Così come non sarebbe giusto imporre all’Italia ciò che vuole Milano, così non è giusto il contrario. L‘unica strada per rispettare le esigenze di una comunità è l’autonomia, in coerenza con l’articolo V della Costituzione italiana: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i princıpi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Per ottenere più autonomia per la città sembra oggi difficile per Milano passare per il governo: i contrasti sono evidenti con la giunta di Milano. Allo stesso modo sembra difficile poter ottenere autonomia dalla regione che difficilmente si priverebbe della sua area più ricca. Sembra che le porte siano tutte chiuse, invece si potrebbe tentare con un percorso nuovo, rivoluzionario. Per farlo ci può venire in soccorso un calciatore belga.
UNA LEGGE BOSMAN PER MILANO CITTÀ STATO?
Pochi lo ricordano come calciatore, molti lo ricordano come nome di legge. Una legge che ha sconquassato il mondo del pallone. Lui è Jean Marc Bosman.
Tutto nasce negli anni novanta, in Belgio. Bosman gioca nel Liegi. O meglio, non gioca nel Liegi. Già, perché da quattro anni non entra più in campo, il contratto con la sua squadra è scaduto nel 1990, mai più rinnovato e l’unica squadra che pare interessato a prenderlo è il Dunquerque.
Ma c’è un problema: il Dunquerque è francese e Bosman è belga. Quei pochi chilometri tra Liegi e Dunquerque a quei tempi costituivano un abisso, perché le leghe sportive separavano tra calciatori nazionali e stranieri, intendendo per stranieri anche i comunitari. Massimo tre calciatori stranieri, così recitavano i regolamenti, e per Bosman, più un ripiego che un calciatore, era un’utopia trovare posto tra i tre prescelti. In campo Bosman non era un granché, ma fuori era uno che non mollava. E visto che nel suo Paese si ritrovò tutti contro, la voglia di continuare a giocare lo spinse fino alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Bosman rivendicò il diritto di poter giocare ovunque in Europa, appellandosi all’articolo 39 dei trattati di Roma, che consentivano la libera circolazione delle persone.
La Corte di Giustizia gli diede ragione togliendo ogni tipo di barriera al trasferimento di giocatori comunitari all’interno dell’Unione Europea, impedendo alle leghe nazionali di porre dei tetti.
Fu una rivoluzione che ha portato molta fortuna a tanti calciatori- e ai loro procuratori-, ma non a Bosman. Alla fine infatti tutto questo casino non gli è servito a un granché: il Dunquerque gli ha girato la schiena e con lei tutte le altre squadre, forse perché nere di rabbia per la sua azione che toglieva loro molto potere o forse perché era davvero una schiappa. Fatto sta che Bosman non ha più lavorato nel mondo del calcio anche se è entrato nella storia dalla porta principale: al suo nome viene abbinata la legge che ha cambiato il volto del calcio europeo.
Bosman rivendicò il diritto di poter giocare ovunque in Europa, appellandosi all’articolo 39 dei trattati di Roma, che consentivano la libera circolazione delle persone.
La Corte di Giustizia gli diede ragione togliendo ogni tipo di barriera al trasferimento di giocatori comunitari all’interno dell’Unione Europea, impedendo alle leghe nazionali di porre dei tetti.
La storia di Bosman potrebbe ispirare la strada più ardita ma forse più affascinante per Milano città stato. Si è detto come la Costituzione italiana consenta, anzi promuova, le autonomie locali. L’articolo 132 dà la possibilità a Milano di diventare regione e l’articolo 116 assegna a ogni regione la possibilità di accedere a forme di autonomia avanzata. La realtà però è che l’articolo 116 non è mai stato applicato e che il nostro non è Paese per le riforme radicali. Già è difficile chiedere un’autorizzazione per una strada, figurarsi costituire una nuova regione che coincida con il territorio di una città.
Tutto il discorso della Costituzione, delle leggi regionali, del referendum, allo stato pratico temo si riducano a intellettualismi destinati a impaludarsi nella realtà politica italiana.
Eppure proprio perché il sistema di fatto non rende possibile per Milano rivendicare diritti di libertà e di autonomia che sono garantiti dalla Costituzione, proprio per questo Milano dovrebbe avere il coraggio di osare di più, traendo ispirazione dalla storia di un mediocre giocatore belga della metà degli anni novanta.
Cosa potrebbe fare allora Milano? Se la comunità desiderasse ottenere l’autonomia, si potrebbe puntare direttamente all’Europa. I riferimenti normativi sono il trattato di Lisbona e la carta di Nizza. Tra i principi fondamentali ci sono quelli della “buona amministrazione” e del “diritto dei cittadini di essere rappresentati”. Oltre a questi c’è il principio generale e costitutivo dell’Unione Europea, quella della libertà di circolazione per beni e persone. Da un punto di vista giuridico Milano è un bene. E come bene dovrebbe avere il diritto di poter circolare liberamente all’interno dei sistemi legislativi dell’Unione Europea per poter godere del diritto fondamentale alla “buona amministrazione”.
