L’alessandrina Dina Bellotti era diventata famosa per essere la pittrice dei papi, il milanese Pietro Annigoni invece fu il pittore delle regine.
Pietro Annigoni, il “pittore delle regine”
Annigoni è stato uno degli artisti più indipendenti e svincolati da qualsiasi etichetta di ordine tecnico ed ideologico: lui amava dipingere ispirandosi devotamente ai maestri del passato, dando un’impronta attuale ai paesaggi e all’umanità che rappresentava. Il senso del futuro delle sue opere è legato alla caratteristica che, col passare del tempo, rimangono ricche di significato in qualsiasi momento storico le si guardi.
“Sono un po’ all’antica, se mi dicono che dipingo come un maestro del passato, sono contento, mi sento lusingato”, disse in un’ intervista degli anni settanta.
# A 15 anni le prime significative opere a Firenze
Pietro Annigoni nacque a Milano il 7 giugno 1910, da padre modenese e madre nata a San Francisco, in California, ma con radici italiane. Negli anni in cui frequentava il Liceo Classico Parini, spesso si recava alla Biblioteca Ambrosiana per carpire i segreti dei grandi maestri, tra cui Leonardo Da Vinci. Quando Pietro ha 15 anni, il padre deve trasferirsi a Firenze per lavoro e il futuro pittore seguirà la famiglia nella città toscana. Qui termina il Liceo e avvia nuovi studi all’Accademia di belle arti, iniziando a realizzare le prime significative opere. “Mi piace rappresentare personaggi che esprimono qualcosa di forte, magari dove troviamo persone che discutono animatamente, al limite del litigio – raccontò a metà degli anni settanta- quando disegno un paesaggio lo voglio sempre vedere animato, da persone, da animali o da qualsiasi cosa che dia movimento all’opera”.
Annigoni non era interessato all’astrattismo alla Kandinskij, anche se sottolineava che l’arte può essere espressa anche da figure e immagini non aderenti alla realtà, l’importante è che l’opera trasmetta emozioni e sorprenda il pubblico. Amava dipingere con le tempere grasse, ovvero quelle alle quali viene addizionato al tuorlo dell’uovo un certo quantitativo di olio o di vernice. Utilizzava molto anche il pastello, in questo caso prendeva una tavola, sulla quale era stata fissata una tela, sopra la quale veniva appoggiato un foglio di carta giapponese, con un velo di gesso, su cui avveniva la realizzazione del progetto artistico. Spesso si recava nei campi dell’Isola d’Elba alla ricerca della pietra rossa “sanguigna”, una prodotto naturale molto friabile che da forza e carattere al personaggio o all’oggetto disegnati con questo materiale.
# I ritratti dei reali
Dicevamo che era considerato il pittore delle regine: nel 1949 si recò in Inghilterra dove realizzò i ritratti dei reali, tra cui una ventitreenne regina Elisabetta II. Realizzò i ritratti di Filippo di Edimburgo, della Principessa Margaret di Snowdon, della Regina Madre Elisabeth, dell’ultimo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi e della moglie Farah Diba e di Margherita II di Danimarca.
“Il ritratto è come inseguire e afferrare qualcosa che continuamente ci sfugge, è una fatica. Facendo un ritratto inizialmente chiedo il massimo silenzio al modello o alla modella poi, quando il disegno è imbastito, inizio a chiacchierare con la persona che sto rappresentando per conoscerne il carattere, la personalità e metterle sulla tela”. Però quando gli davano del “ritrattista”, un po’ si chiudeva in se stesso, si sentiva etichettato. Non rappresentava la realtà con un “qui ed ora” meccanico, di maniera, bensì amava sviluppare su tela una realtà, anche di fantasia, che derivava da tutta una serie di vissuti personali che nel quadro diventavano una risultante rappresentata da Annigoni con maestria. L’ultimo ritratto che realizzò fu quello della moglie, Rossella, nel 1983.
# La sua firma sulle tele
Gli fu commissionata la copertina del Time in almeno due circostanze, con il ritratto di John F. Kennedy e di Papa Giovanni XXIII, mentre la raffigurazione della regina Elisabetta venne pubblicata dalla rivista Picture Post. Quando firmava un quadro, accanto al proprio nome, metteva “C +++”, dove C rappresenta “Canonicus”, soprannome che i compagni di classe gli davano al Liceo, mentre le tre croci vogliono rappresentare la via Crucis, ovvero la fatica che tutti i pittori devono affrontare per poter emergere.
# I suoi affreschi
Di questo pittore milanese sono gli affreschi dell’Abazia di Montecassino, nel Lazio, quelli nel convento di San Marco a Firenze, la facciata del Palazzo della Misericordia, sempre nella città del Giglio, nella Cappella delle Benedizioni nella basilica padovana dedicata a Sant’Antonio, più innumerevoli altre opere per un artista forse un po’ dimenticato. Ingenerosamente.
Morì a Firenze il 28 ottobre 1988.
FABIO BUFFA
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Non è stato dimenticato, NON è mai stato considerato un grande pittore, perchè a quei tempi in Italia la stragrande maggioranza dei critici, se non imbrattavi tele dando loro titoli e significati assurdi ed inventati, ti consideravano un retrogrado anacronista, un manovale dell’arte . . . tranne naturalmente vendere le Sue opere a caro prezzo, se capitava loro l’occasione.
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