Milano ha un nuovo piano di Governo del Territorio, il primo interamente progettato da questa Giunta. Al centro, insieme alle case e alle periferie, i temi legati alle problematiche ambientali. A sentire l’opposizione e alcune associazioni riunitesi nel Comitato Un AltroPiano x Milano, sembrerebbe però in arrivo una nuova immensa colata di cemento, in procinto di seppellirci tutti senza possibilità di campo. E in effetti i segnali sono un po’ contraddittori.
Il nuovo piano di GOVERNO DEL TERRITORIO: più verde o più cemento nel futuro di Milano?
Tra le principali modifiche apportate al Piano attraverso gli emendamenti del Consiglio comunale:
- la riduzione del consumo di suolo del 4% rispetto al piano vigente
- l’innalzamento al 75% delle aree da destinare a verde nell’area di piazza d’Armi e la relativa eliminazione dell’indicazione di proposta di piano attuativo presentata nel 2017;
- l’obbligo per le nuove costruzioni di essere a zero emissioni di CO2;
- l’individuazione, per le ristrutturazioni, di una soglia minima dell’indice di riduzione di impatto climatico richiesto, raggiungibile con tetti e pareti verdi e interventi di depavimentazione, oltre il quale è possibile monetizzare (tali risorse saranno destinate alla realizzazione del Grande Parco Metropolitano e a interventi di depavimentazione). A Milano ci sono 970 mila metri quadrati di tetti verdi. L’intenzione è di portarli a 13 milioni nei prossimi anni grazie agli incentivi promossi dal Governo e dal Comune anche attraverso le nuove norme del Pgt.
Tutto bene quindi? Dipende. Soprattutto dal punto di partenza.
#1 Il Consumo di suolo: una riduzione troppo bassa e lontana dagli obiettivi europei
Non son tutte rose e fiori. Prendiamo il primo punto ad esempio. Il consumo di suolo è una delle emergenze legate all’ambiente più importanti della società moderna. Il sottile strato di suolo fertile è vitale tanto per l’agricoltura quanto per la biodiversità della natura: una volta coperto di asfalto o cemento, perde per sempre le sue ricchezze di nutrienti e le funzioni naturali.
Il consumo di suolo in città ha un forte legame anche con l’aumento delle temperature: dalla maggiore presenza di superfici artificiali a scapito del verde urbano, infatti, deriva anche un aumento dell’intensità del fenomeno delle isole di calore, al punto che la differenza di temperatura estiva delle aree urbane rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori superiori a 2°C. E con essi perdiamo anche la capacità di regolazione del flusso delle acque superficiali e sotterrane, di protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, di controllo dell’erosione e dei nutrienti e della regolazione della qualità dell’acqua.
Il nuovo piano dicevamo prevede una riduzione del consumo di suolo del 4% rispetto al piano vigente. Solo che la Lombardia ha una percentuale che sfiora il 13% del territorio, ovvero quasi il doppio della media italiana, che è a sua volta il doppio della media europea. Nell’arco degli ultimi 60 anni ogni cittadino lombardo ha perso metà della sua quota di prati e aree coltivate.
Il record, manco a dirlo, è a Milano, dove la totalità del consumo di suolo spazza via 11 ettari di aree verdi (su un totale di 11,5 ettari). Milano è già coperta per il 57,5 per cento della sua superficie totale, mentre Roma lo è per il 23,2 per cento. Milano ha coperto 15 metri quadrati per ettaro, contro i 7,6 di Roma. In questo Roma ci batte.
Anche se la velocità sembra essersi stabilizzata, è ancora molto lontana dagli obiettivi europei, che prevedono l’azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050. Consumo netto di suolo zero non significa congelare l’infrastruttura urbana impedendo in assoluto di occupare nuovo territorio. Al contrario, consente l’occupazione di spazi liberi purché questo avvenga a saldo zero, de-sigillando o ripristinando ad usi agricoli o semi naturali aree di pari superficie in precedenza urbanizzate e impermeabilizzate.
Con l’introduzione del termine “netto”, l’obiettivo del consumo di suolo zero da vincolo di fatto impraticabile si trasforma cioè in motore di una nuova stagione di trasformazione urbana, fondata sulla riqualificazione dell’esistente e sul ridisegno del territorio urbanizzato, che non deve essere più considerato come un dato acquisito e irreversibile, ma come un corpo suscettibile di essere ridisegnato e ricucito secondo nuove e più funzionali orditure, garantendo l’indispensabile sostenibilità economica degli interventi edilizi e infrastrutturali, sia per gli operatori immobiliari privati che per i soggetti pubblici.
Qualcosa in questo senso si sta muovendo, il Comune di Milano ad esempio ha appena finalizzato l’acquisto di oltre 500mila m² di terreni agricoli in prossimità di Bosco in Città e dentro il parco agricolo Sud con l’obiettivo di utilizzare queste aree per l’agricoltura periurbana.
Sono chiari segnali che l’amministrazione è sulla buona strada. Ma se consideriamo il punto di partenza, il 4% in meno non pare più un dato così rivoluzionario. E pensando ai grandi progetti in arrivo per Milano, a cominciare da quelli per gli Scali e per Mind/Expo, qualche dubbio pare legittimo.
