Maggio 1976. Un violento terremoto colpisce il Friuli. 45 paesi vengono rasi al suolo, 989 persone perdono la vita. Sono trascorsi 40 anni ma da quella tragedia possiamo imparare tanto.
Niente piagnistei, niente retorica
In quell’occasione i friulani hanno mostrato grande capacità di riprendersi, in faccia ai piagnistei e alla retorica. I piagnistei sono quelli che fanno perdere tempo a lamentarsi, a imprecare contro il cielo, a cercare un colpevole, a chiedere che qualcuno venga in soccorso. Tutte cose che i friulani non hanno fatto. Anzi. Si sono immediatamente messi in azione per rimettere le cose a posto. Senza aspettare aiuti dall’esterno o senza prendersela con chi avrebbe potuto fare le cose diversamente.
Si sono messi subito da fare, fregandosene anche della retorica. Già, perché in caso di terremoto verrebbe da pensare subito alle case, ai bimbi, agli anziani, ai malati che devono al più presto trovare un tetto. Anche prefabbricato. Questo dice la retorica. Ma il Friuli degli anni settanta non era un luogo da retorica, era fatto di gente che lavorava duro per guadagnarsi il pane, dove invece degli starnazzi dei talk show regnava la semplice saggezza del vivere.
La retorica ti dice che prima bisogna pensare alle case, invece i friulani prima si sono occupati di quella che è la fonte di ogni fortuna, specie per terre povere come quella del Friuli. In qualunque comunità la cosa più importante è il lavoro, questo lo sanno i friulani che invece delle case si sono occupati di rimettere in sesto le fabbriche. Sì, perché una casa rende la vita migliore a una famiglia ma una fabbrica chiusa lascia in disgrazia tante famiglie. Prima il lavoro, poi la casa, questo il principio che ha guidato i friulani e che ha portato a rimettere a posto la loro terra dopo pochi mesi.
Ma c’è un altro episodio simbolo della ricostruzione. E’ che i friulani non solo si sono concentrati sulle fabbriche, ma hanno iniziato prima con una sola, con quella che era più importante: nel giro di tre giorni dal sisma la fabbrica più importante della zona ha potuto riprendere la produzione. Prima ancora di mettere mano alle altre fabbriche, di intervenire con dei piani che migliorassero in modo estensivo tutte le imprese o le case, i friulani sapevano che nelle macerie bisogna ripartire un passo alla volta, prima da ciò che è più importante e che può funzionare meglio e poi col resto. Questa è la chiave di una ricostruzione che è diventata una leggenda. In poco tempo il Friuli è rinato, meglio di prima, e senza sprechi di tempo e di soldi come è successo qualche anno dopo in Irpinia, dove si è seguita tutta un’altra logica: la logica del piagnisteo, della retorica del “prima una casa”, una retorica da applausi ma che ha mantenuto nel disastro un’intera regione, dissestando le finanze dello Stato.
La decisione più coraggiosa: prima Milano
L’anniversario del terremoto in Friuli è per noi il ricordo di uno straordinario esempio di capacità di risollevarsi. Un esempio che può essere utile per imparare a ricostruire l’Italia di oggi.
E’ inutile fingere che le cose stanno andando bene. L’Italia è in una condizione pessima. Sono quindici anni che arretriamo rispetto a qualunque altro paese. Arretriamo nell’economia, nella cultura, nella rilevanza politica. In ogni settore l’Italia sta segnando il passo e ogni anno di fatto perdiamo una città intera, costituita dalle centinaia di migliaia di persone che lasciano il nostro paese (170.000 nel 2015). Lasciano un paese dove il piagnisteo e la retorica la fanno da padroni. Il piagnisteo di quelli che si lamentano, che danno la colpa a qualcuno ma che evitano di darsi da fare, assumendosi la responsabilità di prendere decisioni coraggiose. Come quella di sfidare la retorica che dice che prima bisogna pensare alle famiglie, ai poveri, agli anziani e malati.
Serve coraggio di dire che in un paese in crisi economica, occorre ripartire dalle imprese, perché senza imprese non si produce lavoro e ricchezza con cui poter prendersi cura di famiglie, poveri, anziani e malati. Questa è stata la decisione chiave dei friulani per ricostruire la loro terra, questa è la decisione che dobbiamo prendere per risollevare il nostro paese riportandolo al rango che merita. Ma ancora non basta. Come i friulani nelle macerie non sono ripartiti per riparare tutto indistintamente, così anche noi dobbiamo concentrarci per ripartire da dove funziona meglio e dove si può produrre la massima utilità anche per gli altri. In Italia è solo una l’equivalente della fabbrica friulana che si è cercato di rimettere in moto il prima possibile: Milano.
E’ Milano il luogo da cui occorre ricostruire il paese. In un paese che sta decadendo, la cui unica reale politica sembra quella di rallentare il declino, occorre una svolta coraggiosa: quella di riconoscere che l’intero sistema dello Stato italiano non funziona più, è un sistema che penalizza troppo chi fa, chi produce, chi crea fortuna anche per gli altri, e invece avvantaggia troppo chi vive a carico degli altri.
E’ un sistema che invece di mettere al centro l’individuo nella sua realizzazione, mette al centro la macchina che amministra e che impiega più risorse a reprimere e a controllare che ad agevolare l’individuo che crea lavoro. E’ un sistema che difende chi vive di rendita invece che aumentare le opportunità per chi vuole produrre. E’ un sistema che fa scappare i migliori talenti e i possibili investitori, invece di attrarne dall’estero. E’ un sistema che conserva le macerie invece di spronare a ricostruire un futuro all’altezza del mondo di oggi.
Milano Città Stato per ricostruire il Paese
Per tutto questo occorre una svolta, che può essere fatta soltanto partendo da un luogo circoscritto, dal posto però che merita di avere più libertà e responsabilità, perché più di altri ha dimostrato di essere capace. Questo ha fatto Milano che negli ultimi anni sembra aver preso le distanze da una certa Italia, da quella nazione che aspetta, che si lamenta e che nulla fa. Milano è un’altra cosa. Milano è tornata a guardare all’estero senza complessi di inferiorità, ma in cerca di soluzioni che possano migliorare la vita dei cittadini. E’ tornata a misurarsi con il resto del mondo senza rinunciare ad essere un faro per la nostra nazione. E’ una città che seppur imbrigliata da una burocrazia centralista sta cercando di ritagliarsi dei suoi margini di autonomia.
Ora è tempo di sciogliere queste briglie e di ripartire da Milano per poter costruire un nuovo modello di Stato che possa poi estendersi al resto d’Italia. Milano ha bisogno di trarre ispirazione dal Friuli, da un popolo che nella sventura più grande ha avuto il coraggio e la dignità di ripartire da ciò che c’era di più di valore per la comunità. Non solo noi milanesi ma tutti gli italiani dobbiamo avere quel coraggio e quella dignità per dare più autonomia alla città che, se lasciata libera, può dare inizio alla ricostruzione di un nuovo Paese.