglie di quest’ultimo e a obbligarla a girare per la città seduta al contrario su un asino.
Quando il Barbarossa conquistò la città si vendicò: fece fare un giro alla moglie su un asino bardato a festa, mentre i prigionieri milanesi la dovevano seguire cercando di afferrare con i denti un fico posizionato nel deretano dell’animale…con gli inevitabili effetti che possiamo immaginare.
La fanciulla sconcia rimase li fino a quando Carlo Borromeo ne ordinò la rimozione.


#3 Ara Cornaro, la tragica “madre” di Palazzo Marino 

palazzo marino

Il palazzo che ospita la sede del comune di Milano ha una storia torbida. Nella metà del 1500 il conte Tommaso Marino incontrò Ara Cornaro per strada. Per lui fu un colpo di fulmine quindi decise di seguire la bella fanciulla.

Marino scoprì che Ara era la discendente della regina di Cipro, nonché la figlia del console di Venezia. Quest’ultimo era molto ricco e potente e, quando Tommaso venne a chiedere la mano della figlia, rifiutò tale proposta con sdegno.
Ora, bisogna premettere che il conte Marino non era il tipo di uomo che potesse accettare sportivamente una sconfitta. Decise quindi, senza mezzi termini, di inviare un paio di suoi scagnozzi per rapire la bella Ara. Voleva sposarla a tutti i costi mentre il padre non ne voleva sapere.

Le trattative si prolungarono e intervenne persino il governatore di Milano grazie al quale si giunse ad un accordo: il padre di Ara avrebbe acconsentito se il conte fosse stato in grado di  costruire per la figlia un palazzo degno del suo lignaggio.
Il Marino iniziò subito a far costruire la dimora e i due si sposarono. I lavori purtroppo prosciugarono le finanze del conte che fu costretto a cederlo al governo spagnolo.
La coppia si trasferì in una casa nel Naviglio di Gaggiano.
L’accaduto sfortunatamente rese il conte irascibile e sempre più aggressivo. L’epilogo si ebbe quando il conte in un impeto di gelosia uccise la moglie impiccandola al baldacchino del letto. I due avevano avuto una figlia, Virginia, che ebbe a sua volta una figlia, Marianna di Leyva, conosciuta ai più però come la monaca di Monza.

GIULIA PICCININI

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Giulia Piccinini
Ho 38 anni, due figli, sono nata e cresciuta a Milano. Laureata in filosofia, insegnante. Da sempre curiosa di Milano, delle sue storie e delle sue curiosità. Amo girare la mia città continuando a scoprire le sue meraviglie.