#2 I nuovi alberi compenseranno i molti alberi che saranno abbattuti?
Ma parliamo degli alberi. A novembre è stato annunciata, su iniziativa di Comune e Città Metropolitana di Milano e Regione Lombardia, la costituzione del Fondo ForestaMi, che si occuperà di raccogliere contributi di aziende e cittadini che vogliano partecipare al grande piano di forestazione urbana del l’omonimo progetto del Politecnico ForestaMi. Lo studio dovrebbe individuare le aree della Città Metropolitana dove aprire spazi alla forestazione, indagando in particolare le aree maggiormente colpite dagli effetti del cambiamento climatico e andando a mitigare l’effetto isola di calore o riducendo i rischi da alluvioni attraverso nuovi servizi ecosistemici di resilienza. L’obiettivo, come è noto, è piantare in tutta Milano e nell’area metropolitana un totale di 3 milioni di nuovi alberi entro il 2030.
Però, mentre alla Triennale durante i World Forum on Urban Forests – Milano Calling 2019 veniva solennemente annunciata la costituzione del Fondo, e contemporaneamente il Comune era impegnato in una densissima e super pubblicizzata settimana #AlberiInOgniQuartiere, diverse voci si levavano per denunciare il sacrificio di alcune aree verdi della città. Ad esempio in via Ciclamini (un nome che è tutto un programma), dove lo scorso luglio 2019 il Consiglio di Zona 6, senza aver informato in maniera adeguata i residenti, ha deliberato l’assegnazione di una quota consistente di verde pubblico a favore di una struttura privata.
Più clamorosa la protesta contro l’abbattimento di 160 alberi tra via Edoardo Bassini, largo dei Volontari del Sangue e via Corfù, per far posto alla nuova sede del Dipartimento di Chimica del Politecnico. Per compensare l’abbattimento di queste piante, il Politecnico dovrebbe realizzare un giardino in seguito alla bonifica di un’area adiacente, ma con modalità e tempi che non garantiscono la compensazione di quanto andrà perso.
La mobilitazione di cittadini, studenti e docenti del Politecnico non è riuscita a bloccare l’abbattimento degli alberi, senza avere la meglio sui piani del Politecnico, che sta vivendo una fase di forte espansione (si vedano anche i progetti in Bovisa) ed è uno dei principali partner del Comune nelle strategie di cui abbiamo parlato finora.
Leggi anche: Una GOCCIA nel mare di cemento
Viene da chiedersi se nei 3 milioni di alberi sono compresi anche quelli che nel frattempo saranno andati persi, tra piazza d’Armi, la Goccia in Bovisa, e le tante singole realtà di cui difficilmente riusciremo a tenere il conto. Perché, se è vero che il sacrificio di qualche pianta oggi può essere compensata da progetti verdi più qualificanti nel prossimo futuro, è altrettanto evidente che se continueremo ad applicare questo criterio rischiamo di ritrovarci con tante simpatiche piantine a rischio estirpazione prima di raggiungere la maggiore età, con conseguenze nefaste sulla condizione climatica e ambientale. Riprogettare di sana pianta non sempre conviene.
I problemi insomma sono chiari, le intenzioni non mancano, ma la cruda verità è che non stiamo facendo abbastanza. Anche se Greta troverebbe senza dubbio parole più incisive per sottolineare il concetto.
ROBERTA CACCIALUPI
Le città più internazionali e aperte al mondo sono delle città stato come #Amburgo #Madrid #Berlino #Ginevra #Basilea #SanPietroburgo #Bruxelles #Budapest #Amsterdam #Praga #Londra #Mosca #Vienna #Tokyo #Seoul #Manila #KualaLumpur #Washington #NuovaDelhi #HongKong #CittàDelMessico #BuenosAires #Singapore
Leggi anche:
* 10 città stato del mondo che possono ispirare Milano
* E ora Milano Città Stato! Se non lo fa l’Italia, si può chiederlo all’Europa
* Milano Città Stato sarebbe un bene soprattutto per l’Italia
* Primo passo del consiglio comunale verso Milano Città Stato
* Corrado Passera: Milano Città Stato è il più interessante progetto che ci sarà in Europa nei prossimi anni
* “Proviamoci. Mi impegnerò personalmente”. Beppe Sala a Milano Città Stato
VUOI CONTRIBUIRE ANCHE TU A TRASFORMARE IN REALTA’ IL SOGNO DI MILANO CITTA’ STATO?
SERVE SCRIVERE PER IL SITO, ORGANIZZARE EVENTI, COINVOLGERE PERSONE, CONDIVIDERE GLI ARTICOLI, PROMUOVERE L’ISTANZA, AIUTARE O CONTRIBUIRE NEL FUNDING, TROVARE NUOVE FORME UTILI ALL’INIZIATIVA.
SE VUOI RENDERTI UTILE, SCRIVI A INFO@MILANOCITTASTATO.IT (OGGETTO: CI SONO ANCH’IO)