Nel 1858 gli accordi verbali segreti di Plombieres, fra Napoleone III di Francia e Camillo Benso Conte di Cavour, posero le basi per la Seconda Guerra d’Indipendenza, episodio fondamentale del Risorgimento italiano. Il discorso di Vittorio Emanuele II al Parlamento piemontese, “(…) non possiamo stare insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi (…)”, era un esplicito riferimento al Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco.
PAOLO GIORZA, il papà della “bella Gigogin”
# La canzone che contiene messaggi in codice “risorgimentale”
E proprio nel 1858 il compositore milanese Paolo Giorza scrisse la musica per una canzone che è passata alla storia nel senso più ampio del termine, musicale e politico.
Infatti non è un caso che questo brano fu adottato dai Bersaglieri e, fino a pochi decenni prima, veniva spesso cantato dai bambini delle scuole durante le recite. Parliamo della canzone “La bella Gigogin”, che narra di una giovane, che la leggenda vuole come una figura attiva, in qualità di staffetta, durante le gesta per liberare l’Italia dal dominio straniero. In realtà il testo è un elenco di messaggi in codice dallo sfondo politico strategico, per la realizzazione degli obiettivi risorgimentali.
Partiamo dalla considerazione che “Gigogin” è il diminutivo di “Teresa” nel dialetto piemontese e che i carbonari, quando parlavano dell’Italia, la chiamavano (in codice) proprio “Teresa”. In questa canzone “Gigogin” può essere il riferimento a Vittorio Emanuele II, invitato ad accordarsi con Napoleone III di Francia, con la strofa, “(Gigogin) la va a spass col sò spingìn”, ovvero va a spasso col fidanzato (in codice), Napoleone III. Accordo, per mettersi insieme e mandare via gli austriaci dal Lombardo-Veneto.
La canzone fa riferimento alla “malada”, che sarebbe la Lombardia, “per non mangiar polenta”, vuol dire che la Lombardia non vuole più l’Austria, paragonando quest’ultima alla polenta, per il colore giallo della bandiera.
# Una sorta di “Risiko” risorgimentale, musicale, per impedire la censura e la rappresaglia austriaca
Quella che allora venne descritta come una canzone che narrava le gesta di una bella ragazza, che partecipò attivamente alle Cinque giornate di Milano del 1848, scappata da un collegio, che decide di adoperarsi per cacciare lo straniero dall’Italia, dando una mano in tutti i campi di battaglia delle guerre di indipendenza, fu rivista come una sorta di “Risiko” risorgimentale, musicale, con messaggi in codice, per impedire la censura e la rappresaglia austriaca.
Paolo Giorza, che nacque a Milano l’ 11 novembre 1832 e morì negli Stati Uniti il 4 maggio 1914, scrisse la musica su un testo costituito da strofe di vecchi canti popolari. Il passaggio, “Daghela avanti un passo”, rappresentava un antico detto milanese, ma nella fantasia di Giorza, poteva essere l’invito a Vittorio Emanulee II a fare un passo avanti per cacciare gli austriaci dalla Lombardia.
# Le otto repliche al Teatro Carcano
Prima della Seconda Guerra d’Indipendenza il popolo d’Italia nei teatri assisteva con un entusiasmo, misto alla paura di disillusione, alle rappresentazioni canore e musicali che si rifacevano a speranze patriottiche. La sera del capodanno 1858, la Banda Civica di Milano, diretta da Luigi Rossari, al Teatro Carcano, struttura che in quel periodo aveva compiuto i 55 anni di vita, suonava proprio “La bella Gigogin”, con un successo eccezionale e il pubblico ne chiese otto repliche nella stessa sera.
La leggenda narra che gli austriaci, che ovviamente non avevano capito il testo, in quanto dialettale, erano stati colpiti dal ritmo della musica e l’avevano presa come inno durante le battaglie. Se fosse stata davvero così, sarebbe stata, per loro, una vera beffa.
Tornando all’autore, Paolo Giorza, prima di partire per le Americhe, scrisse per Garibaldi l’“Inno alla guerra”, mentre qualche anno prima compose “La capanna dello zio Tom”. Fu apprezzato anche in Australia, dove collaborò con diversi cantanti, per tornare negli Stati Uniti, dove morì a 82 anni, malato e dimenticato.
# Il testo de “La bella Gigogin”
Rataplàn tambur io sento
che mi chiama alla bandiera
oh che gioia oh che contento
io vado a guerreggiar.
Rataplàn non ho paura
delle bombe e dei cannoni
io vado alla ventura
sarà poi quel che sarà.
E la bella Gigogìn col tremille-lerillellera
la va a spass col sò spingìn col tremille-lerillerà.
Di quindici anni facevo all’amore
dàghela avanti un passo
delizia del mio cuore.
A sedici anni ho preso marito
dàghela avanti un passo
delizia del mio cuore.
A diciassette mi sono stradìta
dàghela avanti un passo
delizia del mio cuor.
La vén, la vén, la vén a la finestra
l’è tutta, l’è tutta, l’è tutta inzipriada
la dìs, la dìs, la dìs che l’è malada
per non, per non, per non mangiar polenta
bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza
lassàla, lassàla, lassàla maridàre
bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza
lassàla, lassàla, lassàla maridàr.
Le baciai, le baciai il bel visetto,
cium, cium, cium,
La mi disse, la mi disse: oh mio diletto
cium, cium, cium,
là più basso, là più basso, in quel boschetto,
cium, cium, cium,
anderemo, anderemo a riposar.
Ta-ra-ta-ta-ta-tam.
E la bella Gigogìn col tremille-lerillellera
la va a spass col sò spingìn col tremille-lerillerà.
FABIO BUFFA
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