Da un punto di vista giuridico Milano è un bene. E come bene dovrebbe avere il diritto di poter circolare liberamente all’interno dei sistemi legislativi dell’Unione Europea per poter godere del diritto fondamentale alla “buona amministrazione”
Ispirandosi alla “legge Bosman”, Milano potrebbe rivendicare di fronte alla Corte di Giustizia europea il diritto di godere nel suo territorio unicamente delle leggi dell’Unione Europea e, per il resto, di potersi dotare in totale autonomia delle leggi che reputi ottimali per la gestione della comunità. Sembra un’ipotesi da fantascienza ma in realtà ci sono alcuni elementi a favore.
Provare a diventare città stato utilizzando le leve del diritto e della burocrazia italiana comporta di avere al di fuori della città solo nemici e ostacoli. Ma se si agisce a livello europeo le cose cambiano perché si potrebbe intercettare delle istanze che possano supportare il processo di autonomia di Milano. Già il Consiglio d’Europa si è espresso a favore della maggiore autonomia delle città perché strumento di democrazia e di partecipazione attiva dei cittadini.
Ispirandosi alla “legge Bosman”, Milano potrebbe rivendicare di fronte alla Corte di Giustizia europea il diritto di godere nel suo territorio unicamente delle leggi dell’Unione Europea e, per il resto, di potersi dotare in totale autonomia delle leggi che reputi ottimali per la gestione della comunità.
C’è un altro grande alleato potenziale per l’autonomia di Milano dallo stato centrale: le grandi città d’Europa.
Molti lamentano che l’Europa non abbia un’identità. E questo è un dato di fatto. Ma qual è la reale identità europea? Basta viaggiare nel mondo per accorgersi che il fattore identitario di maggiore forza che ha l’Europa sono le sue città. Non esiste altro luogo al mondo dove le città si differenzino tra loro così tanto, per cultura, cibo, tradizioni, linguaggi, anche se distano tra loro pochi chilometri. La storia dell’Europa è la storia delle sue città. Di più. L’Europa è stata fondata dalle sue città. Le radici dell’Europa moderna affondano nelle città stato dell’antica Grecia fino ad alimentarsi con la città stato che ha forgiato di più la stria del nostro continente: Roma. L’Impero romano era espressione di una città stato così come lo era anche il suo successore, il Sacro Romano Impero che era una costellazione di città stato. Il risultato di questa storia è sotto gli occhi di tutti con città che hanno un’identità spesso assai più forte rispetto quella della nazione a cui appartengono.
La storia dell’Europa è fatta di città ed è dalle città che deve ripartire il futuro dell’Europa. Questo non significa cancellare gli stati nazionali bensì rinnovarli nella loro concezione che deve passare da stati di difesa dello status quo contro invasori esterni a federatori di città e di territori. Gli stati devono trasformarsi da sistemi in ecosistemi per consentire a territori omogenei di fare leva sulle loro caratteristiche distintive all’interno di uno spazio comune. E dal punto di vista gestionale bisogna scendere al livello più basso possibile, alle città che sono l’espressione diretta della comunità.
Per una rivoluzione di questo tipo è impensabile immaginare che possa partire da uno stato nazionale attuale. Questo per due motivi. In primo luogo perché una volontà di riforma radicale portata avanti da un singolo stato innescherebbe automaticamente la reazione contraria di altri stati. Il secondo è ancora più immediato: aspettarsi che gli stati si adoperino per ridurre considerevolmente il proprio potere è un controsenso logico. Come spesso accade se le riforme non vengono dall’alto, è dal basso che possono arrivare.
Qui si ritorna a Milano che potrebbe diventare con la sua istanza alla Corte di Giustizia la città Bosman d’Europa. La città che intrappolata da un ordinamento deficitario, quello dello stato italiano attuale, si rivolge all’Europa per liberarsi, rivendicando il diritto di dotarsi da sé degli strumenti più opportuni per gestire la propria comunità. Ma con lo scopo di non fermarsi, rilanciando l’azione alle altre città che in Europa ritengono meglio potersi gestire con maggiore autonomia rispetto agli stati nazionali di cui fanno parte.
Milano potrebbe aprire la strada a una nuova rivoluzione, consentendo a ogni città di poter essere trattata come un bene, diventando libera di scegliere come gestirsi e a quali leggi fare affidamento, restando comunque all’interno dell’alveo normativo europeo. Sembra una follia ma credo che in fondo in fondo sarebbe questa la strada migliore da attuare. Nel momento almeno in cui vi sia una volontà diffusa e condivisa nei cittadini e nei governanti locali di diventare una città stato.
Milano potrebbe aprire la strada a una nuova rivoluzione, consentendo a ogni città di poter essere trattata come un bene, diventando libera di scegliere come gestirsi e a quali leggi fare affidamento, restando comunque all’interno dell’alveo normativo europeo
ANDREA ZOPPOLATO
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